Professioni intellettuali

  • In caso di prestazione d’opera di natura intellettuale, come quella resa dai professori d’orchestra in esecuzione di contratti conclusi in relazione a specifici programmi, al fine di individuare gli indici sintomatici della subordinazione non può essere attribuita rilevanza assorbente all’obbligo di rispettare rigidamente gli orari (sia con riguardo alle prove che agli spettacoli) né alla soggezione alle direttive provenienti dal direttore, perché funzionali alla realizzazione dell’opera, garantita dal coordinato apporto di ciascuno dei musicisti, ed al luogo della prestazione, dovendosi piuttosto apprezzare la sussistenza di un potere direttivo del datore di disporre pienamente della prestazione altrui, nell’ambito delle esigenze della propria organizzazione produttiva, da escludersi se i lavoratori sono liberi di accettare le singole proposte contrattuali e sottrarsi alle prove in caso di variazioni assunte in corso d’opera a fronte di pregressi impegni e di assumerne anche nei confronti di terzi. (Cass. 4/5/2020 n. 8444, Pres. Raimondi Est. Lorito, in Lav. nella giur. 2020, 995)
  • In tema di contratto di prestazione d'opera intellettuale, la possibilità di recesso "ad nutum" del cliente contemplata dall'art. 2237, comma 1, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto; l'apposizione di un termine a un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente a integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, non essendo a tal fine necessario un patto specifico ed espresso; pertanto, poiché in assenza di pattuizioni diverse o di giusta causa, l'apposizione di un termine finale determina in modo vincolante la durata del rapporto, nel caso di recesso unilaterale dal contratto da parte del committente il prestatore ha il diritto di conseguire il compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto. In questo senso si è consolidata la giurisprudenza da anni (Cass. n. 25238/2006 tra le più recenti). Nel caso di specie, pertanto, l'apposizione del termine ha avuto il ruolo di determinare in modo vincolante la durata del contratto, derogando alla facoltà ex art. 2237 c.c., non di fissare condizioni economiche immodificabili. Da l recesso deriva un danno in astratto corrispondente ai compensi non percepiti fino al termine prefissato. Con l'ordinaria diligenza, tuttavia, il professionista de quo avrebbe potuto reperire, prima della scadenza del contratto, un'attività sostitutiva. Egli, inoltre, non ha svolto la prestazione. Deve quindi trovare applicazione l'art. 1227, 2° comma, e si può ragionevolmente ridurre della metà tale compenso.(Corte app. Milano 17/3/2008 n. 357, in Dir. e prat. lav. 2008, 2104)
  • L'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge, dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto. Pertanto, il professionista non iscritto in detti albi - e a maggior ragione quello che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale per appartenenre a categoria del tutto differente, nella specie consulente del lavoro incaricato della gestione contabile e fiscale di un'azienda commerciale - non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. (Cass. 12/10/2007 n. 21495, in Dir. e prat. lav. 2008, 2102)
  • L'art. 2237 c.c. - nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione di opera intellettuale - ammette, in senso solo parzialmente analogo a quanto stabilito dall'art. 2227 c.c. per il contratto d'opera, la facoltà di recesso indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d'opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest'ultimo. Tale amplissima facoltà - che trova la sua ragion d'essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti del cliente - ha come contropartita l'imposizione a carico di quest'ultimo dell'obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l'opera da lui svolta, mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto dal cit. art. 2227 c.c.) per il mancato guadagno. Ciò non esclude, tuttavia, che ove si inseriscano nel contratto clausole estranee al suo contenuto tipico, alle stesse possano applicarsi, in difetto di più specifiche determinazioni, le normali regole relative all'inadempimento dei contratti, con la possibilità, nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, di avvalersi di quella forma di autotutela rappresentata dall'eccezione di inadempimento disciplinata dall'art. 1460 c.c. (Cass. 25/6/2007 n. 14702, in Dir. e prat. lav. 2008, 2103)
