In genere

  • La Corte d’appello aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un lavoratore di elevato livello contrattuale, che avrebbe in più occasioni abbandonato il posto di lavoro in anticipo rispetto all’orario recentemente impostogli. Ciò avrebbe denotato disprezzo e sfida da parte del dipendente nei confronti del datore di lavoro, idonei a far venire meno il rapporto fiduciario. La Cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore contro la sentenza d’appello che gli aveva dato torto, osserva che gli episodi di mancato rispetto dell’orario di lavoro si erano in realtà protratti solo per pochi giorni, per cui i giudici di merito non avevano fatto buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza, che impongono di valutare la gravità della violazione imputata al lavoratore e la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una considerazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale, tra cui l’intensità dell’elemento intenzionale, il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte e dalla qualifica ricoperta dal dipendente, le precedenti modalità di attuazione del rapporto e la sua particolare natura e tipologia: tutti elementi ignorati dalla Corte d’appello, la cui decisione viene conseguentemente annullata, con rinvio per una nuova valutazione. (Cass. 28/3/2023 n. 8737, Pres. Manna Rel. Tricomi, in Wikilabour, Newsletter n. 7/23)
  • Il licenziamento è legittimo per la gravità del comportamento del lavoratore in sé, a prescindere dal danno cagionato al datore di lavoro. (Cass. 8/10/2020 n. 21739, ord., Pres. Di Cerbo Est. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 86)
  • La nozione di insubordinazione riguarda, oltre al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori gerarchici, anche comportamenti atti a pregiudicare il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
    La regola viene ribadita dalla Corte in un caso in cui, in azienda, fuori dell’orario di lavoro, nel corso del diverbio tra un dipendente e il responsabile dell’amministrazione aziendale in ordine al possesso di una chiavetta per accedere alla macchinetta del caffè, il lavoratore, non direttamente dipendente dal responsabile amministrativo, aveva pronunciato nei suoi confronti gravi minacce e per questo era stato licenziato per “insubordinazione”. (Cass. 1/7/2020 n. 13411, Pres. Di Cerbo Rel. Blasutto, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020)
  • Licenziamento per giusta causa: ai fini della valutazione sulla proporzionalità della sanzione, l’accertamento deve riguardare il profilo oggettivo e soggettivo dei fatti contestati e accertati.
    Accertata la sussistenza di solo alcune delle condotte contestate (difformità delle opere di un cantiere edile, contestate al capo cantiere) il Collegio afferma che i singoli episodi devono essere valutati nella loro componente soggettiva e oggettiva. Assumono, a tal fine rilevanza: l’oggettiva limitata consistenza dei fatti contestati, l’assenza di dolo del lavoratore, l’assenza di ricadute pregiudizievoli per la società nonché la mancanza di precedenti disciplinari. Nel caso di specie il licenziamento per giusta causa è stato dichiarato sproporzionato, con diritto all’indennità ex art. 18, 5° comma, stat. lav. (Corte App. Milano 23/6/2020, Pres. Picciau Rel. Dossi, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2020)
  • Le tipizzazioni delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell’individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso non sono vincolanti per il giudice, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. 23/5/2019 n. 14063, Pres. Di Cerbo Est. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “La tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari tra tutela reale e tutela obbligatoria”, 652)
  • L’esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, sebbene sia garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita, ex art. 2 Cost., di tutela della persona umana, sicché, ove tali limiti siano superati, con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi e oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione. (Cass. 6/6/2018 n. 14527, Pres. Manna Rel. Boghetich, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di P. Tosi e P. Puccetti, “Il diritto di satira e la dignità della persona: il caso dell’impiccagione figurata del datore di lavoro”, 832)
