Comporto per sommatoria

  • Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c. sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, principio cui può derogare la contrattazione collettiva prevedendo un diversificato periodo di comporto dovuto ad infortunio. (Trib. Roma 23/3/2020, Giud. Lucarelli, in Lav. nella giur. 2020, 1000)
  • Il superamento del periodo di comporto rappresenta un elemento unitario rispetto al superamento anche del successivo periodo di aspettativa che sia stata richiesta, ai sensi di quanto previsto dal contratto collettivo, da parte del lavoratore ammalato; ne consegue che il datore di lavoro che intenda procedere al licenziamento ha l’obbligo di dare contezza dei giorni di assenza computati nell’uno e nell’altro periodo. (Cass. 10/12/2012 n. 22392, Pres. De Renzis Rel. Rosa, in Lav. nella giur. 2013, 196)
  • Le assenze dovute alle conseguenze di un infortunio sul lavoro non sono utili ai fini del computo del periodo di comporto ove l’azienda non dimostri di non esserne stata a conoscenza senza sua colpa; in difetto della prova di tale circostanza non è quindi consentita la riduzione dell’ammontare del risarcimento economico spettante al lavoratore illegittimamente licenziato. (Cass. 20/12/2011 n. 27689, Pres. Amoroso Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 305)
  • In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto in cui l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore, il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di essere messo nelle condizioni di formulare eventualmente rilievi, ha l’onere di chiedere al datore di lavoro di specificare, per l’appunto, tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che, nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo. (Trib. Nocera Inferiore 24/3/2011, Giud. Ruggiero, in Lav. nella giur. 2011, 745)
  • L’avvenuto superamento del periodo di comporto, anche di quello c.d. per sommatoria conseguente al verificarsi di una serie distinta di episodi morbosi, determina il diritto del datore di lavoro di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, senza che debba sussistere uno specifico onere di contestare le singole assenze, ben potendo il datore limitarsi a indicare il numero complessivo di queste nel periodo di valutazione considerato utile. (Cass. 17/1/2011 n. 916, Pres. Foglia Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2011, 411)
  • Qualora l'applicato Ccnl determini il periodo di comporto in mesi e si sia in presenza di assenze non continuative, per la verifica del superamento del comporto è necessaria la previa traduzione del termine espresso in mesi in un corrispondente numero di giorni (nel caso di specie la comune volontà delle parti collettive stipulanti l'applicato Ccnl per i dipendenti delle aziende di credito è stata interpretata nel senso che a ogni mese corrispondono 30 giorni, con la conseguenza che è stato considerato legittimo il licenziamento intimato al dipendente per superamento del previsto periodo di comporto di 30 mesi una volta raggiunto il 901° giorno di malattia nell'arco temporale di riferimento. (Trib. Milano 28/3/2008, Est. Mennuni, in D&L 2008, 1033)
  • In tema di licenziamento del lavoratore per superamento del periodi di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi dell'urgenza che si impongono nell'ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo decorso fra la data di detto superamento e quella del licenziamento - al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto - vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità o meno con la continuazione del rapporto. (Nella specie, la S.C. , nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la concessione al lavoratore di un congedo parentale, dopo il superamento del periodo di comporto, incompatibile con la volontà di rescindere il rapporto). (Rigetta, App. Torino, 24 gennaio 2005). (Cass. 23/1/2008 n. 1438, Pres. Senese Est. De Renzis, in Dir. e prat. lav. 2008, 2015)
  • L'art. 2 L. 15/7/66 n. 604, trova applicazione anche in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto; conseguentemente il datore di lavor, a fronte della tempestiva richiesta del lavoratore, ha l'onere di indicare i giorni di assenza con un grado di specificità tale da consentire al lavoratore di rendersi conto delle assenze contestate (nella fattispecie, in presenza di un rapporto part-time verticale, il datore di lavoro aveva ridotto il periodo di comporto contrattuale riproporzionandolo al tempo parziale senza dare spiegazione di ciò nella lettera di licenziamento e il lavoratore aveva chiesto tempestivamente i motivi del licenziamento, anche in relazione al mancato raggiungimento del periodo di comporto contrattualmente definito. (Trib. Milano 5/11/2007, ord., Pres. Martello Est. Cincotti, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, "Licenziamento per superamento del periodo di comporto: oneri fiscali e rapporti part-time", 312)
