Tempestività del recesso

  • In tema di licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi dell'urgenza che si impongono nell'ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo decorso fra la data di detto superamento e quella del licenziamento - al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto - vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità o meno con la continuazione del rapporto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la concessione al lavoratore di un congedo parentale, dopo il superamento del periodo di comporto, incompatibile con la volontà di rescindere il rapporto). (Cass. 23/1/2008 n. 1438, Pres. Senese Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2008, 523)
  • La valutazione in ordine alla tempestività del recesso per superamento del periodo di comporto deve essere operata dal giudice di merito avendo riguardo non solo al mero dato temporale, ma anche a tutte quelle circostanze che possono apparire significative di un’eventuale rinuncia implicita del datore di lavoro, per fatti concludenti, al potere di recesso (nella specie la sentenza di merito, cassata dalla Corte, aveva ritenuto tempestivo il licenziamento intimato a cinque mesi dal rientro in servizio della dipendente) (Cass. 29/7/99 n. 8235, pres. Amirante, est. De Matteis, in D&L 1999, 907 e in Dir. Lav. 2000, pag. 293con nota di Pennisi, Licenziamento per superamento del periodo di comporto e “ spatium deliberandi”)
  • In ipotesi di avvenuto superamento del periodo di comporto, l'accettazione, da parte del datore di lavoro, della ripresa dell'attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé a rinuncia al diritto di recedere dal rapporto, ai sensi dell'art. 2110 c.c., e quindi non preclude (salvo diversa previsione della disciplina collettiva) l'esercizio di tale diritto, ferma peraltro la necessità della sussistenza di un nesso causale fra la intimazione del licenziamento ed il fatto (superamento del periodo di comporto) addotto a sua giustificazione; la prova della sussistenza di tale nesso (che è in re ipsa in ipotesi di licenziamento intimato non appena superata la soglia del comporto) deve essere fornita dal datore di lavoro nel caso di licenziamento intimato dopo un apprezzabile intervallo, e cioè dopo alcune settimane (o addirittura mesi), mentre, nel caso di licenziamento intimato dopo pochi giorni dalla riammissione in servizio, è onere del lavoratore provare che tale riammissione costituisce nel caso concreto - eventualmente in concorso con altri elementi - una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso. Spetta comunque al giudice del merito valutare la congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento (Cass. 6/7/00, n. 9032, pres. Amirante, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 361)
  • Il periodo di comporto previsto dal Ccnl delle aziende municipalizzate di nettezza urbana riguarda la sola malattia, dovendosi escludere la possibilità di computare anche le assenze dovute ad infortunio. Il licenziamento ex art. 2110 c.c. va intimato tempestivamente e deve risultare inequivocabilmente connesso all'avvenuto superamento del periodo di comporto. In assenza di tale nesso temporale-causale, il recesso del datore di lavoro, in occasione di una nuova assenza per malattia del lavoratore alla quale consegua un nuovo superamento del periodo di comporto, è legittimo soltanto qualora il nuovo episodio morboso sia diverso, per natura o gravità, da quello precedente e tale, comunque, da giustificare un mutamento dell'interesse dell'imprenditore alla prosecuzione del rapporto. (Trib. Milano 23/5/2002, Est. Atanasio, in D&L 2002, 991, con nota di Patrizia Testa, "Gli effetti della tardività della reazione datoriale nel caso di plurimi superamenti del periodo di comporto")
  • Il recesso per superamento del periodo di comporto non deve essere immediato - come quando sia allegata da parte del datore di lavoro una giusta causa di recesso ai sensi dell'art. 2119 c.c. - ma solo tempestivo; tale requisito è infatti necessario per non lasciare il rapporto di lavoro in un prolungato stato di risolubilità. Tuttavia, il datore di lavoro che abbia lasciato riprendere l'attività ad un lavoratore che abbia già superato il periodo massimo di comporto, può legittimamente intimare il licenziamento a seguito di una ripresa di morbilità che abbia comportato il superamento del periodo di comporto in un diverso e successivo arco temporale (calcolato a ritroso a partire dall'ultima assenza), a nulla rilevando che parte di quelle assenze fossero già calcolabili in un arco temporale di riferimento già trascorso (Cass. 2/5/00, n. 5485, pres. Grieco, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 367)
  • Anche nell'ipotesi di comporto per sommatoria, deve essere valutato secondo il principio di buona fede - con conseguente illegittimità del licenziamento intimato in violazione dello stesso - il comportamento del datore di lavoro che ometta di comunicare il recesso subito dopo il superamento del periodo di comporto e mantenga in servizio il dipendente per molti mesi - durante i quali peraltro il lavoratore si assenta dal servizio solo per pochi giorni - senza che in tale lungo periodo sia avvenuto un fatto nuovo tale da giustificare una diversa valutazione, da parte del datore, relativa alla morbilità del prestatore di lavoro. (Trib. Milano 23/4/2003, Est. Marasco, in Lav. nella giur. 2003, 1172)
  • E’ illegittimo per mancanza del requisito della tempestività il licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, intimato dopo uno “spatium deliberandi” non adeguato e proporzionato alle procedure d’accertamento del caso (Trib. Milano 31/7/99, est. Porcelli, in Dir. Lav. 2000, pag. 293, con nota di Pennisi, Licenziamento per superamento del periodo di comporto e “ spatium deliberandi”)
  • Anche nel caso di superamento da parte del dipendente del periodo di comporto cosiddetto per sommatoria, il recesso del datore di lavoro deve essere caratterizzato da tempestività, requisito la cui sussistenza va verificata dal giudice di merito con riferimento all'intero contesto delle circostanze al riguardo significative (ivi compresa la eventuale complessità strutturale e organizzativa del datore di lavoro) non potendo il detto recesso considerarsi giustificato a norma dell'art. 2110 c.c. qualora il datore di lavoro, valutati nel loro complesso gli episodi morbosi del lavoratore riammesso in servizio, lasci trascorrere un ulteriore e prolungato lasso di tempo prima di esercitare la facoltà di sciogliere il rapporto, potendo tale atteggiamento rilevare come implicita rinuncia a tale facoltà, in una valutazione complessiva del comportamento delle parti, condotta secondo il fondamentale principio di buona fede e di correttezza (Cass. 17/6/98, n. 6057, pres. Rapone, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 364)
  • E' illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ove l'esercizio del potere di recesso intervenga con notevole ritardo rispetto al momento del superamento del periodo stesso (nella fattispecie concreta, sei mesi); infatti, le vicende successive al superamento del periodo di comporto, quali la ripresa dell'attività lavorativa e il godimento delle ferie da parte del lavoratore, integrano la rinuncia, per fatti concludenti, del datore di lavoro al potere di recesso (Pret. Milano 25/10/95, est. Taraborrelli, in D&L 1996, 246. In senso conforme, v. Pret. Milano 3/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 435)
  • Nel caso di mancato tempestivo esercizio della facoltà di recesso per superamento del periodo di comporto, è illegittimo il licenziamento successivamente intimato al termine di una nuova assenza per malattia avvenuta a distanza di tempo (nella fattispecie la lavoratrice era stata licenziata al termine di una breve malattia intervenuta ad oltre 10 mesi dall'avvenuto superamento del periodo di comporto) (Pret. Milano 3/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 435)