Mansioni e qualifiche

  • Qualora sia stato emesso un provvedimento d'urgenza di reintegrazione nelle precedenti mansioni in favore di giornalista televisivo, il Giudice, accertata la mancata esecuzione del provvedimento, può determinarne le modalità di attuazione ai sensi dell'art. 669 duodecies c.p.c. al fine di ottenerne la corretta esecuzione. (Trib. Roma 3/6/2003, ord., Est. Pagliarini, in D&L 2003, 685)
  • Nel settore del lavoro giornalistico televisivo occorre tener conto, in caso di assegnazione di nuove mansioni, dell'esperienza e della professionalità maturate nello svolgimento di quelle precedentemente svolte, nonché della visibilità connessa al loro espletamento. Il demansionamento non trova completo ristoro in successivi provvedimenti a contenuto unicamente patrimoniale, e si configura quindi come pregiudizio irreparabile che rende ammissibile l'azione cautelare d'urgenza. (Trib. Roma 20/2/2003, ord., Pres. Cortesani Est. Blasutto, in D&L 2003, 678)
  • L'assegnazione del direttore di testata, che svolga la sua attività di realizzatore e conduttore di programmi di approfondimento, ad altro tipo di programma, diverso per visibilità e quantità d'impegno, integra gli estremi della violazione del disposto di cui all'art. 2103 c.c., trattandosi altresì di mansione non equivalente. Conseguentemente è ammissibile il ricorso alla tutela cautelare, sussistendo gli elementi del fumus boni iuris e del periculum in mora. (Trib. Roma 9/12/2002, Est. Pagliarini, in Lav. nella giur. 2003, 443, con commento di Giorgio Treglia)
  • La destinazione alla realizzazione di uno sceneggiato ispirato a fatti realmente accaduti (c.d. docudrama) di un giornalista dipendente Rai, da tempo affermatosi nella realizzazione e conduzione di programmi televisivi di approfondimento informativo, su tematiche di stretta attualità, seguiti da vasto pubblico e per tale competenza assunto, costituisce violazione della previsione dell'art. 2103 c.c. ed è suscettibile d'inibitoria cautelare: infatti, nel settore del giornalismo televisivo d'informazione, l'attribuzione al prestatore di lavoro di mansioni inferiori rispetto a quelle convenute dà luogo ad una situazione di periculum in mora idonea a giustificare l'adozione di un provvedimento d'urgenza, giacchè la professionalità acquisita dal dipendente nello specifico settore, una volta lesa dal demansionamento, non trova forme adeguate di ristoro in provvedimenti successivi a contenuto patrimoniale. (Trib. Roma 9/12/2002, Giud. Pagliarini, (ord), in Foro it. 2003 parte prima, 919)
  • E' dequalificato il giornalista che, assunto per svolgere le sue mansioni in un determinato settore dell'informazione, venga successivamente utilizzato in mansioni generiche di redattore, con conseguente depauperamento del suo bagaglio professionale che si traduce in un danno patrimoniale risarcibile secondo equità. (Trib. Milano 26/6/2002, Est. Peragallo, in D&L 2002, 639, con nota di Franco Bernini, "La dequalificazione del giornalista")
  • Non è né arbitraria né illogica, in quanto basata su dati di comune esperienza, l'opinione del Tribunale che ha ritenuto sussistente il danno da demansionamento di un giornalista (lasciato pressoché inattivo per 10 anni) sulla base della considerazione che la professionalità si autoalimenta nell'esercizio costante della professione e nell'aggiornamento insito nella stessa, così implicitamente affermando che, nel caso di mancato esercizio, le capacità professionali ineluttabilmente si immiseriscono, con un danno certo anche se determinabile in via equitativa. Neppure appare privo di concretezza il ricorso in via parametrica alla (metà della) retribuzione per la determinazione in termini quantitativi del danno, posto che, indubbiamente, non può negarsi che elemento di massimo rilievo nella determinazione della retribuzione è il contenuto professionale delle mansioni sicché essa costituisce, in linea di massima, espressione (per qualità e quantità, ai sensi dell'art. 36 Cost.) anche del contenuto professionale della prestazione, nel caso in esame, concretamente non accettata dall'azienda (e tuttavia egualmente retribuita come se fosse stata eseguita). Se, dunque, il demansionamento non cagionò danno sul piano retributivo, l'entità della retribuzione ben poteva essere assunta, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, a parametro del danno da impoverimento professionale derivato dall'annientamento delle prestazioni proprie della qualifica. Dalla violazione dell'art. 2087 c.c. (ricorrente in fattispecie) - che impone al datore di lavoro di tutelare la personalità morale del lavoratore - non deriva necessariamente la configurabilità di una ingiuria (in conseguenza di emarginazione, perdita d'immagine, scadimento della reputazione, etc.) e cioè un danno diverso dalla lesione della professionalità che già ingloba il pregiudizio all'immagine, risarcibile mediante riconoscimento del danno da demansionamento in senso ampio (Cass. 7/7/01, n. 9228, pres. Annunziata, est. Vigolo, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1405)
