Licenziamento in genere

  • Il licenziamento del dirigente non può trovare la sua giustificazione, ed è al limite del ritorsivo, se fondato su una riorganizzazione che sia stata adottata per far fronte ad un suo lungo stato di malattia.
    Il Tribunale accoglie il ricorso con cui un dirigente licenziato per ragioni economiche lamentava il carattere illegittimo del licenziamento, ritenuto ritorsivo. Il Giudice rileva come nella decisione aziendale di estromettere il lavoratore avesse assunto un ruolo decisivo la sua prolungata assenza per malattia, e che in tale circostanza conferma l’illiceità il fatto che ruolo di direttore dello stabilimento già ricoperto dal ricorrente non fosse stato soppresso, ma solo affidato a un manager dipendente della società capogruppo. Riconosciuta al dirigente la l’indennità supplementare del CCNL dirigenti d’industria, nella sua misura massima. (Trib. Rovereto 7/3/2023, dott. Cuccaro, in Wikilabour, Newsletter n. 7/23)
  • La disciplina sulla decadenza del Collegato Lavoro non può riferirsi anche alle ipotesi di mera ingiustificatezza del licenziamento dei dirigenti, se per questi ultimi non era ancora stata prevista alcuna tutela rafforzata propria di un regime di invalidità, riguardante casi esterni alla legge 604/1966: perciò, deve essere esclusa l’estensione del regime decadenziale, che dipende dal significato che si attribuisce al termine “invalidità”, a casi che rientrano nel più ampio concetto di illegittimità. L’ambito di applicabilità oggettiva dell’art. 32, co. 2, l. n. 183/2010 non può che riferirsi alle ipotesi di stretta invalidità (rectius: nullità) menzionate dall’art. 18, co. 1, St. lav. In caso di proposizione dell’azione avente ad oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro ex  art. 18 St. lav., in ipotesi di nullità, e dell’azione diretta ad ottenere l’indennità supplementare, alla diversità delle azioni corrisponde un diverso regime di impugnazione. (Cass. 13/1/2020 n. 395, Pres. Nobile Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2020, coon nota di R. Vianello, “Sulla non estensibilità del termine di cui all’art. 32, l. n. 183/2010 al licenziamento ingiustificato del dirigente: la Cassazione sposa la teoria del doppio binario”, 311)
  • L’espressione “invalidità” deve essere intesa in senso restrittivo, avendo riguardo ai confini della categoria di tale vizio propriamente inteso, in relazione alla rilevata incapacità di un atto privato contrario ad una norma di produrre effetti conformi alla sua funzione economico-sociale: nel concetto di invalidità non può, pertanto, ricondursi l’ipotesi della “ingiustificatezza” di fonte convenzionale, cui consegue la tutela meramente risarcitoria dell’indennità supplementare. (Cass. 13/1/2020 n. 395, Pres. Nobile Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2020, coon nota di R. Vianello, “Sulla non estensibilità del termine di cui all’art. 32, l. n. 183/2010 al licenziamento ingiustificato del dirigente: la Cassazione sposa la teoria del doppio binario”, 311)
  • L’impugnazione del licenziamento del dirigente rientra nell’ambito di applicazione del rito ex art. 1, co. 47 ss., della l. n. 92/2012, qualora, in base alla prospettazione della domanda, il recesso sia ritenuto discriminatorio e, dunque, meritevole della tutela ex art. 18 l. n. 300/1970. (Trib. Roma 23/10/2014, ord., Est. Marrocco, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Daniela Schiuma, “Licenziamento del dirigente, accordi aziendali e rito Fornero: una decisione controversa”, 427)
  • Un accordo aziendale di riduzione del personale con qualifica dirigenziale, sottoscritto da una rsa in possesso dei requisiti previsti dall’art. 5 Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 è idoneo ad acquisire efficacia per tutto il personale in forza nell’azienda di riferimento anche se non sia stato sottoposto al voto certificativo dei lavoratori, la cui consultazione si configura come eventuale. (Trib. Roma 23/10/2014, ord., Est. Marrocco, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Daniela Schiuma, “Licenziamento del dirigente, accordi aziendali e rito Fornero: una decisione controversa”, 427)
  • La nozione di giustificatezza del licenziamento non coincide con quello di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento del lavoratore subordinato, ma è molto più ampia, e si estende sino a comprendere qualsiasi motivo di recesso che ne escluda la arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e di buona fede e del divieto di licenziamento discriminatorio. (Trib. Milano 18/7/2014, Giud. Gasparini, in Lav. nella giur. 2015, 98)
  • Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla l. n. 604/1966, artt. 1 e 3, e la nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, prevista dalla contrattazione collettiva di settore, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dalla stessa l. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3. (Cass. 19/6/2014 n. 13958, Pres. Roselli Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2014, 1125)
  • Ferma la specificità della posizione del dirigente anche all’atto del recesso dal rapporto a iniziativa del datore di lavoro, l’onere della prova della sussistenza di un’idonea giustificazione a base del licenziamento (con o senza preavviso) grava pur sempre sulla parte datoriale. (Trib. Milano 7/4/2014, Giud. Greco, in Lav. nella giur. 2014, 933)