  • L'istituto della presupposizione quale elemento determinante della volontà trova applicazione anche in materia di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo detrminato successivamente dichiarato illegittimo; pertanto, l'atto di dimissioni, determinato dall'erronea rappresentazione della sussistenza di un valido rapporto a termine, non ha alcun effetto qualora venga dichiarata l'illegittimità del termine e quindi la sussistenza tra le parti di un assetto contrattuale del tutto diverso da quello rappresentato dal lavoratore al momento di presentazione delle dimissioni. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, "Illegittimità del termine ed effetto "moviola": orientamenti della giurisprudenza verso una tutela "integrale"", 547)
  • Ai fini del calcolo del periodo di comporto, per anno solare deve intendersi non già l'anno civile decorrente dal 1 gennaio al 31 dicembre, ma il periodo di 365 giorni decorrenti dalla data del primo episodio morboso o, a ritroso, da quella del licenziamento. (Trib. Milano 3/10/2007, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 199)
  • Ove il contratto collettivo contempli soltanto il comporto secco e non anche quello per sommatoria, il giudice deve procedere alla integrazione della norma contrattuale secondo equità, fissando in tre anni il periodo massimo (termine esterno) nel quale va sommata la durata di tutti i molteplici episodi morbosi (termine interno), contemperando il diritto alla salute del lavoratore con il diritto del datore a ricevere la regolare prestazione dedotta in contratto. (Corte app. MIlano 20/1/2006, Pres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2006, 1029)
  • In caso di malattia del lavoratore, l’art. 2110 c.c., comma secondo c.c. – il quale prevede che il recesso del datore di lavoro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell’impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi e secondo equità (cosiddetto comporto) – non va riferito esclusivamentealla malattia a carattere unitario e continuativo, ma deve ritenersi comprensivo anche dell’ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorchè frequenti e discontinue in relazione ad uno stato di salute malfermo (cosiddetta eccessiva morbilità). Ne consegue, stante la prevalenza dell’art. 2110 c.c. (disposizione speciale) sulla disciplina generale della risoluzione del rapporto di lavoro, che, anche nelle ipotesi di reiterate assenze per malattie del dipendente, il datore di lavoro non può licenziare per giustificato motivo, ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ma può esercitare il recesso solo dopo il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità. (Cass. 22/7/2005 n. 15508, Pres. Senese Rel. Cellerino, in Lav. e prev. oggi 2005, 1839)
  • È illegittimo, per violazione degli obblighi di buona fede e di correttezza, il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, allorquando il datore di lavoro non abbia provveduto con congruo anticipo a comunicare l’imminenza del superamento di tale limite al lavoratore. (Trib. Milano 23/5/2005, Est. Frattin, in orient. Giur. Lav. 2005, 692)
  • In caso di cosiddetto comporto secco, che si riferisce all’ipotesi di un unico evento morboso e non prevede il cosiddetto comporto per sommatoria che riguarda l’ipotesi di una pluralità di eventi morbosi frazionati o intermittenti, è facoltà del giudice determinare con criterio di equità il limite di conservazione del posto con riferimento al periodo previsto dal contratto collettivo per il comporto secco, fissando, come termine esterno (cioè il periodo entro cui sono computabili tutti gli episodi di malattia verificatisi) un periodo di durata pari a quello previsto dal contratto per il comporto secco. (Trib. Milano 28/2/2005, Est. Salmeri, in Orient. Giur. Lav. 2005, 154)
  • Nel licenziamento per superamento del comporto di malattia non sussiste l'eadem ratio che sostiene l'esigenza di immediatezza del recesso nel licenziamento disciplinare. L'esigenza di tempestività, in questo caso, deve essere contemperata con il ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perchè egli possa convenientemente valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore. La valutazione dell'equo contemperamento delle cennate esigenze e, in definitiva, della congruità o no del tempo intercorso tra la ripresa del lavoro e il licenziamento, compete al giudice di merito e deve essere operata con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. (Cass. 7/1/2005 n. 253, Pres. Ciciretti, Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2006., con nota di Elena Signorini, "Sul diverso contenuto della regola dell'immmediatezza nel licenziamento disciplinare e in quello per superamento del comporto", 89)