  • In tema di licenziamento per giusta causa l’obbligo di fedeltà è più ampio rispetto a quello risultante dall’art. 2105 c.c. atteso che tale obbligo deve essere integrato con gli obblighi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono al lavoratore di improntare la sua condotta al rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede. (Cass. 13/2/2017, n. 3739, Pres. Macioce Est. Di Paolantonio, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di D. Di Lemma “Le tutele delle informazioni riservate nei confronti del dipendente infedele: fedeltà, correttezza e buona fede”, 489)
  • Sebbene l’art. 2105 c.c. richiami espressamente, oltre al divieto di concorrenza, solo il “divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa” o il “farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”, la non ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie delineate dal legislatore non è sufficiente a far escludere la violazione dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c. Ne discende che il prestatore deve astenersi dal compiere, non solo gli atti espressamente vietati, ma anche quelli che, per la loro natura e per le possibili conseguenze, risultino in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella compagine aziendale, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente produttiva di danno (in applicazione di tali principi la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa impartito al dipendente che si era impossessato di documenti aziendali riservati senza procedere all’uso o alla successiva divulgazione al concorrente perché impedito dall’immediato intervento del datore di lavoro). (Cass. 13/2/2017, n. 3739, Pres. Macioce Est. Di Paolantonio, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di D. Di Lemma “Le tutele delle informazioni riservate nei confronti del dipendente infedele: fedeltà, correttezza e buona fede”, 489)
  • In genere la giusta causa di licenziamento, quale clausola generale, viene integrata valutando una molteplicità di elementi fattuali, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ove si denunci che la combinazione e il peso dei dati fattuali, come definiti e accertati dal giudice di merito, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale; al contrario, l’omesso esame di un parametro, tra quelli individuati dalla giurisprudenza, avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto a un esito diverso della controversia, va denunciato come vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ferma, in tal caso, la possibilità di argomentare successivamente che tale vizio avrebbe cagionato altresì un errore di sussunzione per falsa applicazione di legge. (Cass. 23/9/2016, n. 18715, Pres. Amoroso Rel. Amendola, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di J. Mugneco, “La giusta causa di licenziamento tra tecnica del precedente e certezza del diritto”, 268)
  • Il dipendente che, in una controversia contro il datore, produca copia di atti aziendali che riguardino direttamente la propria posizione non viene meno al dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c., poiché al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell’azienda. Altra questione attiene la legittimità delle modalità con cui si è verificato tale impossessamento, in quanto esse potrebbero, valutando il caso concreto, integrare giusta causa di licenziamento per violazione del predetto obbligo di fedeltà. (Cass. 13/7/2016 n. 14305, Pres. Napoletano Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2016, 1022)
  • Il licenziamento per giusta causa, che costituisce la massima sanzione disciplinare nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, è legittimo ove sia dimostrata una gravissima e irreparabile lesione del vincolo fiduciario; è quindi onere del datore di lavoro, il quale accusi un dipendente di aver sottratto alcuni beni di proprietà dell’azienda, provare tale circostanza. (Cass. 15/12/2014 n. 26323, ord., Pres. Mammone Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2015, 308)
  • Il difficile contesto sociale in cui si trova a operare il lavoratore, caratterizzato da una forte presenza della criminalità, non può valere da esimente qualora il dipendente provveda reiteratamente a liquidare falsi sinistri senza informare i superiori e attivare le verifiche interne, né denunciarne l’accaduto alla polizia giudiziaria. (Cass. 14/11/2014 n. 24335, Pres. Stile Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2015, 197)