  • Per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di ristrutturazione aziendale, non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie, in quanto quel che rileva è che presso l’azienda non esista più una posizione lavorativa esattamente sovrapponibile a quella del lavoratore licenziato. (Trib. Milano 14/3/2014, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2014, 721)
  • La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi incombenti in forza dell’art. 1 della Direttiva europea 98/59/CE del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, in quanto ha escluso la categoria dei “dirigenti” dalla disciplina dei licenziamenti collettivi della L. 23 luglio 1991, n. 223. (Corte Giustizia UE 13/2/2014, causa C-596/12, Pres. Silva de Lapuerta Rel. Bonichot, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Michele Miscione, 233)
  • Va disposta la condanna della Repubblica Italiana la quale, avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 2, della legge del 23 luglio 1991, n. 223, la categoria dei “dirigenti” dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. (Corte di Giustizia 13/2/2014, C-596/12, Pres. Silva de Lapuerta Rel. Bonichot, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Donini, “Estensione della procedura di licenziamento collettivo ai dirigenti: un vuoto di tutela colmato?”, 366)
  • L’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro di una P.A. con un dirigente (nella specie comunale) comporta l’applicazione, al rapporto fondamentale sottostante, della disciplina dell’art. 18 Stat. Lav., con conseguenze reintegratorie, a norma dell’art. 51 comma 2 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, mentre all’incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria. (Cass. 29/7/2013 n. 18918, Pres. Roselli Est. Napoletano, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Raffaele Squeglia, 1077)
  • L’art. 32, co. 2, l. n. 183/2010, facendo riferimento a tutti i casi di invalidità del licenziamento, estende la regolamentazione di cui all’art. 6 l. n. 604/1966 anche alla ipotesi di nullità e ingiustificatezza dell’atto di recesso a iniziativa datoriale posto in essere nei confronti del dipendente con qualifica dirigenziale. (Trib. Milano 9/7/2013 n. 2797, Est. Cipolla, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Roberto Pettinelli, “Il dirigente, il giudice e il legislatore: l’impugnazione del licenziamento tra ‘invalidità’ e ‘ingiustificatezza’, e Anna Rota, “Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento nei termini di cui all’art. 6, L. n. 604/1966”, 275)
  • La disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 604 del 1966, neppure ai dirigenti convenzionali, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, a eccezione, tuttavia, degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro che dirigenti non sono, non essendo le mansioni da essi espletate riconducibili in alcun modo alla nozione ordinamentale o contrattuale del dirigente. (Cass. 23/11/2012 n. 20763, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013, 197)
  • È illegittimo il licenziamento intimato al dirigente d’azienda sulla scorta di accertamenti effettuati per un lasso di tempo inidoneo a effettuare una valutazione compiuta del suo operato. (Trib. Milano 26/7/2012, Est. Scarzella, in D&L 2012, con nota di Davide Bonsignorio, “Sul potere di controllo del datore di lavoro”, 738)
  • I criteri cui parametrare la giustificatezza del licenziamento del dirigente sono quelli del rispetto da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede e del divieto di licenziamento discriminatorio per motivo illecito nonché quello civilistico che in materia di inadempimento impone una valutazione della gravità dell’inadempimento secondo un criterio di proporzionalità. (Trib. Milano 21/3/2012, Giud. Atanasio, in Lav. nella giur. 2012, 731)
  • La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo ex art. 1 della l. n. 604/1966, potendo rilevare qualsiasi motivo purché apprezzabile sul piano del diritto idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore. Ne consegue che anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili “ex ante”, o una importante deviazione del dirigente dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, o un comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale possono, a seconda delle circostanze, costituire ragione di rottura del rapporto fiduciario e, quindi, giustificarne il licenziamento sul piano della disciplina contrattuale dello stesso, con valutazione rimessa al giudice di merito sindacabile, in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione. (Cass. 1/2/2012 n. 1424, Pres. Lamorgese Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2012, 404)
  • Stante l’autonomia concettuale del requisito della “giustificatezza contrattuale” rispetto a quello di giustificato motivo (nel senso che il criterio di valutazione del primo, di natura prettamente convenzionale, risulta più ampio di quello del secondo, tipizzato dall’art. 3 della legge 604/66), la soppressione della posizione organizzativa di direttore generale, quale insindacabile scelta imprenditoriale giustificata dalla necessità di fronteggiare situazioni di perdite economiche dell’azienda, giustifica il licenziamento del dirigente. (Trib. Napoli 17/1/2012 n. 975, Giud. Scognamiglio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Joanna Mugneco, “Giustificatezza e obbligo di repechage: aspetti controversi del licenziamento del dirigente d’azienda”, 822)
