Dequalificazione

 

  • In tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, dell’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua persona- lità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale. (Cass. 16/12/2020 n. 28810, Pres. Balestrieri Rel. Galli, in Lav. nella giur. 2021, 309)
  • In caso di demansionamento, la liquidazione dei danni può essere determinata in misura pari a una percentuale della retribuzione percepita dal lavoratore per tutto il periodo di demansionamento. (Trib. Milano 3/6/2013, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2013, 961)
  • In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. (Cass. 4/3/2011 n. 5237, Pres. Roselli Est. Stile, in Orient. giur. lav. 2011, 64)
  • In tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Inoltre mentre il risarcimento del danno biologico  è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni. Ne discende che il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione e di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere a una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art. 2697 c.c. (Cass. 17/9/2010 n. 19785, Pres. Vidiri Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2010, 1135)
  • In caso di dequalificazione del lavoratore, che lamenti un danno biologico conseguente alla modifica delle mansioni, il rapporto eziologico tra il provvedimento di modifica delle mansioni e la malattia sussiste anche quando il provvedimento costituisca solo una concausa della malattia e abbia operato su di un substrato patologico preesistente. (Cass. 26/1/2010 n. 1575, Pres. De Luca Est. Curzio, in Orient. giur. lav. 2010, 77)
  • La violazione del diritto del lavoratore all'esecuzione della propria prestazione è fonte di responsabilità risarcitoria per il datore di lavoro; peraltro, se essa prescinde da uno specifico intento di declassare o svilire il lavoratore a mezzo della privazione dei suoi compiti, la responsabilità stessan deve essere non di meno esclusa - oltre che nei casi in cui possa ravvisarsi una causa giustificativa del comportamento del datore di lavoro connessa al'esercizio dei poteri imprenditoriali, garantiti dall'art. 41 Cost., ovvero di poteri disciplinari - anche quando l'inadempimento della prestazione derivi comunque da causa non imputabile all'obbligato, fermo restando che, ai sensi dell'art. 1218 c.c., l'onere della prova della sussistenza delle ipotesi ora indicate grava sul datore di lavoro, in quanto avente, per questo verso, la veste di debitore. (Corte app. Roma 1/10/2007, Pres. Marasco Rel. Poscia, in Lav. nella giur. 2008, 322)
  • La mancata ottemperanza del datore di lavoro all'ordine di reintegrazione susseguente a licenziamento illegittimo mette il dipendente nell'impossibilità di esercitare qualsiasi tipo di capacità professionale, situazione che rientra nel più ampio concetto di demansionamento, disciplinato dall'art. 2103 c.c.; in applicazione di tale norma va dunque risarcito al lavoratore, oltre alla perdita delle retribuzioni fino alla reintegrazione come previsto dall'art. 18 c. 4° SL l'ulteriore danno (quale lucro cessante) derivante dalla forzata inattività e consistente nella perdita o mancata acquisizione della professionalità con conseguente minore capacità di guadagno. La natura delle mansioni specifiche precedentemente esercitate e la durata del periodo di forzata inattività possono far ritenere raggiunta la prova logica per presunzioni in ordine alla sussistenza del danno lamentato. (Corte app. Brescia 27/6/2007, Pres. Nora Est. Terzi, in D&L 2007, con nota di Davide Bonsignorio, "Va risarcito il danno da demansionamento derivante da mancata ottemperanza all'ordine di reintegrazione ex art. 18 SL", 1119) 
  • La dequalificazione consistita nell'allontanamento del lavoratore da mansioni che per contratto richiedono esperienza di lavoro determina un danno da perdita di esperienza professionale, incidente sul patrimonio seppure non esattamente determinabile nel suo ammontare. (Cass. 4/4/2007 n. 8475, Pres. Senese, in D&L 2007, 449)
  • La totale esclusione del redattore ordinario dalle mansioni proprie della qualifica, con un accertato periodo di inattività di sei mesi, determina una palese violazione dell'art. 2103 c.c. a cui consegue, tralaltro, il diritto al risarcimento del danno professionale che può essere provato in giudizio mediante presunzioni semplici. Sussiste tuttavia a carico del lavoratore un onere di allegazione degli elementi (prolungata inoperosità - natura dell'attività svolta - risvolti di visibilità e di carattere professionale che comporta) dai quali si può risalire in via deduttiva al fatto ignoto e cioè alla esistenza del danno. (Trib. Milano 9/3/2007, Dott.ssa Sala, in Lav. nella giur. 2007, 1261)
  • Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno alla professionalità subito a causa della lesione del proprio diritto a eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere a una valutazione equitativa. (Trib. Milano 28/1/2007, Est. Sala, in D&L 2007, con nota di Emanuela Maggiore, "La dequalificazione del giornalista: ancora sul risarcimento del danno professionale", 457)