  • Si ravvisa una giusta causa di licenziamento in tutti i casi in cui sussiste una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di quello fiduciario; per stabilire la ricorrenza di tale fattispecie deve aversi riguardo alla portata oggettiva e soggettiva dei fatti addebitati. In particolare, deve tenersi in considerazione il comportamento del lavoratore nella sua portata obiettiva (con riferimento alla natura e qualità del singolo rapporto, vincolo di fiducia richiesto per la posizione rivestita dal lavoratore e grado di affidamento riposto, alla finalità delle regole di disciplina postulate dall’organizzazione), ma anche nella sua portata soggettiva (in relazione ai motivi che lo hanno determinato, all’intensità dell’elemento volitivo). (Trib. Firenze 6/11/2014, Giud. Taiti, in Lav. nella giur. 2015, 422)
  • L’art. 30, c. 3, l. n. 183/2010 impone al Giudice di “tener conto” dei casi di giusta causa e giustificato motivo presenti nei contratti collettivi, così come degli elementi e dei parametri fissati da tali contratti, ma fa salva la possibilità per lo stesso di ritenere sussistente la giusta causa di licenziamento a fronte di una condotta non espressamente contemplata dagli accordi sindacali. (Trib. Milano 1/8/2014, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2014, 1030)
  • Nel recesso del rapporto di lavoro, l’ipotesi della giusta causa ricorre ogniqualvolta sia imputabile al lavoratore un comportamento idoneo a ledere il vincolo fiduciario secondo un giudizio di valore riconducibile ai principi generali del vivere civile. Il disvalore sociale del fatto imputato al dipendente fa quindi salva la possibilità di ritenere sussistente la giusta causa di licenziamento anche a fronte di una condotta non espressamente contemplata dal contratto collettivo. (Trib. Milano 1/8/2014, ord., Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Paola Salazar, 287)
  • Per verificare l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che consiste in una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare della compromissione di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla loro portata oggettiva e soggettiva, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale; dall’altro la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare la massima sanzione disciplinare. (Cass. 23/6/2014 n. 14177, Pres. Stile Est. Lorito, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Maria Del Frate, “Le ingiurie al superiore gerarchico come giusta causa di licenziamento”, 403)
  • Ai fini del giudizio circa la proporzionalità della sanzione inflitta e, in particolare, della legittimità del licenziamento per giusta causa, è irrilevante l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale a carico del datore di lavoro, assumendo rilevanza unicamente l’idoneità della condotta del lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa. (Cass. 27/2/2014 n. 4723, Pres. Vidiri Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2014, 608)
  • Il rango costituzionale del diritto di critica del dipendente nei confronti del datore di lavoro, in quanto espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero, non legittima un esercizio privo di alcun limite, occorrendo che sia rispettata, in considerazione degli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione che gravano sul dipendente, la verità dei fatti – criterio della c.d. “continenza sostanziale” –, che siano posti in essere modalità e termini e tali da non ledere gratuitamente il decoro del datore di lavoro – criterio della cd. “continenza formale” – e che sia perseguito un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento – criterio finalistico (nel caso di specie il giudice ha ritenuto che fosse stata lesa l’immagine del datore di lavoro – rappresentato come “istituzione che tollera, quando non induce, negli studenti dell’Accademia e dei membri del corpo di ballo comportamenti pericolosi per la salute e auto lesivi” – in quanto la lavoratrice non era stata in grado di provare la veridicità dei fatti affermati e, in particolare, che “l’entità del fenomeno” raggiungeva le dimensioni denunciate – “una ballerina su cinque è diventata anoressica”, “sette ballerine su dieci hanno avuto il ciclo mestruale interrotto”, “molte ora non possono avere figli” – e ciò senza che la stessa, prima di rivolgersi all’esterno, avesse denunciato al datore di lavoro il problema della diffusione dei disturbi alimentari, chiedendo l’adozione di misure idonee a porvi rimedio). (Trib. Milano 6/2/2014 n. 419, Giud. Dossi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Maria Teresa Carinci, “Whistleblowing alla Scala di Milano: una ballerina denuncia il rischio di anoressia fra i componenti del corpo di ballo”, 504)
  • L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, diversamente da quanto avviene con riguardo alle sanzioni di tipo conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude pertanto che la giusta causa possa essere ritenuta sussistenza a fronte di comportamento gravissimo del lavoratore, contrario alle regole del buon vivere civile. (Cass. 26/6/2013 n. 16098, Pres. Stile Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 954)