  • Pur dovendosi riconoscere che le garanzie procedimentali ex art. 7, l. n. 300/1970 trovano applicazione anche nell’ipotesi di licenziamento del personale dirigente, tale tutela non ha luogo nel caso in cui il recesso non abbia natura ontologicamente disciplinare ma sia invece dovuto a una riorganizzazione aziendale volta a fronteggiare una sfavorevole congiuntura economica. (Cass. 21/3/2011 n. 6367, Pres. Vidiri Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2011, 630)
  • Le garanzie procedimentali sancite dalla l. n. 300/1970 (art. 7, commi 2 e 3) trovano applicazione anche nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente – a prescindere dalla specifica collocazione che egli riveste nell’impresa – sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o colpevole), sia che, a base del recesso, siano comunque poste condotte suscettibili di far venire meno la fiducia. Dalla violazione delle predette garanzie derivano incontestabilmente l’impossibilità di far valutare le condotte che hanno provocato il recesso e la conseguente applicazione degli effetti stabiliti dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento ingiustificato. (Cass. 17/1/2011 n. 897, Pres. Foglia Est. Curzio, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Gianluigi Girardi, 807)
  • Ai fini della spettanza dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la giustificatezza del recesso non deve necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale continuazione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa. (Trib. Milano 2/9/2010, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2010, 1145)
  • La nozione di giustificatezza del licenziamento, in considerazione della specialità della posizione del dirigente nell'ambito dell'organizzazione aziendale, si distingue da quella di giustificato motivo ex L. 15 luglio 1966, n. 604, e consiste nell'assenza di arbitrarietà, o, per converso, nella ragionevolezza del provvedimento che lo dispone, da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede. (Cass. 14/4/2010 n. 8893, Pres. Vidiri Est. Bandini, in Orient. giur. lav. 2010, 359)
  • Il dirigente che, in conseguenza della risoluzione del rapporto di lavoro per recesso ingiustificato del datore, rivendica il risarcimento del danno biologico dovuto all'illegittima condotta datoriale, deve provare i fatti posti a fondamento della domanda, in quanto gli effetti risarcitori non derivano automaticamente dall'accertata illegittimità del recesso, e, in particolare, deve provare l'elemento soggettivo della colpa grave e del dolo sotteso ai comportamenti datoriali. (Cass. 22/3/2010 n. 6847, Pres. Roselli Est. Morcavallo, in D&L 2010, con nota di Vania Scalambrieri, "Il risarcimento del danno biologico per illegittimo licenziamento presuppone la prova dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo al datore di lavoro", 582, e in Orient. giur. lav. 2010, 368)
  • La valutazione della giustificatezza del licenziamento del dirigente deve essere operata sulla base di criteri non integralmente coincidenti con quelli di cui alla L. n. 604/196: invero l'espressione "giustificatezza" utilizzata nella disposizione contrattuale non corrisponde al concetto legale di giustificato motivo, posto che, comunque, rispetto al dirigente resta un'area di libera recedibilità del datore di lavoro. Ciò significa che il licenziamento del dirigente è ingiustificato ogni volta che il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamentale di buona fede che presiede all'esecuzione dei contratti ex art. 1375 c.c. (Trib. Milano 22/11/2007, Est. Vitali, in Lav. nella giur. 2008, 742)
  • La distinzione, operata dalla giurisprudenza in passato, tra dirigente apicale e dirigente convenzionale è irrilevante con specifico riferimento alle garanzie procedimentali dettate dall'art. 7 SL, le quali devono essere, comunque, applicate a prescindere dalla specifica collocazione che il dirigente assume nell'impresa. Ne consegue la declarazione diilliceità del licenziamento disposto nei confronti del dirigente per ragioni soggettive, in assenze delle garanzie difensive previste dalla disciplina statutaria. (Cass. 21/11/2007 n. 24246, Pres. Ciciretti Est. Monaci, in D&L 2008, con nota di Giuseppe Bulgarini D'Elci, "Licenziamento del dirigente: si conferma il superamento della distinzione tra dirigenti apicali e dirigenti minori o pseudodirigenti", 283)
  • La declaratoria di illiceità del licenziamento disposto nei confronti del dirigente comporta unicamente il diritto al pagamento delle apposite indennità previste dalla contrattazione collettiva, ma non quello alla reintegrazione nel posto di lavoro né al pagamento delle retribuzioni mensili maturate medio tempore, in quanto ai dipendenti inquadrati nella categoria dirigenziale - a prescindere dalla distinzione tra un livello alto, intermedio o basso - non si applica la disciplina legale sulla limitazione dei licenziamenti. (Cass. 21/11/2007 n. 24246, Pres. Ciciretti Est. Monaci, in D&L 2008, con nota di Giuseppe Bulgarini D'Elci, "Licenziamento del dirigente: si conferma il superamento della distinzione tra dirigenti apicali e dirigenti minori o pseudodirigenti", 283)
  • In assenza di una definizione contrattuale di cosa renda ingiustificato il licenziamento non sarà possibile fare riferimento alla normativa in vigore per le altre categorie di lavoratori. Infatti, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente ai fini dell'indennità spettante alla stregua della contrattazione di categoria non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo del lavoratore subordinato ex L. n. 604/1966, stante la peculiarità di un rapporto in cui l'aspetto fiduciario assume - specialmente per il dirigente maggiore o di vertice - un'incisiva rilevanza. Conseguentemente, fatti e condotte non integrabili una giusta causa o giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare di cui alla contrattazione collettiva, allorquando risultino suscettibili di concretizzazione valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo in relazione al carattere spiccatamente fiduciario di questo. (Trib. Milano 14/11/2007, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 430)
