Licenziamento discriminatorio

  • La nozione di disabilità, anche ai fini della tutela in materia di licenziamento, deve essere costruita in conformità al contenuto della Dir. n. 2000/78/CE del 27 novembre 2000 sulla parità di trattamento in materia di occupazione, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, quindi quale limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale sulla base del principio di uguaglianza con gli altri lavoratori. (Cass. 12/11/2019 n. 29289, Pres. Nobile Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2020, con nota di G. Schiraldi, L’accomodamento ragionevole tra la roccaforte della tutela antidiscriminatoria e gli effetti indesiderati, 970)
  • In tema di licenziamento discriminatorio incombe sul lavoratore l’onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso (nella specie, è stata esclusa la configurabilità di una condotta discriminatoria nel licenziamento di una lavoratrice affetta da handicap, in forza della dimostrata necessità di riduzione del personale di un’unità e del divieto di recesso nei confronti dell’unica altra dipendente ex art. 54, comma 9, d.lgs. 151/2001). (Cass. 27/10/2018 n. 23338, Pres. Di Cerbo Est. Ponterio, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di M. Novella, “Il licenziamento discriminatorio: fattispecie e ripartizione degli oneri probatori”, 46)
  • Si considera discriminatorio il licenziamento fondato su ragioni inerenti la nazionalità e la lingua, ai sensi dell’art. 15 Legge 300/1970. Conseguentemente, quando il lavoratore soddisfi l’onere della prova posto a suo carico, è onere del datore di lavoro provare la sussistenza di cause di esclusione, tenuto conto che non può ritenersi discriminatoria la scelta datoriale che penalizzi il dipendente portatore di un fattore di protezione ove lo stesso, in ragione della peculiare attività svolta o del contesto in cui la stessa viene espletata, rappresenti un requisito essenziale allo svolgimento dell’attività medesima. (Trib. Milano 19/12/2017, ord., Est. Colosimo, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di G. Pacella, “Fungibilità o non fungibilità della prestazione di lavoro: se la nazionalità non è la ragione dell’assunzione, non può essere criterio di scelta nel licenziamento per g.m.o.”, 538)
  • In caso di licenziamento discriminatorio, la nullità opera obiettivamente in ragione del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta e a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro. Nell’ipotesi di licenziamento ritorsivo, invece, non solo il recesso deve essere ingiustificato, ma è necessario che il motivo che si assume illecito sia stato anche l’unico determinante. (Cass. 9/6/2017, n. 14456, Pres. Amoroso Est. Garri, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di D. Del Biondo, “Il regime della prova nel licenziamento discriminatorio ritorsivo”, 27)
  • Nel caso in cui sia esclusa l’applicabilità della tutela reintegratoria, deve ritenersi rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012 e, conseguentemente, si deve pronunciare il rigetto del ricorso stesso. (Trib. Milano 22/2/2014, Giud. Martello, in Lav. nella giur. 2014, 617)
  • Non può qualificarsi come discriminatorio il licenziamento collettivo che interessi tutti e solo i lavoratori a tempo indeterminato ancora in forza dell’impresa – avendo gli altri dipendenti aderito alla proposta di trasformazione dei rapporti in contratti a termine – se rispondente all’esigenza organizzativa dell’azienda di sospendere il sinallagma contrattuale nel periodo di sospensione dell’attività: è infatti la finalità perseguita a orientare in modo vincolante l’individuazione dei lavoratori da licenziare. (Trib. Padova 5/6/2013, Giud. Dallacasa, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Valeria Nuzzo, “Quanto la ‘forma comune di rapporto di lavoro’ diventa incompatibile con l’organizzazione datoriale”, 43)
  • Il concetto di licenziamento discriminatorio, sancito dall’art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall’art. 15 della legge n. 300 del 1970 e dall’art. 3 della legge n. 108 del 1990, è suscettibile di interpretazione estensiva: l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, che costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione a comportamenti sgraditi all’imprenditore, quando quest’ultima rappresenti l’unica ragione del provvedimento espulsivo. (Cass. 3/8/2011 n. 16925, Pres. Vidiri Rel. Zappia, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di C. Pederzoli, “Licenziamento pretestuoso e motivo illecito: un’incerta linea di confine”, 362)
  • Non costituisce violazione del divieto di trattamenti discriminatori il licenziamento disciplinare per “culpa in vigilando” disposto dal datore di lavoro nei confronti del dirigente, appartenente a un’associazione religiosa, che abbia incautamente autorizzato quest’ultima a somministrare ai dipendenti un test attitudinale invasivo nei riguardi della loro vita privata, non essendovi alla base del recesso l’orientamento etico religioso dell’associazione di appartenenza, ma solo i riflessi negativi della vicenda sul contesto aziendale e sulla serenità dei dipendenti. (Cass. 16/2/2011 n. 3821, Pres. Roselli Est. Arienzo, in Orient. Giur. Lav. 2011, 161)
  • La prova dell'intento discriminatorio per motivi politici deve essere fornita dal lavoratore licenziato. Tale intento può escludersi qualora il datore si sia sforzato di ricercare il consenso del dipendente su possibili soluzioni bonarie ad una difficoltà occupazionale. (Corte d'appello de L'Aquila 5/8/2003, Pres. Finucci Rel. Sordi, in Lav. nella giur. 2004, 400)
  • Sono utilizzabili per stabilire il carattere discriminatorio e antisindacale del licenziamento elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che, nella fattispecie concreta, sono risultati essere la mancanza di effettiva consistenza del giustificato motivo oggettivo addotto, l'accesa conflittualità sindacale tra le parti e la provata insofferenza del legale rappresentante della società nei confronti della lavoratrice, sfociata in insulti e propositi di liberazione (Pret. Milano 28/2/94, est. Ianniello, in D&L 1995, 93)
  • Il licenziamento adottato per motivi discriminatori, in violazione dell'art. 15 SL, è nullo e a esso consegue l'applicazione dell'art. 18 della legge citata (nella fattispecie la ricorrente era stata licenziata dopo aver denunciato le molestie sessuali subite da parte di un altro dipendente) (Pret. Milano 27/5/96, est. Curcio, in D&L 1997, 157)
  • Il regime della prova presuntiva, che è prova piena quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 2729 c.c., è stato adottato dal legislatore in tema di discriminazione sessuale, e trova applicazione anche in caso di licenziamento determinato da motivo discriminatorio, imponendo al datore di lavoro, ai sensi dell'art. 4 c. 5 L. 125/91, un'inversione dell'onere della prova (Pret. Milano 27/5/96, est. Curcio, in D&L 1997, 157)