  • Ai fini della determinazione del periodo di comporto spettante al lavoratore nel caso di assenze per malattia intermittenti, il termine esterno è correttamente fissato in misura equivalente al normale triennio di durata dell’efficacia del contratto collettivo, sicchè il comporto va calcolato con riferimento alle assenze complessive del lavoratore ancorchè iniziate prima dell’entrata in vigore dell’ultimo contratto collettivo nell’ambito della cui vigenza è stato intimato il licenziamento. (Corte d’appello Milano 22/12/2004, Pres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2005, 592)
  • La tolleranza del datore di lavoro – il quale, pur rilevando che il dipendente ha realizzato un numero di assenze che consentirebbe il licenziamento per superamento del periodo di comporto, non esercita subito tale diritto – non può definitivamente essere pregiudicata se si realizzino nuove assenze che si aggiungono a quelle per le quali il comporto era stato già superato. (Corte d’appello Milano 11/6/2004, Pres. De Angelis Rel. Accardo, in Lav. nellagiur. 2005, 192)
  • È illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto per malattia qualora il datore di lavoro, a fronte di richiesta del dipendente formulata prima del superamento, si sia dichiarato disponibile a concedere l'aspettativa non retribuita prevista dal Ccnl. (Cass. 9/4/2004 n. 6978, Pres. Senese Est De Matteis, in D&L 2004, 411)
  • Ai fini della motivazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto per sommatoria è sufficiente l'indicazione del numero complessivo delle assenze effettuate. Non incorre nell'inadempimento delle obbligazioni di cui all'art. 2087 c.c. il datore di lavoro che si sia attenuto alle indicazioni mediche ricevute, pur in presenza di CtuPres. Mannacio Est. Accardo, in D&L 2003, 391, con nota di Patrizia Testa, "Superamento del periodo di comporto per sommatoria: osservazioni sul rispetto dell'art. 2 L. 604/66 nella motivazione del recesso e sugli obblighi derivanti dal datore di lavoro dall'art. 2087 c.c.") medico legale che accerti il nesso di causalità tra le mansioni svolte dal lavoratore, il peggioramento della patologia di quest'ultimo e le assenze causa del licenziamento per superamento del comporto. (Corte d'Appello Milano 21/2/2003,
  • Nel caso in cui il CCNL di riferimento regolamenti solo l'ipotesi del comporto cd. "secco", compete al giudice la determinazione di quello per sommatoria: in tale ipotesi pare congrua ed osservante dei criteri di equità integrativa di cui all'art. 2110 c.c. l'utilizzazione del periodo di comporto previsto per la malattia unitaria, da valutarsi nell'ambito del triennio, termine di durata media dei contratti nazionali di lavoro (Corte Appello Bologna 17/7/00, pres. e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 757, con nota di Zavalloni, Un "cocktail" d'eccezione: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per successivo superamento del comporto)
  • In caso di malattia del lavoratore, l'art.2110, 2°comma, c.c. - il quale prevede che il recesso del datore di lavoro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell'impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi o secondo equità (cd. Periodo di comporto) - non va riferito esclusivamente alla malattia a carattere unitario e continuativo, ma deve ritenersi comprensivo anche dell'ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorchè frequenti e discontinue in relazione a uno stato di salute malfermo (cd. Eccessiva morbilità); ne consegue, stante la prevalenza dell'art. 2110 c.c. (disposizione speciale) sulla disciplina generale della risoluzione del rapporto di lavoro, che, anche nella ipotesi di reiterate assenze per malattia del dipendente, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi dell'art. 3, l. 15/7/66, n. 604, ma può esercitare il recesso solo dopo il periodo all'uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità (Cass. 14/12/99, n. 10465, est. Castiglione, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 439, con nota di Valente, Lavoro a tempo parziale e periodo di comporto tra vecchia disciplina e nuove disposizioni; in D&L 2000, 359, n. Veraldi, Rapporto di lavoro a tempo parziale e periodo di comporto)