  • La disciplina limitativa dei licenziamenti prevista per i dirigenti trova applicazione non solo nei confronti del dirigente apical, posto cioè al vertice dell'organizzazione aziendale e preposto, quale alter ego dell'imprenditore, alla direzione dell'intera azienda ovvero di una branca o settore autonomo di essa, ma anche nei confronti di quello non apicale, con esclusione solamente dei soggetti per i quali l'attribuzione della qualifica sia avvenuta, sulla base di una convenzione individuale, in deroga ai principi di legge e alla normativa contrattuale collettiva. La qualifica di dirigente non presuppone una posizione apicale assoluta, dovendosi ritenere che la presenza di una pluralità di dirigenti di livelli diversi, con graduazione di compiti, sia compatibile con la complessità delle attuali organizzazioni aziendali. (Cass. 5/10/2007 n. 20895, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Francesco Basenghi, "Il licenziamento del dirigente: alcuni spunti di riflessione", 659)
  • Considerato il particolare modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenzial, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo del recesso del datore di lavoro ex art. 1 l. n. 604/1966; conseguentemente, fatti e condotte non integranti tali fattispecie con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato in generale possono ben giustificare il licenziamento, ai fini della giustificatezza del quale può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro. (Cass. 5/10/2007 n. 20895, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Francesco Basenghi, "Il licenziamento del dirigente: alcuni spunti di riflessione", 659)
  • Il lavoratore che abbia rinunziato alla qualifica dirigenziale già acquisita e abbia smesso di svolgerne le relative mansioni, pur conservando il precedente trattamento retributivo dopo il passaggio alle mansioni inferiori, può essere licenziato (ove non sia intervenuta la caducazione di tale rinuncia, che non è nulla ma annullabile, ai sensi dell'art. 2113 c.c., su impugnazione del solo lavoratore) soltanto per giusta causa o giustificato motivo, ancorchè per fatti riferibili a epoca in cui il lavoratore medesimo era dirigente, dovendo la tutela applicabile essere individuata con riguardo al posto ricoperto dal lavoratore all'epoca del licenziamento, dato che in tale posto - e non in quello (dirigenziale) precedentemente occupato - egli sarebbe reimmesso in caso di accoglimento dell'impugnazione del recesso. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto e confermato a sentenza impugnata, con la quale, sul presupposto dell'applicabilità della tutela prevista dalla L. n. 300 del 1970, era stata accolta l'impugnativa di licenziamento, siccome privo di giustificato motivo o di giusta causa, intimato nei confronti di primario di reparto ospedaliero che aveva svolto le mansioni di dirigente apicale, quale direttore sanitario, dal cui incarico era stato dimesso senza che lo stesso avesse impugnato il relativo provvedimento datoriale, così rinunciando alla qualifica dirigenziale ricoperta, con la conseguente impossibilità, da parte del datore di lavoro, di far valere, in suo favore, l'invalidità del proprio atto negoziale di revoca dell'incarico di dirigente al dipendente). (Cass. 20/2/2007 n. 3920, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2007, 1145 e in ADL 2008, con commento di Carla Spinelli, "Rinuncia alla qualifica dirigenziale e tutela applicabile in caso di licenziamento", 162, e in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Tiziana Laratta, "Rinuncia alla qualifica dirigenziale e applicazione del regime generale di protezione contro il licenziamento", 856)
  • Nel caso di licenziamento di un dirigente pubblico per mancato superamento della prova, l'atto di recesso, qualora intimato dopo che il periodo di prova era scaduto, è illegittimo e in virtù dell'art. 51, D.Lgs. 165/2001 le conseguenze di tale illegittimità sono quelle previste dall'art. 18 SL: reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno. (Cass. 1/2/2007 n. 2233, Pres. Senese Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Luigi Menghini, 895, e in Lav. nelle P.A. 2007, con commento di Marco Sgroi, "Dirigenti pubblici e tutela reale ex art. 18 SL in caso di licenziamento illegittimo", 515)
  • Il licenziamento ad nutum, a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, è applicabile solo a un dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo dirigente è soggetto alle norme ordinarie della L. 15/7/66 n. 604 e dello Statuto dei Lavoratori. (Cass. 22/12/2006 n. 27464, Pres. Senese Est. D'Agostino, in D&L 2007, con nota di Alvise Moro, Pseudo dirigenti e tutela reale", 207 e in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di A. Zoppoli, "Il lavoro dirigenziale tra regole giuridiche e distinzioni sociologiche", 641)