  • Qualora il licenziamento sia privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo la condotta del lavoratore in violazione dei doveri di buona fede e correttezza può integrare un’ipotesi di non manifesta insussistenza del fatto contestato riconducibile all’art. 18, co. 5, St. lav. (nel caso di specie l’attività svolta dal lavoratore, pur non rientrando nelle ipotesi di concorrenza sanzionate con il licenziamento dal ccnl, è stata ritenuta sufficientemente grave da determinare la sussistenza del fatto contestato). (Trib. Genova 11/4/2013, ord., Giud. Parodi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Annamaria Donini, “Violazione della regola di buona fede e correttezza: verso un’autonoma efficacia estintiva del rapporto”, 185)
  • Il licenziamento per giusta causa è pienamente legittimo in presenza di una condotta del lavoratore idonea a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario senza che la sanzione espulsiva possa apparire sproporzionata nel caso in cui il danno economico subito dal datore di lavoro riulti di modesta o addirittura irrilevante entità. (Cass. 13/3/2013 n. 6354, Pres. De Renzis Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2013, 518)
  • Ove una disposizione del contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato, come atto idoneo a consentire il licenziamento senza preavviso, il giudice di merito può, nell’interpretare la volontà delle parti collettive espresse nella clausola contrattuale, ritenere che gli agenti contrattuali, nell’usare l’espressione “sentenza di condanna”, si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza c.d. “di patteggiamento” ex art. 444 c.p.p. Tale equiparazione non esonera dall’ulteriore indagine della idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore. (Cass. 18/2/2013 n. 3912, Pres. De Renzis Rel. Galli, in Lav. nella giur. 2013, 521)
  • L’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato non è suscettibile di esecuzione forzata, in quanto l’esecuzione in forma specifica è possibile solamente per le obbligazioni di fare di natura infungibile, mentre la reintegrazione nel posto di lavoro comporta non soltanto la riammissione in azienda (e cioè un comportamento passivo riconducibile a un semplice “pati”), ma anche un indispensabile e insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro, consistente, tra l’altro, nell’impartire al dipendente le opportune direttive, nell’ambito di una relazione di reciproca e infungibile collaborazione. Tale incoercibilità non ha peraltro alcun collegamento con la sanzione prevista dall’art. 18, u.c., Stat. Lav., che deve comunque essere applicata in caso di inottemperanza, anche parziale, all’ordine di reintegrazione. (Cass. 18/6/2012 n. 9965, Pres. De Luca Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2012, 815)
  • In tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere fra le parti non va operato in astratto, bensì con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intenzione dell’elemento intenzionale e di quello colposo. (Cass. 26/7/2011 n. 16283, Pres. Battimello Est. Stile, in Lav. nella giur. 2011, 1055)
  • Per valutare la proporzionalità della sanzione rispetto al fatto da punire occorre valutare il comportamento del lavoratore non solo nel suo contenuto oggettivo ma anche nella sua portata soggettiva, dunque con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui esso è stato posto in essere. La condotta del ricorrente, sia pure censurabile e tale da giustificarne anche la massima sanzione conservativa, non appare tuttavia di gravità tale, anche in considerazione della condizione soggettiva in cui è stata commessa, da giustificarne il licenziamento in tronco. (Trib. Bergamo 30/6/2011, Giud. Bertoncini, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Isabella Seghezzi, 711)
  • La previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all’art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore. (Cass. 2/3/2011 n. 5095, Pres. Lamorgese Est. Filabozzi, in Orient. Giur. Lav. 2011, 167)
  • Il comportamento del lavoratore, per quanto grave, se avente carattere episodico e se riconducibile a un dipendente che mai aveva dato luogo a censure comportamentali, non può dar luogo a un giudizio di “particolare gravità”, tale da legittimare il recesso per giusta causa. (Cass. 8/2/2011 n. 3042, Pres. Vidiri Est. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 409)
