Lavoro sportivo

PREMESSA

Con la L. n. 86/19, il Parlamento ha delegato il Governo ad intervenire tramite “uno o più decreti legislativi” in materia di ordinamento sportivo e di professioni sportive entro il termine di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge (17/08/2019).

L’intervento dell’Esecutivo è previsto, tra l’altro, per:

-          Il riordino del CONI e della disciplina di settore

-          riorganizzare e coordinare formalmente e sostanzialmente le disposizioni di legge, compresa la legge 23 marzo 1981 n. 91, apportando le modifiche e le integrazioni necessarie a garantirne la coerenza e il rispetto della normativa europea e internazionale (lett. g) co. 1 art. 5)

 -          Individuare, valorizzare e disciplinare la figura del lavoratore sportivo e della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale;

 -         Disciplinare i rapporti di collaborazione di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale per le prestazioni rese in favore della società e associazioni sportive dilettantistiche.

 

Questione 1

Come è disciplinato il rapporto di lavoro di uno sportivo?

L'art. 3 L. 23/3/81 n. 91 dispone che la prestazione dello sportivo, che sia continuativa, a titolo oneroso e non dilettantistica, costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, a meno che l'attività venga svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva (o più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo), o che l'atleta sia vincolato per ciò che riguarda la frequenza alle sedute di allenamento, o che la prestazione non superi un certo quantitativo (8 ore settimanali, o 5 giorni al mese, o 30 giorni all'anno).

In buona sostanza, se il rapporto di lavoro è di tipo subordinato, lo sportivo ha gli stessi diritti e obblighi previsti dalla legge per ogni lavoratore subordinato. Va tuttavia sottolineato che la già citata legge n. 91 prevede numerose eccezioni che, di fatto, differenziano anche sensibilmente il rapporto di lavoro dello sportivo dagli ordinari rapporti di lavoro subordinato. In primo luogo, il contratto di assunzione deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma scritta, secondo un contratto tipo predisposto in conformità all'accordo stipulato, ogni tre anni, dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentati delle categorie interessate.

Una delle più importanti deroghe alla disciplina comune previste dalla legge in questione è la inapplicabilità, al lavoro subordinato sportivo, della L. 230/62, che pone il divieto di stipulare contratti di lavoro a termine, salvo le ipotesi ivi tassativamente previste. Infatti, le parti possono liberamente apporre un termine al contratto di lavoro sportivo, purché non superiore a 5 anni. Scaduto il termine, il contratto può essere prorogato; prima della scadenza, è ammessa la cessione del contratto ad una diversa società sportiva, a condizione che l'atleta sia d'accordo. In ogni caso, a maggior tutela dello sportivo, è vietato apporre al contratto clausole di non concorrenza, o comunque limitative della sua libertà professionale per il periodo successivo alla risoluzione del contratto.

Diversamente da quanto accade nell'ordinario rapporto di lavoro, nel lavoro sportivo il lavoratore più tutelato è quello assunto a termine che, almeno per la durata del contratto, è garantito in ordine alla continuità del rapporto. Chi sia assunto a tempo indeterminato è invece nella più totale incertezza, dal momento che la L. 91/81 esclude l'applicabilità delle norme di legge limitative del potere di licenziamento del datore di lavoro. Un'altra deroga significativa è la inapplicabilità della procedura di preventiva contestazione degli addebiti disciplinari ex art. 7 S.L., qualora la sanzione venga irrogata dalle federazioni sportive nazionali.

Questione 2

Gli sportivi professionisti conservano un'autonomia contrattuale, o sono strettamente condizionati dal contratto federale depositato presso la Lega?

Secondo una recente pronuncia della corte di cassazione (Cass. 4/3/99 n. 1855) lo sportivo professionista non ha alcun margine di autonomia, nel senso che rispetto al contratto federale non è possibile discostarsi, nemmeno in senso favorevole allo sportivo.

Il problema sorge dall'interpretazione dell'art. 4 L. 23/3/81 n. 91. Questa legge ha disciplinato, tra l'altro, il lavoro subordinato tra sportivi professionisti e società sportive, conferendo allo sportivo alcune garanzie che, pur modeste rispetto al normale lavoratore subordinato, rappresentano un significativo passo avanti in confronto alla situazione precedente alla legge, quando lo sportivo era del tutto privo di tutele legislative.

L’art. 4 prevede che il rapporto di prestazione sportiva si costituisce mediante "la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all'accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate". Si precisa poi che "La società ha l'obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione", mentre più avanti viene stabilita la nullità delle clausole contenenti deroghe peggiorative.

Invocando la normativa ora ricordata, un calciatore aveva ottenuto dal Pretore la condanna del Pescara Calcio al pagamento di un compenso aggiuntivo, previsto da una scrittura integrativa ma non dal contratto federale depositato presso la Lega. In senso contrario, la società sportiva sosteneva che, in base al citato art. 4, la scrittura integrativa doveva ritenersi nulla e che, dunque, il compenso aggiuntivo non dovesse essere corrisposto al calciatore.

La Cassazione, con la sentenza sopra ricordata, ha dato ragione al Pescara Calcio. In particolare, la sentenza sostiene che la L. 91/81 prevede la nullità delle pattuizioni non incluse nel contratto tipo, e ciò al fine di rendere possibili i controlli della Federazione sulle esposizioni finanziarie delle società sportive; sarebbe pertanto riduttivo ritenere che il vincolo di conformità sia esclusivamente finalizzato ad evitare clausole peggiorative in danno degli sportivi.

La sentenza non è per nulla condivisibile. A ben vedere, la sanzione della nullità, disposta dall'art. 4 c. 1, è esclusivamente riferita alla mancanza della forma scritta, come ben si desume dalla collocazione della clausola "a pena di nullità", e non può essere riferita alle ipotesi di difformità del contratto che intercorre tra lo sportivo e la società, rispetto al contratto tipo. Tale difformità è piuttosto disciplinata dal successivo comma 3, che però dispone la nullità solo per le ipotesi di clausole sfavorevoli allo sportivo, con ciò evidentemente lasciando intendere che clausole migliorative sono ammissibili.

Né la sentenza in questione trova conforto nell'art. 12 della stessa legge che, allo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, sottopone le società, al fine di verificarne l'equilibrio finanziario, ai controlli e ai conseguenti provvedimenti della Federazione. Infatti, questa norma ha solo lo scopo di sottoporre le società sportive al potere disciplinare degli organi della giustizia sportiva, e ciò al fine di garantire - come si è visto - il regolare svolgimento del campionato; pertanto, questa norma nulla ha a che vedere con i compensi degli sportivi, in qualunque forma - purché scritta - siano pattuiti. Il compenso previsto in un patto aggiunto non potrebbe essere negato neppure in considerazione del fatto che tale patto non è stato depositato in Federazione, dal momento che (come è stato sopra ricordato) l'art. 4 c. 2 pone l'obbligo del deposito a carico della società sportiva: in altre parole, il mancato deposito comporta la responsabilità della società, non certo dello sportivo; pertanto, quella non può invocare la sua responsabilità per legittimare la violazione di un accordo liberamente sottoscritto con questo.