  • Il rapporto di lavoro dei dirigenti, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 108 del 1990, non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli artt. 1 e 3, legge 604 del 1966, non avendo la suddetta legge n. 108 inciso sull'art. 10 della legge n. 604, con la consegu8enza che nel suddetto rapporto di lavoro la stabilità può essere assicurata soltanto mediante l'introduzione a opera dell'autonomia collettiva o individuale di limitazioni alla facoltà di recesso del datore di lavoro; tuttavia, in caso di recesso - come nella specie - non affetto da nullità ma soltanto ingiustificato, l'atto di recesso è inidoneo a realizzare la risoluzione del rapporto di lavoro soltanto nell'ambito dell'area di operatività della stabilità reale. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito che, a fronte del recesso datoriale dal rapporto di lavoro con due dirigenti comunicato per un motivo non consentito dal contratto di lavoro, aveva ritenuto che il rapporto di lavoro non si fosse risolto). (Cassa con rinvio, App. Trieste, 28 gennaio 2004). (Cass. 22/6/2006 n. 14461, Pres. Mercurio Est. Lamorgese, in Dir. e prat. lav. 2007, 435)
  • Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966 e la nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, posta dalla contrattazione collettiva di settore, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall'art. 3 della stessa legge 15 luglio 1966, n. 604. Inoltre, ai fini della spettanza dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la giustificatezza del recesso del datore di lavoro non deve necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e di buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello della libertà di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata, ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta degli enunciati principi, ha confermato la sentenza impugnata che, all'esito di giudizio di rinvio, aveva correttamente escluso la pretestuosità del licenziamento del dirigente ricorrente, alla stregua - in applicazione della sentenza di cassazione rescindente - della giustificatezza del recesso datoriale fondato sul legittimo esercizio del potere riservato all'imprenditore di riorganizzare le risorse umane in modo da consentire una gestione non in perdita dell'azienda). (Rigetta, App. Milano, 28 aprile 2003). (Cass. 14/6/2006 n. 13719, Pres. Ianniruberto Est. Amoroso, in Dir. e prat. lav. 2007, 134)
  • Non ricorre il requisito della giustificatezza del dirigente nel caso in cui dalla comunicazione di recesso emerga il connotato meramente eventuale e potenziale, e non attuale, della soppressione del posto di lavoro, collegata all’approvazione di un progetto di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale nel quale non sono esplicati tempi e modalità delle medesime e nella quale si faccia riferimento alla non prevedibilità di un futuro proficuo utilizzo del lavoratore. (Corte app. Firenze 23/11/2005, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2006, con n. Roberto Muller, “Sulla nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente”, 601)
  • Anche nell’ipotesi di licenziamento del dirigente per motivi di carattere economico conseguenti a scelte organizzative dell’impresa, è indispensabile valutare la natura spiccatamente fiduciaria del rapporto di lavoro del dirigente; pertanto, in ragione della peculiare struttura del rapporto del dirigente, è giustificato il licenziamento motivato dalla convenienza della riduzione dei costi gestionali, non essendo necessaria l’esistenza di una conclamata crisi economica aziendale. (Corte app. Firenze 25/10/2005, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2006, con n. Andrea Danilo Conte, “Il licenziamento economico del dirigente tra oggettività e soggettività del vincolo fiduciario”, 581)
  • Considerata la particolare configurazione del rapporto di lavoro dirigenziale, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento ex art. 1 della legge 604/1966; conseguentemente, fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato, ben possono giustificare il licenziamento, per cui, ai fini della giustificatezza del medesimo, può rilevare qualsiasi motivo, purchè apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente. La valutazione dell’idoneità del fatto materiale ad integrare la giustificatezza è rimessa al giudice di merito ed in sede di legittimità resta sindacabile solo per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto idonea a pregiudicare il rapporto di fiducia la condotta di un dirigente che aveva comunicato ad un collega fatti non veri e disdicevoli sul conto della società e del suo presidente ed aveva determinato talvolta un intralcio al normale svolgimento dell’attività produttiva). (Cass. 19/8/2005 n. 17039, Pres. mercurio Rel. Curcuruto, in Dir. e prat. lav. 2006, 472)
  • È illegittimo il licenziamento del dirigente di azienda industriale, se il provvedimento risulti carente di specifiche e circostanziate motivazioni, così come prescritto dalla contrattazione collettiva applicabile. La motivazione deve sostanziarsi nella precisazione degli addebiti che determinano l’uso del potere risolutivo e non può ritenersi in alcun modo surrogata dalla conoscenza aliunde degli stessi. L’inottemperanza a tale obbligo inficia la validità del provvedimento di licenziamento per mancanza di requisiti formali ex art. 1352 c.c. (Trib. Milano 12/7/2005, Est. Chiavassa, i Orient. Giur. Lav. 2005, 694)
