In genere

  • Non computabili nel periodo di comporto le assenze per infortunio solo se ne è responsabile il datore di lavoro.
    L’addetta a una mensa aziendale aveva impugnato il licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto, lamentando che in tale periodo fossero state computate le giornate di assenza per un infortunio occorsole in azienda e sostenendo comunque che la responsabilità dell’infortunio doveva essere attribuita alla datrice di lavoro. La Cassazione, confermando il rigetto delle domande disposto dai giudici di merito, (i) ribadisce la propria giurisprudenza, secondo cui le assenze del lavoratore dovute a infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono in linea di principio riconducibili all’ampia e generale nozione contenuta nell’art. 2110 c.c. e sono pertanto normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro; (ii) perché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto non basta, quindi, che si tratti di malattia di origine lavorativa, ma è altresì necessario che in relazione a tale malattia sussista la responsabilità del datore di lavoro; (iii) nel caso di specie, in giudizio era emersa l’assoluta imprevedibilità dell’evento (lo scoppio della vetrinetta termica), alla luce del grado di diligenza esigibile in base alle norme tecniche e precauzionali del tempo, per cui la Corte d’appello aveva correttamente escluso che la responsabilità dell’infortunio risalisse al datore di lavoro. 
    (Cass. 27/4/2023 n. 11136, ord., Pres. Doronzo Rel. Pagetta, in Wikilabour, Newsletter n. 9/23)
  • Licenziamento per eccessiva morbilità legittimo solo se si supera il periodo di comporto.
    Un lavoratore era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, in ragione della scarsissima utilità per l’impresa della sua prestazione a cagione delle numerose, imprevedibili assenze per malattia negli ultimi sei anni. Nel giudizio di impugnazione di tale licenziamento, la Cassazione, respingendo il ricorso della società, ricorda che in relazione alle assenze per malattia è possibile unicamente, secondo la disciplina speciale di cui all’art. 2110 cod. civ. il licenziamento per superamento del periodo di comporto. Secondo la Corte, infatti, in caso di eccessiva morbilità del dipendente, il contemperamento dei confliggenti interessi del datore di lavoro e del lavoratore si realizza con la rilevanza oggettiva delle assenze per malattia, che comportano il licenziamento solo se sia superato il periodo di tolleranza stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità. 
    (Cass. 27/4/2023 n. 11174, Pres. Raimondi Rel. Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 9/23)
  • È nullo il licenziamento per superamento del comporto se parte delle assenze sono imputabili alle mansioni svolte e dunque a colpa del datore di lavoro, anche se ha fatto affidamento sulla valutazione del medico del lavoro. 
    Al fine della verifica dell’effettivo superamento del comporto da parte del lavoratore, occorre sottrarre dai giorni di assenza per malattia quelli causati dall’assegnazione a mansioni incompatibili con il suo stato di salute. Nel caso di specie, la consulenza medico-legale ha riscontrato che la patologia sofferta dal ricorrente trovava un peggioramento nelle stesse mansioni assegnate dal datore di lavoro. Il CTU nominato dal Tribunale ha criticato i giudizi di idoneità del medico competente, per non aver tenuto conto delle particolari attività di movimentazione di carichi svolte dal ricorrente, indicate come cause dell’ingravescenza della patologia. Il Tribunale ha dunque accertato che le assenze per malattia erano imputabili al datore di lavoro, poiché quest’ultimo, nel fare affidamento sulle valutazioni del medico competente, sopporta il rischio delle conseguenze derivanti dal giudizio errato di quest’ultimo. (Trib. Parma 18/4/2023, Giud. Moresco, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2023)
  • Nel caso di licenziamento del lavoratore per l’avvenuto superamento del periodo di comporto, il giudizio sulla tempestività del recesso non può derivare da un’applicazione rigida dei criteri cronologici predeterminati, dovendo il giudice verificare caso per caso le circostanze significative in concreto mediante apposita valutazione di congruità. Sarà il lavoratore a dover provare che l’intervallo temporale tra il superamento del periodo di comporto e la comunicazione di recesso ha superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza, sì da far ritenere la sussistenza di una volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto. (Cass. 11/9/2020 n. 18960, ord., Pres. Raimondi Est. Garri, in Lav. nella giur. 2020, 1208)
  • Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c. (Corte app. Roma 12/6/2020, Pres. Nunziata Rel. Trementozzi, in Lav. nella giur. 2020, 1105)
  • In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto non sussiste, così come nel caso di licenziamento disciplinare, un rigoroso e stringente obbligo di tempestiva comunicazione della causa motivo di risoluzione del rapporto, di talché non costituisce motivo di illegittimità del licenziamento la procrastinazione della comunicazione del licenziamento. (Trib. Livorno 22/5/2020, Giud. Maffei, in Lav. nella giur. 2020, 1106)
  • Illegittimo il licenziamento di un lavoratore per problemi organizzativi aziendali dovuti alle reiterate assenze per malattia, prima del termine del periodo di comporto.