  • Qualora il datore di lavoro abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo, con la conseguenza che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente. (Cass. 20/1/2011 n. 1244, Pres. Foglia Est. Zappia, in Lav. nella giur. 2011, 410)
  • In virtù del principio di immodificabilità del motivo di licenziamento è precluso al datore di lavoro, il quale intimi un licenziamento per giustificato motivo oggettivo invocare in giudizio una giusta causa. (Cass. 30/4/2010 n. 10358, Pres. Vidiri Est. Di Nubila, in Orient. Giur. Lav. 2010, 502)
  • Nell'ipotesi di licenziamento di dipendente di istituto di credito l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario deve essere valutata con particolare rigore e a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro, rilevando la lesione dell'affidamento che, non solo il datore di lavoro, ma anche il pubblico ripongono nella lealtà e correttezza dei funzionari (Nella specie, la Corte Suprema ha ritenuto assistito da giusta causa il licenziamento del funzionario di banca che, per compiacere la ex fidanzata, ne aveva, con il consenso della stessa, falsificato la firma, prelevando, per tre volte, dal conto corrente di costei somme di denaro e versandosele sul proprio conto corrente). (Cass. 12/4/2010 n. 8641, Pres. Battimiello Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2010, 730) 
  • I comportamenti tenuti dal lavoratore nella sua vita privata, e quindi a maggior ragione quelli tenuti in un precedente rapporto di lavoro, assumono rilievo ai fini della configurabilità di una giusta causa di licenziamento, qualora siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto e a far venire meno quella fiducia che costituisce presupposto essenziale del rapporto di lavoro. Tali comportamenti rilevano come giusta causa di licenziamento, ma non possono rilevare come addebiti di natura disciplinare. Pertanto il potere disciplinare relativo a tali comportamenti deve essere esercitato dall'effettivo datore di lavoro al momento della commissione degli stessi. (Trib. Milano 30/10/2008, D.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 202) 
  • Nel licenziamento per giusta causa (ndr) la gravità del fatto va valutata tenendo in considerazione non solo la vicenda storica della quale devono essere comunque emerse con una certa fondatezza le modalità concrete di attuazione, ma anche la personalità del lavoratore, le mansioni affidategli all'interno dell'azienda, la posizione di responsabilità ricoperta, le relazioni con i terzi e l'immagine dell'azienda rappresentata. (Trib. Milano 17/9/2008, d.ssa Bianchini, in Lav. nella giur. 2009, 204)
  • Il carattere ingiurioso del licenziamento non coincide con l'assenza di giusta causa e neppure con la contestazione di un fatto lesivo dell'onore e del decoro del prestatore di lavoro, bensì consiste nella forma del provvedimento di recesso e nella pubblicità che venga eventualmente data a esso: tutte condizioni delle quali il lavoratore ha l'onere di dimostrare la sussistenza. (Trib. Milano 18/4/2008, Est. Scudieri, in Orient. giur. lav. 2008, 731)
  • L'apprezzamento del fatto del dipendente, al fine di stabilire se esso integri o meno una giusta causa di licenziamento deve essere compiuta, infatti, alla stregua della ratio dell'art. 2119 c.c. e cioè tenendo conto dell'incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro e il lavoratore, delle esigenze poste dall'organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione. (Trib. Milano 19/3/2008, dott. Atanasio, in Lav. nella giur. 2008, 1173)
  • In tema di licenziamento per giusta causa occorre che la mancanza del lavoratore sia tanto grave da giustificare l'irrogazione della sanzione espulsiva e, pertanto, va valutato il comportamento del prestatore non solo nel suo contenuto oggettivo - ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate - ma anche alla sua portata soggettiva e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente. (Cass. 15/2/2008 n. 3865, in Dir. & prat. lav. 2008, 2239)
  • E' legittimo il licenziamento per giusta causa operato da parte del datore di lavoro utilizzando, nell'ambito di una regolare procedura disciplinare, le evidenze probatorie acquisite dalla Procura della Repubblica che, nel corso di un'indagine penale, aveva installato alcune telecamere nei corridoi e nei servizi igienici della società, senza il rispetto dell'art. 4 SL, che non trova applicazione nei confronti dell'Autorità Giudiziaria. (Trib. Milano 1/2/2008, Est. Peragallo, in D&L 2008, con nota di Angelo Beretta, "Controllo a distanza e utilizzabilità in sede di procedimento penale", 509)