  • A differenza dell’esonero del datore di lavoro dal pagamento dell’indennità supplementare, generalmente prevista per i dirigenti d’azienda della contrattazione collettiva, che presuppone la giustificatezza del licenziamento, l’esonero dall’obbligo del preavviso o da quello alternativo del pagamento dell’indennità sostitutiva presuppone la giusta causa, nozione non del tutto sovrapponibile a quella di giustificatezza; mentre la giusta causa consiste in un fatto che, in concreto valutato (e cioè, sia in relazione alla sua oggettività sia con riferimento alle sue connotazioni soggettive), determina una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto, tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo – ancor più strettamente vincolata al carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale – è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicchè non giustificato è il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto. (Cass. 1/6/2005 n. 11691, Pres. Ciciretti rel. Stile, in Lav. e prev. oggi 2005, 1278)
  • In tema di licenziamento dei dirigenti, per quanto non possa affermarsi che la nozione di “giustificatezza” coincida con quella di giustificato motivo di cui all’art. 3 della legge n. 604 del 1966, gli elementi di tale nozione devono essere ricostruiti dal giudice di merito – sulla scorta delle specifiche espressioni letterali delle clausole contrattuali – attraverso il riferimento alle nozioni legali di giusta causa o di giustificato motivo di licenziamento. (Nella specie, la Corte Cass. ha ritenuto che il giudice di merito non avesse fatto corretta applicazione di questo principio per aver commisurato gli addebiti contestati esclusivamente in termini di lesione del vincolo fiduciario, nulla dicendo in ordine all’eventualità che gli stessi potessero integrare la giustificatezza, nel senso della non arbitrarietà o non pretestuosità, del licenziamento). (Cass. 3/1/2005 n. 27, Pres. Mercurio Rel. Foglia, in Dir. e prat. lav. 2005, 1361)
  • La regola della licenziabilità ad nutum dei dirigenti, desumibile dall’art. 10, L. n. 604/1966, è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. (Cass. 9/8/2004 n. 15351, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Cesare Pozzoli, 556)
  • Considerato il particolare modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenziale, la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o di giustificato motivo del licenziamento ex art. 1 della legge n. 604 del 1966, conseguentemente fatti o condotte non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato, ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, per cui, ai fini della giustificatezza del medesimo, può rilevare qualsiasi motivo, purchè apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente: maggiori poteri presuppongono una maggiore intensità della fiducia e uno spazio più ampio ai fatto idonei a scuoterla. La valutazione dell’idoneità del fatto materiale ad integrare la giustificatezza è rimessa al giudice di merito ed in sede di legittimità resta sindacabile solo per vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto idonea a minare il rapporto di fiducia la condotta di un dirigente che non aveva controllato l’ufficio amministrativo da lui dipendente, in maniera tale da ottenere, all’occorrenza, dati contabili certi e precisi, sulla base dei quali predisporre, in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, un progetto di bilancio attendibile e tempestivo e per non aver fatto sì che gli uffici da lui dipendenti fossero efficienti e in grado di approntare la documentazione necessaria). (Cass. 7/8/2004 n. 15322, Pres. Sciarelli Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2005, 127)
  • La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quella di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento ex art. 1 della legge 15 luglio 1966 n. 604, stante la peculiarità di un rapporto in cui l’aspetto fiduciario assume (Cass. 6 aprile 1998 n. 3527). Conseguentemente, fatti o condotte non integrabili una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente; per cui, ai fini della giustificatezza del licenziamento può rilevare qualsiasi motivo, purchè apprezzabile sul piano del diritto (Cass. 27 agosto 2003 n. 12562). In tal modo, limiti al potere del datore sono stati individuati in primo luogo nell’arbitrarietà (al fine di evitare una generalizzata legittimazione della piena libertà di recesso: Cass. 3 aprile 2002 n. 4729), nonché nel rispetto dei principi di correttezza e di buona fede, dei quali è specificazione anche il divieto di atti discriminatori ex articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108 (ex plurimis, Cass. 12 febbraio 2000 n. 1591). (In fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto insussistente la giustificatezza del licenziamento del dirigente, anzi generici e pretestuosi gli addebiti, confermando così la sentenza del Tribunale). (Cass. 1/7/2004 n. 12090, Pres. Prestipino Rel. Cuoco, in Lav. e prev. oggi 2004, 1845)
  • La nozione contrattuale collettiva di giustificatezza del licenziamento del dirigente non coincide con quella di giusta causa o giustificato motivo ed è meno rigida dell’altra di cui all’art. 2119 c.c. e, soprattutto, di cui all’art. 3, L. n. 604/1966, in particolare essendone estranei, quanto al rapporto di quest’ultima, i caratteri di extrema ratio attribuiti dalla giurisprudenza al giustificato motivo oggettivo, con il conseguente obbligo di repéchage. Tuttavia, ai fini della ricostruzione della nozione appare più appropriato il riferimento all’esistenza di una causa ragionevole e meritevole di tutela anziché alle regole di correttezza e buona fede e alla pretestuosità del licenziamento, essendo quelle regole strumenti di adattamento delle singole norme ai principi dell’ordinamento. (Corte d’appello Milano 11/6/2004, Pres. Ruiz Rel. De Angelis, in Lav. nella giur. 2005, 189)
