D.Lgs. 198/2006 (codice delle pari opportunità)

D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198

Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.

Pubblicato nella Gazz. Uff. 31 maggio 2006, n. 125, S.O. n. 133.

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Libro I

DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA

Titolo I

DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1. Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, nonché integrazione dell'obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte le politiche e attività

Titolo II

ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA'

Capo I

Politiche di pari opportunità

Art. 2. Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunità

Capo II

Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna 

Art. 3. Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna  Art. 4. Durata e composizione della Commissione  Art. 5. Ufficio di Presidenza della Commissione  Art. 6. Esperti e consulenti  Art. 7. Segreteria della Commissione

Capo III

Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.

Art. 8. Costituzione e componenti  Art. 9. Convocazione e funzionamento  Art. 10. Compiti del Comitato  Art. 11. Collegio istruttorio e segreteria tecnica

Capo IV

Consigliere e consiglieri di parità

Art. 12. Nomina  Art. 13. Requisiti e attribuzioni  Art. 14. Mandato  Art. 15. Compiti e funzioni  Art. 16. Sede e attrezzature  Art. 17. Permessi  Art. 18. Fondo per l'attività delle Consigliere e dei consiglieri nazionali di parità  Art. 19. Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità  Art. 19-bis. Disposizione transitoria  Art. 20. Relazione al Parlamento

Capo V

Comitato per l'imprenditoria femminile

Art. 21. Comitato per l'imprenditoria femminile  Art. 22. Attività del Comitato per l'imprenditoria femminile

Libro II

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI

Titolo I

RAPPORTI TRA CONIUGI

Art. 23. Pari opportunità nei rapporti fra coniugi

Titolo II

CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI

Art. 24. Violenza nelle relazioni familiari

Libro III

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI

Titolo I

PARI OPPORTUNITA' NEL LAVORO

Capo I

Nozioni di discriminazione

Art. 25. Discriminazione diretta e indiretta  Art. 26. Molestie e molestie sessuali

Capo II

Divieti di discriminazione

Art. 27. Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro  Art. 28. Divieto di discriminazione retributiva  Art. 29. Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera  Art. 30. Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali  Art. 30-bis. Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari collettive. Differenze di trattamento consentite  Art. 31. Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici  Art. 32. Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali  Art. 33. Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza  Art. 34. Divieto di discriminazione nelle carriere militari  Art. 35. Divieto di licenziamento per causa di matrimonio

Capo III

Tutela giudiziaria

Art. 36. Legittimazione processuale  Art. 37. Legittimazione processuale a tutela di più soggetti  Art. 38. Provvedimento avverso le discriminazioni  Art. 39. Ricorso in via d'urgenza  Art. 40. Onere della prova  Art. 41. Adempimenti amministrativi e sanzioni  Art. 41-bis. Vittimizzazione

Capo IV

Promozione delle pari opportunità

Art. 42. Adozione e finalità delle azioni positive  Art. 43. Promozione delle azioni positive  Art. 44. Finanziamento  Art. 45. Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale  Art. 46. Rapporto sulla situazione del personale  Art. 47. Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive  Art. 48. Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni  Art. 49. Azioni positive nel settore radiotelevisivo  Art. 50. Misure a sostegno della flessibilità di orario  Art. 50-bis. Prevenzione delle discriminazioni

Capo V

Tutela e sostegno della maternità e paternità

Art. 51. Tutela e sostegno della maternità e paternità

Titolo II

PARI OPPORTUNITA' NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITA' D'IMPRESA

Capo I

Azioni positive per l'imprenditoria femminile

Art. 52. Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile  Art. 53. Principi in materia di beneficiari delle azioni positive  Art. 54. Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile  Art. 55. Relazione al Parlamento

Titolo II 2-bis

PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE NELL'ACCESSO A BENI E SERVIZI E LORO FORNITURA

Capo I

Nozioni di discriminazione e divieto di discriminazione

Art. 55-bis. Nozioni di discriminazione  Art. 55-ter. Divieto di discriminazione  Art. 55-quater. Parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi e altri servizi finanziari

Capo II

Tutela giudiziaria dei diritti in materia di accesso a beni e servizi e loro fornitura