  • L'obbligazione del consulente aziendale, la cui attività consiste nel fornire consigli relativi alla gestione dell'impresa, deve considerarsi, quanto agli obiettivi economici dell'imprenditore, come obbligazione di mezzo e non di risultato, nel senso che il mancato conseguimento di questi obiettivi non può essere imputato al consulente come inadempimento, con il derivante effetto che tale risultato non può costituire una giusta causa di recesso da parte del committente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione logica e adeguata, aveva ritenuto che i suddetti obiettivi di impresa, testualmente elencati nel contratto, non determinavano specifiche prestazioni del consulente ma fornivano mere direttive a cui il consulente si era attenuto nel breve periodo di durata della sua attività, durante il quale aveva discrezionalmente e diligentemente selezionato ed eseguito le attività più urgenti, in tal modo adempiendo ai suoi obblighi, donde la corretta valutazione di ingiustificatezza del recesso operato dalle committenti). (Rigetta App. Campobasso 28/5/2003). (Cass. 15/12/2006 n. 26895, Pres. Mattone Est. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2007, 1971)
  • La prestazione d'opera intellettuale nell'ambito dell'assistenza legale è riservata agli iscritti agli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, della diretta collaborazione con il Giudice nell'ambito del processo. Al di fuori di tali limiti, l'attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti agli albi professionali, non rientrando, conseguentemente, nella previsione dell'art. 2231 c.c., e dando diritto a compenso a colui che la esercita anche in difetto di qualsiasi abilitazione specifica (nella specie, la Corte ha ritenuto incensurabile la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto al compenso per l'attività stragiudiziale svolta dal segretario di un'organizzazione sindacale in favore di un lavoratore nei confronti del datore di lavoro, genericamente qualificata come assistenza sindacale, non avendo peraltro il lavoratore neppure dedotto in quale specifico albo professionale il consulente avrebbe dovuto essere iscritto). (Cass. 30/5/2006 n. 12840, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Eufrasia Sena, "E' consentito prestare assistenza legale stragiudiziale anche senza iscrizione all'Ordine", 26)
  • L'apposizione di un termine al contratto d'opera professionale non dà vita, di per sé, a un rapporto di durata perchè l'opera affidata al professionista è unica, ancorché richieda l'espletamento di un'attività che si protrae per un certo tempo. La stessa Cassazione, del resto, nell'affermare la derogabilità, per volontà delle parti, del disposto del 1° comma dell'art. 2237, ha ribadito che costituisce questione di interpretazione contrattuale accertare se con la previsione di un termine di durata dell'incarico professionale le parti abbiano inteso o meno avvalersi della facoltà di deroga al principio di libera recedibilità del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale (Cass. n. 8690/1997). (Trib. Milano 22/12/2005 n. 4571, in Dir. e prat. lav. 2008, 2104)
  • Il significato che può assumere l'apposizione di un termine al contratto di prestazione d'opera intellettuale in relazione al disposto dell'art. 2237 ha un senso solo con riferimento a quei contratti con i quali l'opera intellettuale diviene oggetto di un rapporto di collaborazione per il compimento di una pluralità di incarichi dello stesso genere; allora il contratto d'opera dà vita a un rapporto di durata che può essere a tempo indeterminato o determinato. In tale ultima ipotesi, l'apposizione di un termine ha il significato primario di delimitare il tempo di vigenza di determinate condizioni economiche che non sono modificabili per tutto il periodo stabilito, non di fissare la durata massima del rapporto, non potendo derogare alla facoltà di recesso del committente di cui al 1° comma dell'art. 2237 c.c. (Trib. Milano 22/12/2005 n. 4571, in Dir. e prat. lav. 2008, 2104)
  • Con riferimento a prestazioni di carattere intellettuale, che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale né postulano l’assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l’accertamento della natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è costituito dall’esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione di lavoro, abbia un’ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell’ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva; in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto nell’uno o nell’altro schema contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, con motivazione insufficiente, aveva ritenuto la natura subordinata di un rapporto di lavoro, stipulato come autonomo, avente ad oggetto la prestazione, presso la RAI , di attività di traduttore-annunciatore per la realizzazione in varie lingue di programmi radiofonici con trasmissione di notiziari in diretta quattro volte la settimana, attribuendo rilievo ad elementi non univoci, quali la continuità e la predeterminazione della prestazione, e omettendo invece di esaminarne altri – quali la volontà delle parti nel momento iniziale del rapporto, le modalità comportamentali in caso di assenza, la struttura di controllo della prestazione, l’obbligo o la mera richiesta di sostituzione di lavoratori dipendenti – rilevanti ai fini dell’indagine in concreto sulla natura del rapporto. (Cass. 1/9/2004 n. 17659, Pres. Mileo Rel. Mazzarella, in Lav. nella giur. 2005, 282)