    La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi a seguito di cassazione della sentenza con rinvio, afferma l’illegittimità del licenziamento, adottato da una società nei confronti di un lavoratore per disagi organizzativi dovuti alle reiterate e discontinue assenze per malattia, per violazione dell’art. 2110 c.c.. Il periodo di comporto è posta a garanzia della salute del dipendente, indipendentemente dalle difficoltà, anche reali, che la malattia possa arrecare all’azienda, le quali non possono legittimare un recesso prima del termine di tale periodo. Solo una volta spirato il relativo termine, la società potrà recedere per superamento del periodo di comporto, senza la necessità di addurre una giustificazione oggettiva. (Corte app. Milano 24/6/2020, Pres. Picciau Rel. Vignati, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020)
  • Il licenziamento intimato prima del termine finale del periodo di comporto è nullo e comporta il diritto al ripristino del rapporto di lavoro secondo le norme di diritto comune, quando non sia applicabile la tutela reale.
    Il Tribunale dichiara la nullità del licenziamento per asserito superamento del periodo di comporto, poiché adottato prima dello spirare del termine del periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dal CCNL. Ai fini della normativa applicabile, il Tribunale ritiene che la violazione del dettato di cui all’art. 2110 c.c., qualora si versi in rapporti di lavoro non tutelati dall’art. 18 poiché privi del requisito dimensionale, debba individuarsi nelle norme civilistiche di diritto comune senza che sia possibile un’estensione analogica dell’art. 8 della L. 604/1966. Secondo le ordinarie norme in tema di nullità degli atti, il recesso nullo è “tamquam non esset” e dunque improduttivo di effetti. (Trib. Busto Arsizio 11/3/2020, Giud. Fumagalli, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020)
  • In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale e non oggettiva, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti da conoscenze tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso causale tra l’una e l’altra; solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore l’onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno. Inoltre, l’unico caso in cui le assenze del lavoratore, imputabili a malattia professionale, possono detrarsi dal computo del comporto è quello in cui detta malattia sia riconducibile ad una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. (Cass. 27/2/209 n. 5749, Pres. Nobile Est. Arienzo, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di F. Simeone, “Malattia professionale e periodo di comporto: quando sussiste la responsabilità del datore di lavoro, 461)
  • Si rimette al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite la questione della natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato prima del decorso completo dello stesso periodo e quando il lavoratore è ancora assente per malattia, per stabilire se il licenziamento sia inefficace in via temporanea e, pertanto, possa acquisire efficacia con il successivo superamento del periodo di comporto o se, al contrario, il recesso sia da considerare nullo, perché intimato in contrasto con l’art. 2110 cod. civ. (Cass. 19/10/2017, n. 24766, Pres. Nobile Est. Pagetta, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di G. F. Tempesta, “Il licenziamento per il ‘futuro’ superamento del periodo di comporto: nullità o temporanea inefficacia? La parola alle S.U.”, 72)
  • In tema di licenziamento per superamento del comporto, anche nel regime successivo all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 37, L. n. 92 del 2012 – che ha modificato l’art. 2 della L. n. 604 del 1966 imponendo la comunicazione contestuale dei motivi di licenziamento – il datore di lavoro non deve specificare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee a evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, quali il numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato. (Cass. 24/10/2016 n. 21377, Pres. Nobile Est. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, 198)
  • Le certificazioni mediche possono essere contestate dal datore di lavoro attraverso la valorizzazione di ogni circostanza di fatto volta a dimostrare l’insussistenza della malattia o quanto meno uno stato di incapacità lavorativa tale da giustificare l’assenza. (Cass. 16/8/2016 n. 17113, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2016, 1123)
  • In caso di recesso avvenuto per superamento del periodo di comporto, l’onere della prova circa il raggiungimento del numero massimo di giorni di assenza consentiti è posto a carico del datore di lavoro; da tale ammontare devono tuttavia essere scomputati i periodi di assenza dovuti alla violazione, da parte del datore di lavoro, delle norme poste a tutela della salute dei dipendenti. (Cass. 15/12/2014 n. 26307, Pres. Vidiri Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2015, 309)