  • Il licenziamento per giusta causa richiede l'adozione del procedimento disciplinare ex art. 7 L. n. 300/1970. Non avendo il datore di lavoro proceduto alla preventiva contestazione scritta alla ricorrente degli addebiti posti a base del licenziamento e avendo adottato il provvedimento disciplinare senza neppure attendere il decorso di 5 giorni dalla contestazione verbale degli addebiti, il licenziamento è illegittimo. La mancata adozione del procedimento disciplinare previsto dall'art. 7, L. n. 300/1970 non consente di valutare la fondatezza degli addebiti mossi alla ricorrente. (Trib. Milano 20/12/2007, D.ssa Scudieri, in Lav. nella giur. 2008, 534)
  • Nei contratti a prestazioni corrispettiv, qualora una delle parti adduca a giustificazione della propria inadempienza l'inadempimento dell'altra parte, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, accertando in primo luogo la gravità dell'inadempimento cronologicamente anteriore, ma altresì valutando se in relazione alle circostanze concrete il rifiuto è contrario alla buona fede. (Trib. Milano 17/12/2007, D.ssa Cincotti, in Lav. nella giur. 2008, 534)
  • Costituisce grave insubordinazion, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si renda inadempiente rifiutandosi di eseguire la propria prestazione in quanto ritenuta estranea alla qualifica di appartenenza. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha confermato la liceità del demansionamento del ricorrente, in quanto previsto da un valido accordo sindacale stipulato ex art. 4, comma 11, l. n. 223 del 1991 nell'ambito di una procedura di mobilità, e ha conseguentemente ritenuto non sussistenti i presupposti per opporre l'exceptio inadimpleti contractus ex art. 1460 c.c.). (Cass. 5/12/2007 n. 25313, Pres. Sciarelli Rel. De Matteis, in ADL 2008, con commento di Matteo Corti, "La difficile ricerca della flessibilità funzionale: equivoci della Cassazione su demansionamento ed eccezione di inadempimento", 1167)
  • Poichè la definizione legale di giusta causa appartiene all'ambito delle c.d. "norme elastiche", il cui contenuto richiede giudizi di valore in sede applicativa, il Giudice di merito deve dare a essa applicazione non solo facendo riferimento al principio - costituzionalmente fondato - di proporzionalità tra fatto e sanzione, ma anche conformandosi agli ulteriori standards valutativi rinvenibili nella disciplina collettiva e nella coscienza sociale, considerando anche gli elementi soggettivi e la concreta incidenza pregiudizievole nella sfera del datore di lavoro. In tale ottica il giudice di merito, in quanto applica al caso concreto una norma generale ed elastica, partecipa sempre alla formazione del concetto giuridico e della regola di diritto e la sua attività interpretativa non è quindi limitata al fatto, con la conseguenza che la stessa è sempre suscettibile di censura in sede di giudizio di legittimità. (Cass. 22/12/2006 n. 27452, Pres. Ravagnani Est. Balletti, in D&L 2007, 187)
  • La previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, atteso che la nozione della giusta causa giustificatrice del licenziamento è nozione legale; il giudice deve dunque sempre verificare se tale previsione sia conforme alla disciplina inderogabile dei licenziamenti e se, in ossequio ai principi generali di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia tale da legittimare il recesso, tenuto anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore. (Cass. 10/8/2006 n. 18144, Pres. Mattone Est. D'Agostino, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Roberto Muggia, "Quando il licenziamento disciplinare può e quando non deve essere usato ai fini di dissuasione nei confronti degli altri dipendenti", 463, e in D&L 2007, con nota di Robarto Muggia, "Licenziamento per giusta causa: la difficile ricerca di una nozione unitaria", 196)
  • In tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito non deve esaminarli partitamente, riconducendoli alle singole fattispecie previste da clausole contrattuali, ma deve valutarli complessivamente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per non aver considerato complessivamente la condotta di un impiegato di banca al fine di verificare se essa fosse atta a minare la fiducia dell'istituto di credito suo datore di lavoro, e per non aver considerato che il dirottamento della clientela, avente una esposizione debitoria tale da renderle problematico un ulteriore accesso al credito bancario, verso società finanziarie costituisce in ogni caso una violazione del dovere di fedeltà e correttezza). (Cass. 23/3/2006 n. 6454, Pres. Mercurio Rel. Di Nubila, in Lav. nella giur. 2006, 1017)