  • Nel caso di prestazioni di contenuto intellettuale, poiché queste ultime per la loro stessa natura non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale, né postulano un’assunzione di rischio a carico del lavoratore, la qualificazione del rapporto va desunta esclusivamente dalla posizione tecnico-gerarchica di subordinazione in cui si trovi o meno il lavoratore medesimo, in correlazione ad un potere direttivo del datore di lavoro, che inerisca all’intrinseco svolgimento di quelle prestazioni, restando irrilevante, ove difetti detto requisito, l’eventuale sussistenza di connotati normalmente propri del lavoro subordinato, quali la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità dell’attività e la forma della retribuzione, ma pure compatibili con altre forme di rapporto in cui sia dedotte una prestazione lavorativa. (Trib. Roma 1/6/2004, Pres. Domenico Rel. Giovanni, in Lav. nella giur. 2005, 389)
  • Con riferimento alle prestazioni di contenuto intellettuale, che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale né postulano un’assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l’accertamento della natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è costituito dall’esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione lavorativa, abbia un’ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell’ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione della corte territoriale che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda di due traduttrici e annunciatrici – le quali avevano prestato presso la Rai la propria attività per la realizzazione in varie lingue di programmi radiofonici con trasmissione di notiziari in diretta tre volte la settimana – volta ad ottenere, previo riconoscimento della natura subordinata di tale attività, in luogo di quella autonoma ufficialmente risultante dal contratto stipulato, l’inquadramento quali annunciatrici di secondo livello del contratto collettivo e le connesse differenze retributive. La S.C. ha ritenuto che la decisione impugnata non avesse chiarito le circostanze afferenti alle modalità di espletamento del rapporto che, alla stregua del principio di cui in massima, portavano al riconoscimento della natura subordinata dello stesso, limitandosi a valorizzare la continuità e la predeterminazione della prestazione, caratteristiche che, oltre ad essere incerte, non comprovavano comunque di per sé la natura subordinata del rapporto, come l’inserimento, asserito e non motivato, nella struttura organizzativa della Rai. (Cass. 21/5/2004 n. 9764, Pres. Ianniruberto Rel. Mazzarella, in Dir. e prat. lav. 2004, 2740)
  • In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto-con accertamento di fatto incensurabile in cassazione se immune da vizi giuridici ed adeguatamente motivato-dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il "nomen iuris" utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente (fattispecie relativa a prestazioni sanitarie eseguite dai medici presso una casa di cura privata e formalmente definite, nei relativi contratti, come prestazioni libero-professionali). (Cass. 28/3/2003, n. 4770, Pres. Mattone, Rel. Morcavallo, in Dir. e prat. lav. 2003, 1988)
  • Nelle prestazioni professionali di alto profilo, come l'esercizio della professione medica, la subordinazione, intesa come assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, risulta necessariamente più attenuata e sfumata. In tal caso è necessario fare riferimento al potere direttivo dell'imprenditore non con riguardo al contenuto delle prestazioni, né alle loro modalità sotto il profilo tecnico, ma ai limiti esterni dell'attività professionale, vale a dire all'inquadramento della prestazione nell'ambito dell'organizzazione aziendale, fermo restando che, per aversi subordinazione, non è necessario che il potere direttivo del datore di lavoro si esplichi mediante ordini continui o che la vigilanza svolta sul lavoratore sia strettamente vincolante, potendo l'assoggettamento realizzarsi attraverso direttive programmatiche o di coordinamento dell'attività del lavoratore medesimo (Corte Appello Potenza 12/10/00, pres. Scermino, est. Vetrone, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 924)
  • Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari - come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della subordinazione (Cass. 26/8/00, n. 11182, pres. Trezza, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 648)