Art. 55-quinquies. Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura  Art. 55-sexies. Onere della prova  Art. 55-septies. Legittimazione ad agire di associazioni ed enti

Capo III

Promozione della parità di trattamento

Art. 55-octies. Promozione del principio di parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura  Art. 55-novies. Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura  Art. 55-decies. Relazione alla Commissione europea

Libro IV

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI

Titolo I

PARI OPPORTUNITA' NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE

Capo I

Elezione dei membri del Parlamento europeo

Art. 56. Pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo  Art. 57. Disposizioni abrogate  Art. 58. Disposizioni finanziarie

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Libro I

DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA

Titolo I

DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 1.  Divieto di discriminazione e parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, nonché integrazione dell'obiettivo della parità tra donne e uomini in tutte le politiche e attività

1.  Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.

2.  La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione.

3.  Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

4.  L'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività.

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Titolo II

ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA'

Capo I

Politiche di pari opportunità

Art. 2.  Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunità (decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)

1.  Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunità, a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonché a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.

1-bis.   Agli organismi di parità previsti dal presente decreto, nonché da altre disposizioni normative vigenti spetta il compito di scambiare, al livello appropriato, le informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti.

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Capo II

Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna

[Artt. da 3 a 7 abrogati]

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Capo III

Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.

Art. 8.  Costituzione e componenti (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7)

1.  Il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della competenza statale, la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza fra uomo e donna nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.

2.  Il Comitato è composto da:

a)  il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;

b)  sei componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

c)  sei componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

d)  due componenti designati unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo più rappresentative sul piano nazionale;

e)  undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro che ne abbiano fatto richiesta;

f)  la consigliera o il consigliere nazionale di parità di cui all'articolo 12, comma 2, del presente decreto.

2-bis.  Le designazioni di cui al comma 2 sono effettuate entro trenta giorni dalla relativa richiesta. In caso di mancato tempestivo riscontro, il Comitato può essere costituito sulla base delle designazioni pervenute, fatta salva l'integrazione quando pervengano le designazioni mancanti.

3.  Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:

a)  tre esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro e politiche di genere;

b)  quattro rappresentanti, rispettivamente, del Ministero dello sviluppo economico, del Dipartimento della funzione pubblica, del Dipartimento per le pari opportunità e del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri;

c)  tre rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in rappresentanza delle Direzioni generali della tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali, per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione, per l'inclusione e le politiche sociali;

4.  I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo è nominato un supplente. In caso di sostituzione di un componente, il nuovo componente dura in carica fino alla scadenza del Comitato.

5.  Il vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito dei suoi componenti.

Art. 9.  Convocazione e funzionamento (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)

1.  Il Comitato è convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta metà più uno dei suoi componenti.

2.  Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e, per lo svolgimento dei propri compiti, può costituire specifici gruppi di lavoro.

Art. 10.  Compiti del Comitato

1.  Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell'ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 8, comma 1, e in particolare:

a)  formula proposte sulle questioni generali relative all'attuazione degli obiettivi della parità e delle pari opportunità, nonché per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di lavoro delle donne;

b)  informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessità di promuovere le pari opportunità per le donne nella formazione e nella vita lavorativa;

c)  formula, entro il mese di febbraio di ogni anno, gli indirizzi in materia di promozione delle pari opportunità per le iniziative del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da programmare nell'anno finanziario successivo, indicando obiettivi e tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere. Sulla base di tali indirizzi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblica apposito bando di finanziamento dei progetti di azione positiva;

d)  partecipa attraverso propri rappresentanti alla commissione di valutazione dei progetti di azione positiva. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti la composizione della commissione, i criteri di valutazione dei progetti e di erogazione dei finanziamenti, nonché le modalità di svolgimento delle attività di monitoraggio e controllo dei progetti approvati. Ai componenti della commissione non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati;

e)  collabora, su richiesta, alla stesura di codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parità e a individuare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;

f)  verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parità;

g)  elabora iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali, al fine di promuovere la parità di trattamento, avvalendosi dei risultati dei monitoraggi effettuati sulle prassi nei luoghi di lavoro, nell'accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionale, nonché sui contratti collettivi, sui codici di comportamento, ricerche o scambi di esperienze e buone prassi;

h)  propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive;