  • La specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambito dell'organizzazione aziendale impedisce una identificazione della nozione di del suo licenziamento-sottratto al regime della tutela obbligatoria di cui all'art. 3 della legge n. 604/1966, come di quella reale ex art. 18 legge n. 300/1970-con quelle di o del licenziamento del lavoratore subordinato, ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità supplementare spettante alla stregua della contrattazione collettiva al dirigente licenziato ingiustificatamente. Trattandosi di un elemento di esclusiva origine negoziale, l'interpretazione della disposizione contrattuale che prevede il canone della giustificatezza del recesso va compiuta-nell'ambito di una valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento, al fine di evitare una generalizzata legittimazione della piena libertà di recesso del datore di lavoro-dal Giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneuticacontrattuale, ovvero se non sia sorretta da una motivazione sufficiente logica e coerente. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l'applicabilità dell'art. 19 del Ccnl dei dirigenti di imprese industriali, il quale prevede, a carico dell'imprenditore, il pagamento di una penale risarcitoria, nel caso del licenziamento privo del requisito della giustificatezza, in quanto le risultanze dell'istruttoria avevano permesso di accertare sia che il dirigente licenziato non era mai stato addetto al settore la cui ristrutturazione era stata indicata quale causa della risoluzione del rapporto, sia che la riorganizzazione di altri settori dell'azienda, pure richiamata per giustificare il recesso, era stata effettuata in un tempo apprezzabilmente anteriore al licenziamento). (Cass. 20/6/2003, n. 9896, Pres. Dell'Anno, Rel. Stile, in Dir. e prat. lav. 2003, 3179)
  • Ove con la lettera di licenziamento di un dirigente il datore di lavoro comunichi il recesso con effetto immediato, senza il rispetto, quindi, dei termini di preavviso, e con riconoscimento del diritto del dirigente alla relativa indennità sostitutiva, l'effetto risolutorio del rapporto, proprio della dichiarazione unilaterale recettizia del datore, si produce al momento del ricevimento della comunicazione da parte del dipendente. Ne consegue l'irrilevanza della malattia insorta successivamente la quale può sospendere solo la decorrenza del periodo di preavviso lavorato, dato che l'effetto c.d. reale attribuito al preavviso del contratto collettivo (interpretato secondo i canoni di ermeneutica contrattuale) altro non è che una fictio iuris che consente al dirigente di beneficiare di eventuali aumenti economici e normativi introdotti successivamente alla risoluzione del rapporto. (Trib. Milano 17/6/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 385)
  • La nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, posta dalla contrattazione collettiva, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento di cui all'art. 3 della legge n. 604/1966. Pertanto, i comportamenti del dirigente, pur non integrabili in una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subordinato, possono giustificare il licenziamento del dirigente, con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare di cui alla contrattazione collettiva, allorquando risultino suscettibili di concretizzare una valida ragione di cessazione del rapporto lavorativo in ragione della concreta posizione assunta nell'organizzazione aziendale del dirigente stesso e del carattere spiccatamente fiduciario del rapporto di lavoro. (Cass. 12/4/2002, n. 11118, Pres. Sciarelli, Est. Balletti, in Giur. italiana 2003, 1376, con nota di Camilla Nannetti, Brevi note sulla nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente)
  • La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non si identifica con quelle di giusta causa o giustificato motivo del licenziamento del lavoratore subordinato di cui alla L. 15/7/66 n. 604, stante la peculiarità di un rapporto in cui l'aspetto fiduciario assume - specialmente per il cosiddetto dirigente maggior o di vertice - un'incisiva rilevanza. Tuttavia, al fine di considerare giustificato il licenziamento del dirigente, si richiede che sopravvenga un qualche fatto, oggettivamente apprezzabile, che, se anche non sia dimostrativo del venir meno del rapporto di fiducia tra imprenditore e dirigente, tuttavia sia tale da indurre il primo a ritenere non conveniente, per il buon andamento dell'azienda, utilizzare ulteriormente il secondo. (Nella fattispecie la Corte ha escluso la giustificatezza del licenziamento disposto dal datore di lavoro non per sopperire a mancanze imputabili, sia pure indirettamente, alla conduzione aziendale da parte del dirigente, esclusivamente al fine di sostituirlo con altro dirigente da lui più apprezzato). (Cass. 8/5/2001 n. 9715, Pres. Santojanni Est. Mileo, in D&L 2002, 421, con nota di Claudia Messana, "Sull'applicabilità delle garanzie procedimentali dell'art. 7 SL al dirigente di vertice declassato e sul licenziamento del dirigente per ragioni di nepotismo")
  • Nell'ambito del rapporto dirigenziale, la cui disciplina è ispirata alla libera recedibilità, e in virtù dell'autonomia negoziale riconosciuta dagli artt. 1321 e 1322 c.c., le parti sono libere, così come di stipulare un patto di prova per il caso di nuova assunzione, anche di riconoscere pattiziamente soltanto al datore di lavoro la facoltà di risolvere il rapporto entro un breve termine, dietro corresponsione al dirigente di una penale, scegliendo in tal modo uno schema contrattuale preposto a rimuovere possibili situazioni di incertezza sugli effettivi diritti della parti nel caso di estinzione (Cass. 30/10/00, n. 14299, pres. Santojanni, est. Putaturo Donati, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 542, con nota di Di Paola, Patto di "prova unilaterale" atipico nel rapporto dirigenziale e ambito di applicazione dell'articolo 2113 c.c.: un chiarimento utile della Cassazione)