  • La circostanza che un lavoratore (nella specie, giornalista della Rai con qualifica di caposervizio) sia privato delle mansioni rende configurabile un danno a carico dello stesso, consistente nell'impoverimento delle sue capacità professionali dovuto al mancato esercizio della professione. Per la determinazione in termini quantitativi del danno, è ammissibile, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione, della quale elemento di massimo rilievo è il contenuto professionale delle mansioni. (Cass. 7/7/01, n. 9228, pres. Annunziata, est. Vigolo, in Dir. informazione e informatica 2002, pag. 384)
  • E' ammissibile la concessione di provvedimento d'urgenza (per la sussistenza di fumus boni iuris e periculum in mora) per la revoca del provvedimento aziendale di rimozione dalle mansioni di coordinatore dei servizi giornalistici - riconducibili alla qualifica del redattore capo - sostituita dal conferimento dell'incarico di semplice redattore ordinario, in quanto l'iniziativa aziendale non è assolutamente riconducibile ad esercizio legittimo dello ius variandi, essendo le mansioni successive caratterizzate da una riduzione qualitativa ed assolutamente monche sotto il profilo della direzione e del coordinamento rispetto a quelle del redattore capo. Ove al descritto impari valore professionale delle posizioni di lavoro poste a confronto, considerate nella loro oggettività, si aggiunga la non attitudine della nuova posizione a consentire la piena utilizzazione e conservazione del retaggio professionale conseguito dall'istante nella pregressa fase lavorativa, ma, anzi, la capacità insita nella stessa di infirmare e sviluppare la professionalità acquisita, non resta che concludere nel senso della illeggittimità dell'esercizio dello ius variandi per violazione del principio dell'equivalenza e per mancata tutela del patrimonio professionale del ricorrente. L'accertata dequalificazione consente di trarre il corollario della dispersione della professionalità conseguita, del pregiudizio sulla progressione carrieristica, dello svilimento dell'elevata professionalità che l'articolo 11 del contratto di lavoro giornalistico riserva alla figura del capo redattore, della sussistenza di una situazione di particolare e qualificata emergenza anche sotto il profilo della lesione dell'immagine , stante la valenza sociale ella professione svolta (Trib. Bari 12/1/00, est. Romanazzi, in Lavoro e prev. Oggi 2000, pag.1254)
  • La rarefazione, fino alla scomparsa, degli articoli a firma di un giornalista con qualifica di inviato speciale configura un'ipotesi di dequalificazione professionale ex art. 2103 c.c., giacché il fatto di non esercitare, o esercitare in modo estremamente ridotto la professione giornalistica pregiudica seriamente l'autorevolezza del giornalista, la sua capacità di informare e la sua capacità di raccogliere informazioni (nel caso di specie il giudice, accertata la dequalificazione, ha tra l'altro condannato l'editore a risarcire il danno professionale conseguentemente subito, nella misura di una mensilità netta per ogni mese di intervenuta dequalificazione (Pret. Roma 1 aprile 1999, est. Vincenzi, in D&L 2000, 745)
  • Configura danno all'immagine professionale del giornalista inviato speciale la rarefazione fino alla scomparsa della firma di articoli nel settore di competenza specifica ventennale, a seguito di esautoramento per assegnazione da parte di responsabili aziendali degli incarichi di sua tradizionale competenza ad altra collega neo assunta al quotidiano direttamente dal direttore. Il giornalista ha, infatti, un interesse sicuramente apprezzabile all'esecuzione della prestazione perché la sua autorevolezza e capacità di informare vengono seriamente pregiudicate quando egli non può esercitare o esercita in modo estremamente ridotto la professione, così come viene pregiudicata la sua capacità di raccogliere informazioni che dipende direttamente dalla rete di relazioni