  • Il licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto e in costanza di malattia, è radicalmente nullo e non temporaneamente inefficace, per violazione dell’art. 2110 c.c. Ne consegue che deve ritenersi pienamente legittima l’intimazione di un successivo licenziamento, basato anch’esso sul superamento del periodo di comporto, superamento effettivamente avvenuto a seguito di comunicazione del lavoratore del prolungamento del periodo di malattia, tenuto conto che la continuità e la permanenza del rapporto di lavoro – non interrotto da un atto nullo – giustificano l’irrogazione di un secondo licenziamento basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice. (Cass. 18/11/2014 n. 24525, Pres. Macioce Est. Tricomi, in Lav. nella giur. 2015, 311)
  • Il lavoratore che, assente per malattia e impossibilitato a riprendere servizio, intende evitare la perdita del posto di lavoro conseguente all’esaurimento del periodo di comporto, deve comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro possa concedere al medesimo di beneficiarne durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro; né le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile per superare il principio di incompatibilità tra godimento delle ferie e malattia. (Cass. 27/10/2014 n. 22753, Pres. Vidiri Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, 90)
  • Se è vero che ordinariamente il lavoratore è in grado di verificarsi l’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto, nel caso di situazioni di particolare gravità con condizione derivata di sostanziale “minorata difesa”, il richiamo ai principi di solidarietà sociale imponevano un diverso e più attivo comportamento da parte dell’azienda (NDR in parte motiva il giudicante sottolinea la necessità di informare: “quantomeno ai familiari della dipendente con i quali erano rimasti in contatto durante la malattia, anche per informare della possibilità di utilizzare la procedura prevista contrattualmente per salvare il posto di lavoro dall’art. 181”) e tale mancato intervento ha determinato una situazione di discriminazione indiretta. (Trib. Bologna 15/4/2014, Giud. Sorgi, in Lav. nella giur. 2014, 932)
  • Il superamento dei termini previsti per il comporto e l’aspettativa rappresenta la condizione sufficiente a legittimare il recesso datoriale, escludendo ogni necessità di prova, da parte del datore di lavoro, sia in ordine al giustificato motivo oggettivo, sia in relazione all’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa che a quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. (Cass. 20/5/2013 n. 12233, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 845)
  • Nel caso di licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto, che è assimilabile al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poiché il dipendente ha diretta conoscenza degli eventi che legittimano il potere del datore di lavoro di risolvere il contratto, non è necessario che l’atto di recesso indichi in maniera analitica i singoli giorni di assenza. (Cass. 5/4/2013 n. 8440, Pres. Lamorgese Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2013, 614)
  • Nel caso in cui il contratto collettivo preveda che al termine del periodo di comporto, al fine di evitare il licenziamento, il lavoratore possa chiedere un periodo di aspettativa, il datore di lavoro che neghi la fruizione di tale periodo ha l’onere di indicare le ragioni poste a base del proprio rifiuto. (Cass. 12/3/2013 n. 6130, Pres. Coletti De Cesare Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2013, 519)
  • Il ritardo nella spedizione di un certificato medico di continuazione della malattia non legittima il licenziamento nel momento in cui il ritardo è stato determinato dallo stato patologico del lavoratore. (Cass. 12/7/2012 n. 11798, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Stefano Muggia, 271)
  • Le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (c.d. comporto) predeterminato dalla legge, dalle leggi o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. Ne deriva che il superameno del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Rigetta, App. Torino, 20/02/2008) (Cass. 31/1/2012 n. 1404, Pres. Lamorgese Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 689)