  • La specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambito dell'organizzazione aziendale impedisce una identificazione tra la nozione di "giustificatezza" del licenziamento ai fini della indennità supplementare spettante alla stregua della contrattazione collettiva al dirigente e quella di "giusta causa" o "giustificato motivo" del licenziamento del lavoratore subordinato a norma della l. n. 604/66; ne consegue che fatti o condotte non integranti giusta causa o giustificato motivo con riguardo al rapporto di lavoro in generale ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare di cui alla contrattazione collettiva; in questa prospettiva il criterio col quale valutare la legittimità del licenziamento del dirigente è dato dal rispetto da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (Cass. 4/1/00, n. 22, pres. Dell'Anno, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 298, con nota di Foglia, Licenziamento del dirigente e qualificazione della nozione convenzionale di "giustificatezza")
  • L'esclusione legale della categoria dei dirigenti dall'ambito dell'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, con la conseguente possibilità di licenziamento ad nutum, è limitata unicamente a coloro che appartengono all'alta dirigenza, caratterizzata dall'ampiezza ed effettività del potere gestorio e corrispondente alla nozione originaria dell'alter ego dell'imprenditore e non anche agli appartenenti alla dirigenza media e bassa, che gode delle medesime garanzie di stabilità degli altri lavoratori. In conformità a tale principio desunto da norme inderogabili di legge, il Ccnl del personale direttivo delle aziende di credito distingue tra dirigenti che compongono la direzione dell'intera azienda ovvero di pari grado, il cui licenziamento resta regolato esclusivamente dal codice civile e altri dirigenti, cui si applicano le normali regole del licenziamento "giustificato" (Cass. sez. lav. 12 novembre 1999 n. 12571, pres. De Tommaso, est. Sciarelli, in D&L 2000, 209, n. Ianniello, Ancora sul licenziamento dei dirigenti intermedi. Una svolta?; in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 73, con nota di Gramiccia, Il licenziamento del dirigente di vertice e dello pseudo dirigente; in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 746, con nota di Venditti, Recesso ad nutum e licenziamento del dirigente minore)
  • Il requisito della giustificatezza del licenziamento richiesto dalla contrattazione collettiva fornisce ai dirigenti – non dotati di stabilità né reale né obbligatoria – la minor tutela consistente nel penalizzare il recesso che non risponda a condizioni minime di ragionevolezza e cioè che da un lato non sia coerente con la motivazione addotta e dall’altro rappresenti l’esercizio arbitrario e non conforme a buona fede e correttezza della facoltà di recesso (Trib. Milano 12/1/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 385)
  • L’attribuzione da parte del datore di lavoro della qualifica dirigenziale a un proprio dipendente può essere contestata da quest’ultimo ove le mansioni effettivamente svolte non corrispondano a quelle previste e/o manchino i caratteri distintivi propri della qualifica dirigenziale: in tal caso, trattandosi in realtà di pseudo dirigente, il rapporto di lavoro soggiace all’ordinaria disciplina legale limitativa dei licenziamenti (Pret. Napoli 10/6/97, est. Vitiello, in D&L 1998, 109, n. MANNA, Il controllo del giudice sull'attribuzione convenzionale della qualifica di dirigente)
  • Non può ritenersi giustificato il licenziamento del dirigente che non sia sorretto da motivi di una certa consistenza e ragionevolezza, tenendo conto delle posizioni e dei contrapposti interessi delle parti: in particolare, non può ritenersi contestabile il modo in cui il dirigente perviene a un risultato utile all’azienda, a meno che non gli si imputi di avere agito scorrettamente o in modo illecito; nemmeno è censurabile l’avere posto all’azienda l’alternativa fra le proprie dimissioni e la risoluzione del rapporto con un consulente, perché il dirigente può disporre del proprio rapporto di lavoro e può e deve esprimere i propri giudizi e convinzioni nelle questioni sulle quali è chiamato a operare e rispondere (Trib. Milano 10/9/97, pres. ed est. Ruiz, in D&L 1998, 190)
  • Al licenziamento intimato al dirigente, giusto il disposto di cui all'art. 10 L. 604/66, non può trovare applicazione il termine di decadenza di cui all'art. 6 della medesima legge, mentre si applica la procedura ex art. 7 S.L. (Pret. Monza 11/3/96, est. Padalino, in D&L 1996, 792) 
  • Compete il risarcimento dei danni al dirigente che abbia perduto il diritto alla copertura assicurativa prevista dall'art. 12 c. 4 CCNL 16/5/85 Dirigenti aziende industriali, a cagione della colpevole inerzia della società datrice nei confronti della compagnia assicuratrice, ove risulti accertato che il rapporto di lavoro si è effettivamente risolto a causa dell'invalidità del dirigente, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto (Trib. Sondrio 19/12/94, pres. Guadagnino, est. Covino, in D&L 1996, 183)