che lo stesso è in grado di crearsi, cosicchè tali relazioni, se non coltivate continuamente (come nella fattispecie) si allentano inesorabilmente. Alla violazione dell'articolo 2103 c.c., per accertata dequalificazione professionale, consegue l'ordine per la società convenuta di riassegnare il giornalista alle mansioni originarie o ad altre equivalenti e la condanna al risarcimento del danno all'immagine professionale, liquidabile equitativamente, in misura di una mensilità netta di retribuzione moltiplicata per i 27 mesi demansionamento (Pret. Roma 1/4/99, est. Vincenzi, in Lavoro e prev. Oggi 2000,pag.1238, con nota di Meucci, Demansionamento per esproprio di competenza, aziendalmente legittimato)
  • È illegittima, in quanto dequalificante, l’assegnazione di un redattore ordinario, con l'incarico di seguire i problemi sindacali, a mansioni di cucina redazionale (Pret. Milano 26/5/98 (ord.), est. Marasco, in D&L 1998, 977, nota Chiusolo, La dequalificazione del redattore ordinario)
  • La qualifica di vicedirettore di giornale non comporta l’attribuzione della qualifica dirigenziale, dovendosi ritenere la natura dirigenziale di tale figura professionale incompatibile con i poteri che l’art. 6 Ccnl giornalisti 16/11/95 attribuisce al direttore di giornale (Pret. Milano 30/4/98, est. Marasco, in D&L 1998, 751, n. CAPURRO, Profili problematici in tema di qualifica del vice direttore di giornale)
  • Al fine di ottenere la qualifica di redattore prevista dall’art. 5 Cnlg 16/11/95, non è sufficiente l’elaborazione della notizia bensì occorre che sussista la responsabilità della titolazione e della preparazione del menabò, mentre non è necessaria l’esistenza di più persone e di un ufficio diverso dall’abitazione (nel caso di specie, la qualifica non è stata riconosciuta in quanto il lavoratore non aveva la responsabilità della titolazione e del menabò) (Cass. 27/3/98 n. 3272, pres. Pontrandolfi, est. Coletti, in D&L 1998, 686, n. MUGGIA, Brevi riflessioni sulla qualifica di redattore e sulla subordinazione nel lavoro giornalistico)
  • Ove il giornalista televisivo abbia svolto le mansioni di vice-direttore di testata con la responsabilità di collaborare con il diritto alla determinazione della linea editoriale, la successiva assegnazione di mansioni di conduttore di rubriche giornalistiche, al pari di redattori ordinari, con compiti di rielaborazione delle notizie provenienti da altre redazioni nell'ambito di direttive impartitegli anche da soggetti in precedenza a lui sottoposti, comporta un impoverimento del bagaglio professionale del lavoratore e un pregiudizio alla sua immagine professionale tale da configurare un pregiudizio grave e irreparabile, ex art. 700 cpc (Trib. Roma 3/1/96, pres. Cecere. Est. Pagetta, in D&L 1997, 117)
  • Il giornalista che abbia assunto la responsabilità e abbia svolto le funzioni proprie del vice direttore di due testate, subisce una dequalificazione professionale vietata dall'art. 2103 c.c. ove le sue mansioni risultino svuotate di tutti gli aspetti significativi e qualificanti della posizione ricoperta; compete in tale caso al giornalista il risarcimento del danno subito, che è determinabile in via equitativa, utilizzando quali parametri la retribuzione percepita e la durata della dequalificazione (Trib. Milano 16/12/95, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1996, 458)
  • La dequalificazione del dipendente determinata dal fenomeno della lottizzazione partitica deve ritenersi determinata da motivi abietti quali devono qualificarsi i fini di controllo e manipolazione dell'informazione pubblica a uso partitico. Pertanto il danno arrecato al giornalista dequalificato perché politicamente discriminato rileva sia come danno alla professionalità che come danno alla dignità umana e alla libertà di pensiero dell'operatore dell'informazione (Pret. Milano 17/5/95, est. Frattin, in D&L 1995, 943)
  • Il calo di presenza della firma del giornalista sul quotidiano per cui egli opera, ove imputabile all'impresa datrice di lavoro, costituisce illegittima dequalificazione; il risarcimento spettante per tale fatto dannoso è determinabile equitativamente, facendo riferimento alla retribuzione percepita dal giornalista e alla durata della dequalificazione (nella fattispecie è stato deciso un risarcimento pari al 50% della retribuzione dovuta per il periodo in cui si è protratta la dequalificazione, con rivalutazione solo dal deposito del ricorso) (Pret. Milano 19/3/94, est. Frattin, in D&L 1995, 144)