  • Per stabilire in concreto la giusta causa di licenziamento, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità a integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. (Cass. 17/10/2005 n. 20013, Pres. Mattone Est. Roselli, in Orient. Giur. Lav. 2005, 936)
  • Nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice di merito, accertando la violazione del principio di immediatezza, ne avesse fatto corretta applicazione – in una fattispecie in cui l’illecito, consistente in violazioni emerse dalla ispezione della Banca d’Italia, era stato contestato nel giugno 1996, la prima emersione delle violazioni era avvenuta nel maggio 1995 – argomentando in motivazione in ordine alla modesta realtà e al comportamento contraddittorio tenuto dalla banca stessa che, in un primo momento, aveva difeso l’operato del proprio direttore). (Cass. 6/10/2005 n. 19424, Pres. Sciarelli Rel. Maiorano, in Lav. e prev. oggi 2005, 2027)
  • In ipotesi di licenziamento per giusta causa spetta al giudice di merito la valutazione della gravità delle circostanze che hanno dato luogo al licenziamento. (Cass. 1/6/2005 n. 11674, Pres. Mileo Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2006, 93)
  • In tema di licenziamento per giusta causa, l’autonoma valutazione dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale compiuta dal giudice del merito non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi. ( Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento ad un dipendente di una compagnia di assicurazioni, aveva ritenuto legittimo il licenziamento valutando le prove raggiunte in sede di condanna penale in ordine alla appropriazione di somme versate dagli assicurati). (Cass. 21/4/2005 n. 8305, Pres. Ravagnani Rel. Miani Canevari, in Dir. e prat. lav. 2005, 2109)
  • Il campo di applicazione della generica nozione di giusta causa è demandato al giudice di merito il quale ha il compito di valutare le singole circostanze del fatto concreto oltre alla coscienza generale venutasi a formare; in questo senso tale interpretazione non può esimersi dal giudizio di legittimità della Suprema Corte espresso sulla correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale. (Cass. 15/4/2005 n. 7838, Pres. Senese Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2005, 792)
  • L’accertamento della giusta causa di licenziamento individuale è un procedimento del tutto autonomo rispetto a quello eventualmente di carattere penale il cui giudizio è ancora pendente. (Cass. 14/3/2005 n. 5504, Pres. Ciciretti Rel. Filadoro, in Dir. e prat. lav. 2005, 1577)
  • I comportamenti del lavoratore fuori dell’ambito aziendale sono normalmente irrilevanti ai fini della lesione del rapporto fiduciario che costituisce giusta causa di licenziamento, a meno che, per la loro gravità o natura, siano tali da far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto o tali da riflettersi negativamente nell’ambiente di lavoro, ma a tal fine devono essere dedotte e provate specifiche circostanze, quali la sopravvenuta incapacità o inattendibilità del lavoratore in specifiche mansioni o la compromissione del rapporto di colleganza tra i dipendenti o la sussistenza di pericoli concreti derivanti dalla presenza del lavoratore in azienda o dall’espletamento della sua prestazione lavorativa. (Trib. Milano 3/12/2004, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2005, 591)
  • L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza di una giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento nel comportamento del lavoratore che aveva percosso un superiore, pur se l’art. 25 del ccnl per i metalmeccanici dell’industria privata prevedeva come giusta causa di licenziamento la rissa). (Cass. 16/3/2004 n. 5372, Pres. Dell’Anno Rel. Capitanio, in Lav. nella giur. 2004, 994)
  • Nella valutazione di gravità del fatto in tema di licenziamento per giusta causa si deve aver riguardo all'entità del danno subito dal datore di lavoro, ai precedenti disciplinari del dipendente, alla posizione del lavoratore all'interno dell'azienda ed alla rilevanza esterna del fatto (nella fattispecie è stato ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente, senza precedenti disciplinari e privo di responsabilità di custodia della merce, che era stato accusato di aver tentato, senza riuscirvi, di sottrarre una confezione di salmone). (Corte d'Appello Milano 14/2/2003, Pres. Ed Est. Mannacio, in D&L 2003, 388)