  • In tema di licenziamento per giusta causa, la mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche – in ispecie, nell’art. 2110 c.c. – in quanto questo non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo, il quale scientemente assuma un rischio elettivo particolarmente elevato che supera il livello della “mera eventualità” per raggiungere quello della “altissima probabilità”, tenendo un comportamento non improntato ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c. che debbono presiedere all’esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l’obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell’interesse del datore di lavoro all’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. (Nella specie, il lavoratore, dirigente di un istituto di credito, si era recato ripetutamente in Madagascar, dove era stato soggetto a ripetuti attacchi di malaria, con conseguente assenze dal posto di lavoro per lunghi periodi; la S.C., nel rigettare il ricorso, ha sottolineato che non veniva in discussione la libertà del lavoratore di utilizzare il periodo di ferie nella maniera ritenuta più opportuna, ma solo che il lavoratore non aveva tenuto una condotta prudente e oculata essendo “prevedibilissima” l’insorgenza di attacchi della malattia, tant’è che, in una occasione, aveva motivato la richiesta di fruizione delle ferie, poi trascorse nel paese straniero, con le esigenze di cure della madre malata). (Cass. 25/1/2011 n. 1699, Pres. Foglia Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 147)
  • È corretta l’interpretazione del giudice del merito secondo cui la clausola del contratto collettivo nazionale di lavoro, nella parte in cui prevede che, superato il periodo di comporto di 12 mesi, su richiesta del lavoratore, impossibilitato a riprendere servizio, potrà essere concessa un’aspettativa, gli attribuisce il diritto o, quanto meno, un interesse qualificato a un ulteriore periodo di sospensione del rapporto. (Cass. 21/12/2010 n. 25863, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2011, 318)

  • Le assenze conseguenti a infortunio sul lavoro non possono essere considerate ai fini del comporto nel caso in cui l'infortunio era imputabile a responsabilità della datrice di lavoro e le sue conseguenze non potevano quindi concorrere alla maturazione del comporto e alla conseguente giustificazione del licenziamento ex art. 2110 c.c. (Corte app. Milano 1/9/2010, Pres. Castellini Rel. Cella, in Lav. nella giur. 2010, 1141)
  • Qualora l'atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l'esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, e solo nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, delle assenze non contestate non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto. (Cass. 13/7/2010 n. 16421, Pres. Vidiri Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2010, 944)
  • Per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi di urgenza che si impongono nell’ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo fra la data di detto superamento e quella del licenziamento – al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto – vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto delle circostanze significative, così contemperando da un lato l’esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità con la continuazione del rapporto. (Cass. 11/5/2010 n. 11342, Pres. Battimiello Est. Mammone, in Orient. Giur. Lav. 2010, 518)

  • Dato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è regolato dalla L. 15/7/66 n. 604 e successive modificazioni, ma dall'art. 2110, 2° comma, c.c., in questa ipotesi l'impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall'art. 6 della stessa legge. (Cass. 28/1/2010 n. 1861, in D&L 2010, con nota di Matteo Paulli, "Un altro passo verso l'autonomia dalla L. 604/66", 580)
  • E' illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto, laddove la malattia del lavoratore sia stata determinata dalla violazione dell'obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. anche sotto il profilo del mancato reperimento, nel quadro dell'organizzazione aziendale, di altro posto di lavoro più adatto alle condizioni di salute del lavoratore, incompatibili con le mansioni e l'ambiente di lavoro assegnati.  (Trib. Bari 11/6/2009, Est. Napoliello, in D&L 2009, 783)