i)  elabora iniziative per favorire il dialogo con le organizzazioni non governative che hanno un legittimo interesse a contribuire alla lotta contro le discriminazioni fra donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;

l)  può richiedere alle Direzioni interregionali e territoriali del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale;

m)  promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale;

n)  provvede allo scambio di informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti in materia di parità fra donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;

o)  promuove la rimozione, anche attraverso azioni positive, degli ostacoli che limitano l'uguaglianza tra uomo e donna nella progressione professionale e di carriera, lo sviluppo di misure per il reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità, la più ampia diffusione del lavoro a tempo parziale e degli altri strumenti di flessibilità a livello aziendale che consentano una migliore conciliazione tra vita lavorativa e impegni familiari;

p)  svolge le attività di monitoraggio e controllo dei progetti già approvati, verificandone la corretta attuazione e l'esito finale.

Art. 11. [articolo abrogato]

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Capo IV

Consigliere e consiglieri di parità

Art. 12.  Nomina (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1; articolo 2, commi 1, 3, 4)

1.  A livello nazionale, regionale e della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 sono nominati una consigliera o un consigliere di parità. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresì alla nomina di un supplente che agisce su mandato della consigliera o del consigliere effettivo ed in sostituzione della medesima o del medesimo.

2.  La consigliera o il consigliere nazionale di parità, effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunità.

3.  Le consigliere e i consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, effettivi e supplenti, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, su designazione delle regioni, delle città metropolitane e degli enti di area vasta, sulla base dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1, e previo espletamento di una procedura di valutazione comparativa.

4.  In caso di mancata designazione delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato o in caso di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nei trenta giorni successivi, indice una procedura di valutazione comparativa, nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1, di durata non superiore, complessivamente, ai 90 giorni successivi alla scadenza dei termini per la presentazione delle candidature.

5.  I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono pubblicati sul sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali www.lavoro.gov.it.

Art. 13.  Requisiti e attribuzioni (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2, comma 2)

1.  Le consigliere e i consiglieri di parità devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione.

2.  Le consigliere ed i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parità sono pubblici ufficiali ed hanno l'obbligo di segnalazione all'autorità giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.

Art. 14.  Mandato

1.  Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all'articolo 12, effettivi e supplenti, ha la durata di quattro anni ed è rinnovabile per una sola volta. In ogni caso, per la determinazione della durata complessiva del mandato si computano tutti i periodi svolti in qualità di consigliera e consigliere, sia effettivo che supplente, anche non continuativi e anche di durata inferiore a quattro anni. La procedura di rinnovo si svolge secondo le modalità previste dall'articolo 12. Le consigliere e i consiglieri di parità continuano a svolgere le loro funzioni fino al completamento della procedura di cui all'articolo 12, comma 4. Non si applicano, al riguardo, le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 15 luglio 2002, n. 145.

Art. 15.  Compiti e funzioni

1.  Le consigliere ed i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:

a)  rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, anche in collaborazione con le direzioni interregionali e territoriali del lavoro, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252;

b)  promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione delle risorse dell'Unione europea, nazionali e locali finalizzate allo scopo;

c)  promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi dell'unione europea e di quelli nazionali e regionali in materia di pari opportunità;

d)  promozione delle politiche di pari opportunità nell'ambito delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative;

e)  collaborazione con le direzioni interregionali e territoriali del lavoro al fine di rilevare l'esistenza delle violazioni della normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;

f)  diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazione;

g)  collegamento e collaborazione con i competenti assessorati e con gli organismi di parità degli enti locali.

2.  La consigliera nazionale di parità, nell'ambito delle proprie competenze, determina le priorità d'intervento e i programmi di azione, nel rispetto della programmazione annuale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Svolge i compiti di cui al comma 1 e può svolgere, avvalendosi delle strutture del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dei relativi enti strumentali, inchieste indipendenti in materia di discriminazioni sul lavoro e può pubblicare relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul lavoro.

3.  Le consigliere e i consiglieri nazionale e regionali partecipano ai tavoli di partenariato locale e ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013. Le consigliere e i consiglieri regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta sono inoltre componenti delle commissioni di parità del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi diversamente denominati che svolgono funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale, o in sua sostituzione la supplente o il supplente, è componente del Comitato nazionale di cui all'articolo 8.