  • La valutazione in ordine alla lesione del vincolo fiduciario per fatti estranei alla prestazione va operata con riferimento non al fatto astrattamente considerato, ma alla natura e qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto al dipendente, nonché alla portata oggettiva del fatto (nella specie il giudice ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a seguito di condanna penale per reato sessuale nei confronti di un dipendente con mansioni operaie, privo di funzioni di rappresentanza esterna dell'azienda). (Trib. Livorno 17/9/2002, in D&L 2003, 411)
  • Ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento non è necessario che la condotta del prestatore di lavoro comporti un danno effettivo per il datore di lavoro, avendo rilevanza anche il solo danno potenziale. (Corte d'Appello Salerno 17/6/2002, Pres. Casale, Est. Vignes, in Lav. nella giur. 2003, 147, con commento diEdoardo Rossi)
  • Qualora il licenziamento per giusta causa venga illegittimamente comminato sulla base di un addebito particolarmente offensivo della professionalità del dipendente, della sua dignità e decoro nell'ambiente sociale, lo stesso ha diritto ad uno specifico risarcimento da determinarsi in via equitativa (nella specie è stato ritenuto congruo un risarcimento pari a metà dell'indennità supplementare liquidata al dirigente). (Trib. Roma 12/2/2002, Est. Delle Donne, in D&L 2002, 736)
  • La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi di rapporto di lavoro ed in particolare dell'elemento della fiducia che deve sussistere tra le parti. Tale valutazione va effettuata non con riferimento al fatto astrattamente considerato bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo. (Trib. Parma 9/1/2001, Est. Stefano Brusati, in Lav. nella giur. 2003, 87)
  • L'estinzione del rapporto di lavoro determinata da una clausola nulla di risoluzione automatica prevista dal contratto collettivo, con corrispondente lettera di avviso dell'impresa in prossimità della scadenza, non integra l'ipotesi di un licenziamento illegittimo; quindi avverso detta comunicazione non è prescritta alcuna impugnazione, derivandone inoltre l'inapplicabilità dell'art. 18 Stat. lav. (Cass. 19/10/00, n. 13851, pres. Mercurio, est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 551, con nota di Gianino, La nuova via in tema di clausola risolutiva automatica nulla)
  • E’ ammissibile il sindacato di legittimità da parte della Corte di Cassazione in ordine a una sentenza di merito che, formulando un giudizio di valore in ordine a un determinato fatto di inadempimento da parte di un lavoratore, lo riconduce alla nozione legale elastica di giustificato motivo soggettivo anziché a quella altrettanto elastica di giusta causa, in quanto una siffatta attività di integrazione giuridica della parte mobile della norma di legge deve conformarsi, oltre che ai principi dell’ordinamento, anche a una serie di standard valutativi esistenti nella realtà sociale, ambedue componenti il diritto vivente e costituente in materia di rapporti di lavoro la c.d. civiltà del lavoro (Cass. 18/1/99 n. 434, pres. Pontrandolfi, est. Santojanni, in D&L 1999, 661)
  • In ipotesi di licenziamento per giusta causa (comminato a dipendente di impresa operante nel settore della grande distribuzione per avere consumato in due mattinate successive alcuni pasticcini), la complessiva valutazione della gravità dell’infrazione, ai fini della proporzionalità della sanzione, è da condurre sulla base dei seguenti criteri: esistenza o meno di precedenti disciplinari, posizione del dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, modalità della commissione del fatto, entità del danno provocato all’impresa; ove, in applicazione di tali criteri, risultino l’inesistenza di precedenti disciplinari durante il lungo periodo di servizio prestato, lo svolgimento di mansioni non implicanti particolari responsabilità e delicatezza, modalità di commissione del fatto implicanti indici minimali di intensità dolosa, nonché la particolare tenuità del danno provocato, il licenziamento deve considerarsi illegittimo, trattandosi di infrazione inidonea a minare irreparabilmente l’elemento fiduciario, sia sotto il profilo della giusta causa, sia sotto quello del giustificato motivo soggettivo (Pret. Varese 9/5/97, est. Papa, in D&L 1997, 827)
  • Il giudice anche di ufficio può ritenere il fatto che abbia dato luogo al licenziamento per giusta causa qualificabile come giustificato motivo soggettivo, legittimante quindi il recesso con il riconoscimento dell’indennità di preavviso. Il limite che si pone per la diversa qualificazione della risoluzione del rapporto è solo quello che fa riferimento ai fatti posti a fondamento del recesso (Cass. 15/1/97 n. 360, pres. Rapone, est. Genghini, in D&L 1998, 185, n. MUGGIA, Conversione del licenziamento per giusta causa e valutazione dello stesso)