  • In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ove la disciplina contrattuale non contenga esplicite previsioni di diverso tenore, devono essere inclusi nel calcolo anche i giorni festivi che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell'episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell'assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta, e la prova idonea a smentire la suddetta presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell'avvenuta ripresa dell'attività lavorativa, atteso che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto, con la conseguenza che i soli giorni che il lavoratore può legittimamente richiedere che non siano conteggiati nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo rientro in servizio. Né, ai fini del computo complessivo del periodo di assenza, possono essere detratti i giorni di ferie ove non sia stata avanzata una espressa domanda da parte del lavoratore per la fruizione del periodo maturato e non goduto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che, correttamente, il giudice di merito, in applicazione dei principi di cui alla massima, aveva disatteso la domanda del lavoratore, il quale aveva maturato assenze per mille e ventotto giorni, periodo di gran lunga superiore a quello consentito dalla disciplina collettiva, e, senza contestarne l'entità, si era limitato a censurare l'erroneo computo dei giorni festivi e delle ferie). (Rigetta, App. Roma, 9 novembre 2005). (Cass. 15/12/2008 n. 29317, Pres. Mattone Est. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2009, 407) 
  • Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza dell'immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa dell'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare convenientemente nel complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di compatibilità della presenza in azienda del lavoratore in  rapporto agli interessi aziendali; ne consegue che in questo caso la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. (Trib. Novara 2/12/2008, d.ssa Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 422)
  • La malattia non è considerata come possibile causa di discriminazione né della direttiva europea né nella legge attuativa italiana. Nel nostro ordinamento la malattia del lavoratore ha poi una particolare tutela, che consente la conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo determinato di volta in volta dai contratti collettivi di settore. Esistendo quindi una tutela specifica non vi è motivo per ricercare nella normativa comunitaria una norma da applicare in via analogica o estensiva, ben potendo il lavoratore che ritenga illegittimo il licenziamento a seguito di superamento del comporto impugnare il recesso con ricorso in via cautelare, ove sussistano particolari ragioni d'urgenza, o introducendo un'azione ordinaria di merito, al fine di dimostrare che la malattia è in realtà addebitabile alla legittima condotta del datore di lavoro. (Trib. Milano 25/2/2008, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 850)
  • Nel caso in cui la società, nell'intimare al lavoratore il licenziamento per superamento del periodo di comporto, faccia riferimento alla norma del contratto collettivo che disciplina il comporto "secco", ritenere che sia stato, invece, superato il termine del comporto "per sommatoria" integra un inammissibile mutamento motivo di licenziamento e viola il diritto di difesa del lavoratore. (Corte app. Napoli 1/6/2007, Pres. Bavoso Rel. Rossi, in Lav. nella giur. 2008, 321) 
  • Qualora il datore di lavoro intimi il licenziamento per giusta causa contestando l'inesistenza della malattia risultante dal certificato medico inviato dal lavoratore e confermata dalla visita fiscale, deve ritenersi inammissibile il ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio volta ad accertare l'inesistenza della malattia in mancanza dell'indicazione da parte del datore di lavoro di fatti o elementi la cui prova possa essere decisiva per la persuasività delle contestazioni mosse al dipendente. (Trib. Milano 14/3/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con nota di sara Huge, "Simulazione della malattia e accertamenti giudiziari", 533)
  • In linea di principio il datore di lavoro, a seguito di specifica richiesta del dipendente, ha l'onere di comunicare i giorni di malattia dallo stesso usufruiti e i criteri di computo del rapporto. La mancata comunicazione al lavoratore, a richiesta avvenuta, integra un comportamento contrario a buona fede e correttezza, tale da poter invalidare il licenziamento. Tuttavia, a fronte del comportamento del dipendente che, in violazione dei doveri di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro, resta assente per un periodo di oltre quattro anni utilizzando tutti i possibili motivi di assenza, dalla gravidanza morbosa alla maternità, alla malattia dei figli e alla propria, alle ferie l'azienda non ha l'obbligo di comunicare i giorni di malattia e i criteri di computo degli stessi, consentendogli di ricostruire esattamente le causali delle assenze. (Trib. Milano 22/1/2007, Dott. frattin, in Lav. nella giur. 2007, 1150)
  • Durante la malattia è possibile licenziare il lavoratore solo in ipotesi di giusta causa stante la generica tutela a favore del prestatore. (Cass. 1/6/2005 n. 11674, Pres. Mileo Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2006, 94)
  • Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare, sibbene ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale di licenziamento a cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione riferibile alla persona del lavoratore diverse dalla malattia. Solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato. (Cass. 26/5/2005 n. 11092, Pres. Mattone Rel. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2006, 300)
  • L’immutabilità delle motivazioni che presuppongono il licenziamento deve essere rispettata anche in occasione del licenziamento per superamento del periodo di comporto. (Cass. 22/3/2005 n. 6143, Pres. Mattone Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2005, 688)
  • La malattia del lavoratore trova tutela nell'art. 2120 c.c. che impone al datore di lavoro di conservare il posto di lavoro al lavoratore assente per malattia per tutta la durata del periodo di comporto; tuttavia quando il lavoratore, non assente per lavoro, imputi l'inadempimento ad una infermità, non è preclusa al datore di lavoro la utilizzabilità dello strumento del recesso dal contratto, a mezzo del licenziamento per giustificato motivo, in quanto la situazione è regolata dai principi generali, ed in particolare dall'art. 1464 c.c., che disciplina gli effetti della impossibilità parziale della prestazione nel contratto a prestazioni corrispettive, e, pur in presenza di una causa di inadempimento non imputabile al lavoratore, non obbliga la controparte a mantenere in vita un contratto di durata con un soggetto che non è più in grado di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto. (Cass. 13/2/2003, n. 2152, Pres. Ianniruberto, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 574)
  • L'art. 2 L. 15/7/66 n. 604 trova applicazione anche in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto; conseguentemente il datore di lavoro, a fronte della tempestiva richiesta del lavoratore, ha l'onere di indicare i giorni di assenza con un grado di specificità tale da consentire al lavoratore di rendersi conto delle assenze contestate e di replicare adeguatamente, prima ancora dell'eventuale giudizio (nella specie la Corte ha ritenuto insufficiente l'indicazione del numero complessivo di assenze ogni anno). (Cass. 20/12/2002 n. 18199, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in D&L 2003, 151, con nota di Stefano Muggia, "Superamento del periodo di comporto ed obbligo di motivazione del licenziamento")
  • Le reiterate assenze per malattia di un dipendente di un'impresa concessionaria di un servizio pubblico di trasporto non possono dar luogo a licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto tale ipotesi non è contemplata dall''art. 27 del RD 8/1/31 n. 148, recante la disciplina delle cause di esonero dal servizio dei dipendenti di tali imprese, non essendo peraltro ipotizzabile l'applicazione analogica della disciplina codicistica. (Trib. Milano 13/12/2002, Est. Ianniello, in D&L 2003, 395, con nota di Andrea Bordone, "Sul licenziamento per reiterate assenze per malattia degli autoferrotranvieri")
  • In applicazione dei principi di logica, di ragionevolezza e di parità di trattamento tra lavoratori assenti per malattia per periodi rientranti o meno nell'anno di calendario, la disposizione di cui all'art. 3, D. Lgs.C.p.S. 31 ottobre 1947, n. 1304 deve essere interpretata nel senso che la base annua cui va rapportato il periodo di comporto (nella specie, per concorde dato normativo e contrattuale, pari a 180 giorni) si identifica nell'anno solare, e cioè nell'intervallo di 365 giorni decorrente dal primo episodio morboso, dall'inizio della malattia, se continuativa, ovvero, a ritroso, dalla data del licenziamento. (Cass. 13/9/2002, n. 13396, Pres. Senese, Rel. Foglia, in Lav. nella giur. 2003, 75)
  • In caso di licenziamento disposto ai sensi dell'art. 2110 c.c. non è sufficiente il semplice riferimento al superamento del periodo di comporto, quando la malattia è conseguenza di una sindrome depressiva che impedisce lo svolgimento delle mansioni proprie del dipendente e che trova causa nelle stesse. In tal caso la disposta risoluzione del rapporto trova la sua disciplina nell'ipotesi di impossibilità parziale della prestazione con conseguente obbligo per il datore di lavoro di reperire mansioni più adatte allo stato di salute del dipendente. (Cass. 21/1/2002 n. 572, Pres. Sciarelli Est. Mileo, in D&L 2002, 426, con nota di Roberto Muggia, "Licenziamento per comporto ed impossibilità della prestazione")
  • Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro e a malattia professionale sono da computare ai fini della determinazione del periodo di comporto, atteso che l'art. 2110 c.c. ne impone l'assoggettamento alla medesima particolare disciplina, ferma restando la possibilità in capo alle parti stipulanti il contratto collettivo di diversamente ed autonomamente regolamentare le due diverse tipologie di assenze. Le assenze dovute ad infortunio non sul lavoro e a malattia sono cumulabili tra di loro e concorrono al superamento del comporto (applicazione relativa all'art. 28 CCNL impiegati agricoli) (Corte Appello Bologna 17/7/00, pres. e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 757, con nota di Zavalloni, Un "cocktail" d'eccezione: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per successivo superamento del comporto)
  • La malattia o le malattie del lavoratore non giustificano il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto ove l’infermità abbia avuto causa, in tutto o in parte, nella nocività insita nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque esistente nell’ambiente di lavoro, della quale il datore di lavoro sia responsabile per aver omesso le misure atte a prevenirla o ad eliminare l’incidenza, in adempimento dell’obbligo di protezione ed eventualmente anche delle specifiche norme di legge connesse alla concretizzazione di esso, incombendo peraltro al lavoratore di dare la prova del collegamento causale fra le malattia che ha determinato l’assenza ed il carattere morbigeno delle mansioni espletate (Cass. 18/4/00, n. 5066, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2000, pag. 985)
  • Nella comunicazione scritta il datore di lavoro deve indicare in modo analitico, specifico e completo i motivi del recesso, delimitando gli stessi il thema decidendum nell'eventuale successivo giudizio promosso dal lavoratore: ne deriva che nel licenziamento per eccessiva morbilità - soggetto alla disciplina della L. 604/66, con consequenziale obbligo del datore di lavoro di provarne, ai sensi dell'art. 5 della medesima, la giusta causa o il giustificato motivo - non può tenersi conto delle assenze dal lavoro non contestate nella lettera di licenziamento (Cass. 13/12/99 n. 13992, pres. De Tomasoni, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 688, con nota di Cattani, Sulla distribuzione dell'onere probatorio nel licenziamento per superamento del periodo di comporto)
  • Nel caso in cui il datore di lavoro intimi per iscritto il licenziamento asserendo che il lavoratore è stato assente per malattia per un periodo superiore a quello di comporto, senza tuttavia specificare il numero delle assenze, il lavoratore esaurisce l'onere posto a suo carico dalla legge con l'impugnazione tempestiva del recesso (Cass. 13/12/99, n. 13992, pres. De Tomasoni, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 688, con nota di Cattani, Sulla distribuzione dell'onere probatorio nel licenziamento per superamento del periodo di comporto)
  • In caso di licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ma anteriormente alla scadenza di questo, l'atto di recesso è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110 c.c., che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore, e non già temporaneamente inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza suddetta; il superamento del comporto costituisce, infatti, ai sensi del citato articolo 2110 c.c., una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve, perciò, esistere già anteriormente alla comunicazione dello stesso, per legittimare il datore di lavoro al compimento di quest'atto ove di esso costituisca il solo motivo (Cass. 26/10/99, n. 12031, in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 61, con nota di Figurati, Questioni in tema di licenziamento intimato durante la malattia: la richiesta di ferie interrompe il comporto?)
  • In materia negoziale il silenzio, in sé considerato, non può valere come consenso se non quando la parte abbia l’onere o il dovere, per legge, per consuetudine o per contratto, di formulare una dichiarazione; conseguentemente la mancata contestazione stragiudiziale dell’elenco di assenze per malattia fornito dal datore di lavoro alla dipendente in vista del successivo licenziamento per asserito superamento del periodo di comporto, non costituisce prova sufficiente circa la veridicità di detto elenco e non preclude la successiva contestazione giudiziale delle predette assenze (Cass. 29/7/99 n. 8235, pres. Amirante, est. De Matteis, in D&L 1999, 907)
  • La c.d. eccessiva morbilità, dovuta a reiterate assenze per malattia, integra gli estremi dello scarso rendimento quando la prestazione di lavoro non è più utile al datore di lavoro. In tal caso, il fatto del lavoratore – indipendentemente dalla sua colpevolezza – è oggettivamente idoneo a provocare la risoluzione del rapporto (Cass. 22/11/96 n. 10286, pres. Mollica, est. Battimiello, in D&L 1997, 373, n. Panduri, Corte di cassazione e scarso rendimento: un passo (o più?) indietro)