4.  Le regioni forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di parità il supporto tecnico necessario: alla rilevazione di situazioni di squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui all'articolo 46; alla promozione e alla realizzazione di piani di formazione e riqualificazione professionale; alla promozione di progetti di azioni positive.

5.  Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parità, le Direzioni interregionali e territoriali del lavoro, territorialmente competenti, acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.

6.  Entro il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, presentano un rapporto sull'attività svolta, redatto sulla base di indicazioni fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. La consigliera o il consigliere di parità che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia provveduto con un ritardo superiore a tre mesi decade dall'ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che ha provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

7.  Entro il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parità elabora, anche sulla base dei rapporti di cui al comma 6, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per le pari opportunità sulla propria attività e su quella svolta dalla Conferenza nazionale di cui all'articolo 19. Si applica quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 6 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.

Art. 16.  Sede e attrezzature

1.  L'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 è ubicato rispettivamente presso le regioni, le città metropolitane e gli enti di area vasta. L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parità è ubicato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio è funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie e idonee allo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari devono essere prontamente assegnati dagli enti presso cui l'ufficio è ubicato, nell'ambito delle risorse esistenti e a invarianza della spesa.

2.  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali può predisporre con gli enti territoriali, nel cui ambito operano le consigliere e i consiglieri di parità, convenzioni quadro allo scopo di definire le modalità di organizzazione e di funzionamento dell'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parità, nonché gli indirizzi generali per l'espletamento dei compiti di cui all'articolo 15, comma 1, lettere b), c), d), e g).

Art. 17.  Permessi

1.  Le consigliere e i consiglieri di parità, nazionale e regionali, hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative mensili medie. Nella medesima ipotesi le consigliere e i consiglieri di parità delle città metropolitane e degli enti territoriali di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di trenta ore lavorative mensili medie. L'eventuale retribuzione dei suddetti permessi è rimessa alla disponibilità finanziaria dell'ente di pertinenza che, su richiesta, è tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto in tal caso corrisposto per le ore di effettiva assenza. Ai fini dell'esercizio del diritto di assentarsi dal luogo di lavoro di cui al presente comma, le consigliere e i consiglieri di parità devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno tre giorni prima dell'inizio dell'assenza. Le consigliere e i consiglieri di parità supplenti hanno diritto ai permessi solo nei casi in cui non ne usufruiscano le consigliere e i consiglieri di parità effettivi.

2.  L'ente territoriale che ha proceduto alla designazione può attribuire, a proprio carico, alle consigliere e ai consiglieri di parità regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, che siano lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi o liberi professionisti, una indennità mensile, differenziata tra il ruolo di effettivo e quello di supplente, sulla base di criteri determinati dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il riconoscimento della predetta indennità alle consigliere e ai consiglieri di parità supplenti è limitato ai soli periodi di effettivo esercizio della supplenza.

3.  Alla consigliera e al consigliere nazionale di parità è attribuita un'indennità annua. La consigliera e il consigliere nazionale di parità, ove lavoratore dipendente, usufruiscono, inoltre, di un numero massimo di permessi non retribuiti. In alternativa a quanto previsto dal primo e dal secondo periodo, la consigliera e il consigliere nazionale di parità possono richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato, percependo in tal caso un'indennità complessiva annua. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono stabiliti, nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui all'articolo 18, i criteri e le modalità per determinare la misura dell'indennità di cui al primo periodo, differenziata tra il ruolo di effettivo e quello di supplente, il numero massimo dei permessi non retribuiti di cui al secondo periodo, i criteri e le modalità per determinare la misura dell'indennità complessiva di cui al terzo periodo, le risorse destinate alle missioni legate all'espletamento delle funzioni e le spese per le attività della consigliera o del consigliere nazionale di parità.

Art. 18.  Fondo per l'attività delle Consigliere e dei consiglieri nazionali di parità

1.  Il Fondo per l'attività delle consigliere e dei consiglieri di parità nazionali, effettivi e supplenti, è alimentato dalle risorse di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144 e successive modificazioni. Il Fondo è destinato a finanziare le spese relative alle attività della consigliera o del consigliere nazionale di parità, le spese per missioni, le spese relative al pagamento di compensi per indennità, differenziati tra effettivi e supplenti, i rimborsi e le remunerazioni dei permessi spettanti ai sensi dell'articolo 17, comma 1.

