Nozione

  • La giusta causa di licenziamento, quale fatto che “non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. (Cass. 24/3/2015 n. 5878, Pres. Lamorgese Est. Bandini, in Lav. nella giur. 2015, 634)
  • La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; a tal fine, quale comportamento che, per la sua gravità, è suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro, può assumere rilevanza disciplinare anche una condotta che, seppure compiuta al di fuori della prestazione lavorativa, sia idonea, per le modalità concrete con cui essa si manifesta, ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto integrante una giusta causa di recesso l’invio, da parte di un lavoratore apicale, di una lettera, inerente esclusivamente rapporto di lavoro, alla Procura della Repubblica). (Cass. 9/4/2014 n. 8367, Pres. Lamorgese Est. Tricomi, in Lav. nella giur. 2014, 709)
  • La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiedere di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. (Nella specie, la Corte territoriale, nel dichiarare illegittimo per difetto di proporzionalità il licenziamento di un impiegato di banca trovato in possesso di sostanze stupefacenti, aveva evidenziato trattarsi di droghe “leggere”, detenute per uso personale, e non a fini di spaccio, in circostanze di tempo e luogo compatibili con l’ipotesi del consumo non abituale; la S.C., ritenendo tale motivazione inadeguata rispetto alla clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., ha cassato la sentenza). (Cass. 26/4/2012 n. 6498, Pres. Lamorgese Est. Tricomi, in Orient. Giur. Lav. 2012, 395)
  • Le due ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo si differenziano per una diversa gravità, sia sul piano oggettivo che soggettivo, delle mancanze del lavoratore che devono essere valutate in ogni aspetto del caso concreto, con riguardo all’incidenza sull’elemento della fiducia, alla posizione delle parti, alla natura del rapporto e alle mansioni specifiche del lavoratore oltre che all’entità della mancanza, considerata tuttavia non soltanto nel suo contenuto oggettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, in relazione alle particolari circostanze in cui è stata posta in essere e all’intensità dell’elemento intenzionale (Trib. Milano 23/7/97, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1998, 177)
  • La giusta causa di licenziamento si configura in relazione a una mancanza del dipendente che, valutata nel suo contenuto oggettivo oltre che nella sua portata soggettiva, in relazione alle circostanze in cui è posta in essere nonché all’intensità dell’elemento intenzionale, risulta gravemente lesiva della fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel proprio dipendente rendendo il rapporto improseguibile anche solo provvisoriamente (Pret. La Spezia 4/6/96, est. Fortunato, in D&L 1997, 383, n. Balli, Dalle omissioni del dipendente al recesso per giusta causa del datore di lavoro; un percorso non obbligato)
  • Il licenziamento per giusta causa costituisce la più grave delle sanzioni applicabili al lavoratore e può considerarsi legittimo solo quando la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro (Cass. 27/10/95 n. 11163, pres. Pontrandolfi, est. Giannantonio, in D&L 1996, 493)