  • Commettono il reato di cui all'art. 323 c.p. il sindaco e il segretario comunale che, rimuovendo una dipendente dal servizio di addetta al protocollo generale e assegnandola ad altro meno qualificante incarico, abbiano a essa arrecato un danno ingiusto, consistito sia in un danno alla salute a causa del conseguente stato di disagio e frustrazione, sia in un danno economico dovuto a una valutazione della sua produttività attestatasi a un livello inferiore rispetto a quello che avrebbe potuto conseguire in caso di mantenimento del precedente incarico. (Cass. pen. sez. VI n. 18275, Pres. Sansone Est. Conti, in Dir. e prat. lav. 2007, 1728)
  • In tema di mansioni del lavoratore ai fini dell'applicabilità dell'art. 2103 c.c. sul divieto di demansionamento, non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente a integrarlo, dovendo invece farsi riferimento all'incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto dal dipendente e sulla sua collocazione nell'ambito aziendale e, con riguardo al dirigente, altresì alla rilevanza del titolo. (Trib. Ravenna 9/3/2007, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2007, 631)
  • In tema di demansionamento, il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non può prescindere da una specifica allegazione e prova in ordine alla natura e alle caratteristiche del pregiudizio che ne deriva. L'adibizione a un'attività meno qualificata fa sorgere la presunzione di una diminuzione dell'attitudine professionale e del valore di mercato del lavoratore. Nella determinazione del risarcimento del danno da demansionamento può incidere il concorso di colpa del lavoratore, il quale abbia ritardato a proporre l'azione giudiziaria e non abbia invitato il datore di lavoro all'eliminazione della situazione illegittima. (Cass. 20/10/2006 n. 22551, Pres. e Est. Mileo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Vincenzo Luciani, "Risarcimento del danno da dequalificazione professionale: accertamento presuntivo e rilevanza della colpa del lavoratore nella liquidazione del danno", 349)
  • Il diritto al risarcimento del danno da demansionamento si estingue per prescrizione nel termine ordinario decennale, trattandosi di responsabilità di natura contrattuale. (Cass. 5/10/2006 n. 21406, Pres. Ravagnani Est. Di Cerbo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Immacolata Linciano, "Accertamento e quantificazione del danno da dequalificazione professionale: un nuovo intervento della Cassazione", 442)
  • L'ampiezza del dislivello fra le mansioni precedentemente svolte dal lavoratore e quelle inferiori successivamente assegnategli è un elemento di presunzione utilizzabile nell'accertamento del danno da dequalificazione; il risarcimento di tale danno può essere determinato equitativamente dal giudice di merito in misura pari a una frazione della retribuzione relativa al periodo in cui si è verificata la dequalificazione. (Cass. 5/10/2006 n. 21406, Pres. Ravagnani Est. Di Cerbo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Immacolata Linciano, "Accertamento e quantificazione del danno da dequalificazione professionale: un nuovo intervento della Cassazione", 442)
  • In tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale che ne deriva non può prescindere da una specifica allegazione e offerta di prova, nel ricorso introduttivo del giudizio, circa la natura e le caratteristiche del pregiudizio medesimo. (Cass. 15/9/2006 n. 19965, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Valentina Pasquarella, "Incompatibilità degli incarichi di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione", 676)
  • In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell'esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. (Cass. 26/6/2006 n. 14729, Pres. Sciarelli Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2007, 84 e in Dir. e prat. lav. 2007, 492)
  • In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c. il giudice del merito può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. (Cass. 21/6/2006 n. 14302, Pres. Senese Est. Di Cerbo, in D&L 2006, 807)
  • In caso di demansionamento professionale il giudice può addivenire a un giudizio positivo in ordine alla sussistenza in concreto di un danno alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro e alla professionalità in base alla valutazione degli elementi emersi nel corso dell'istruttoria (caratteristiche e durata del demansionamento, mancata utilizzazione del patrimonio professionale acquisito e conseguente impoverimento della capacità pofessionale, perdita di chance in un momento in cui l'ufficio si stava ampliando). Il riconosciuto danno di natura professionale deve essere liquidato in via equitativa utilizzando quale parametro di riferimento la retribuzione (nella fattispecie il danno è stato liquidato in misura corrispondente a una quota della retribuzione mensile lorda). (Trib. Varese 31/5/2006, est. Fumagalli, in D&L 2006)
  • In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale -, non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psicofisica sica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva e interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo tralatro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno e all'esterno del luogo di lavoro del'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto), si possa, attraverso un pridente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. (Cass. 24/3/2006 n. 6572, in Giust. Civ. 2006, 1443, e in Dir. e prat. lav. 2006, 2680)