Art. 19.  Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità

1.  La Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, che comprende tutte le consigliere e i consiglieri, nazionale, regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56, è coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parità, in collaborazione con due consigliere o consiglieri di parità in rappresentanza rispettivamente delle o dei consiglieri regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta.

2.  La Conferenza opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parità, di accrescere l'efficacia della loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi. La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le pari opportunità e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali promuovono iniziative volte a garantire il coordinamento e l'integrazione degli interventi necessari ad assicurare l'effettività delle politiche di promozione delle pari opportunità per i lavoratori e le lavoratrici.

3.  Dallo svolgimento delle attività del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 19-bis.  Disposizione transitoria

1.  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore dei provvedimenti attuativi della legge 7 aprile 2014, n. 56, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro degli affari regionali, sono individuate le città metropolitane e gli enti di area vasta presso cui collocare le consigliere e i consiglieri di parità per lo svolgimento dell'attività di supporto già espletata dalle province.

2.  Fino alla effettiva costituzione dei nuovi enti territoriali, in applicazione dell'articolo 1, comma 85, lettera f), della legge 7 aprile 2014, n. 56, le consigliere e i consiglieri di parità, effettivi e supplenti, continuano a svolgere le funzioni che non possono essere in alcun modo interrotte. Le disposizioni del presente capo si applicano alle consigliere e ai consiglieri di parità in carica alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Ai fini della determinazione della durata dell'incarico o del rinnovo dello stesso, si computano anche i periodi già espletati in qualità di consigliera e consigliere di parità, sia effettivo che supplente, alla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Art. 20.  Relazione al Parlamento

1.  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base delle informazioni fornite dalle Consigliere nazionale, regionali, delle città metropolitane e degli enti di area vasta, nonché delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parità, acquisito il parere del Dipartimento per le pari opportunità, presenta al Parlamento, ogni due anni, una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.

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Capo V

Comitato per l'imprenditoria femminile

[Artt. 21 e 22 abrogati]

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Libro II

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI

Titolo I

RAPPORTI TRA CONIUGI

Art. 23.  Pari opportunità nei rapporti fra coniugi

1.  La materia delle pari opportunità nei rapporti familiari è disciplinata dal codice civile.

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Titolo II

CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI

Art. 24.  Violenza nelle relazioni familiari

1.  Per il contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.

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Libro III

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI

Titolo I

PARI OPPORTUNITA' NEL LAVORO

Capo I

Nozioni di discriminazione

Art. 25.  Discriminazione diretta e indiretta (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)

1.  Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.

2.  Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

2-bis.  Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.

Art. 26.  Molestie e molestie sessuali (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)

1.  Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

2.  Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

2-bis.  Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti di cui ai commi 1 e 2 o di esservisi sottomessi.

3.  Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1, 2 e 2-bis sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

3-bis.  La lavoratrice o il lavoratore che agisce in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni per molestia o molestia sessuale poste in essere in violazione dei divieti di cui al presente capo non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, determinati dalla denuncia stessa. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto denunciante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del denunciante. Le tutele di cui al presente comma non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del denunciante per i reati di calunnia o diffamazione ovvero l'infondatezza della denuncia.

3-ter.   I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza.

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Capo II

Divieti di discriminazione

Art. 27.  Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)

1.  È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, anche per quanto riguarda la creazione, la fornitura di attrezzature o l'ampliamento di un'impresa o l'avvio o l'ampliamento di ogni altra forma di attività autonoma.

2.  La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata:

a)  attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive;

b)  in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.

3.  Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonché all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.

4.  Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.

5.  Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni la prestazione richiesta dev'essere accompagnata dalle parole «dell'uno o dell'altro sesso», fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.

6.  Non costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un determinato sesso l'assunzione in attività della moda, dell'arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.

Art. 28.  Divieto di discriminazione retributiva (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)

1.  È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale.

2.  I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni.

Art. 29.  Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)

1.  E' vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.

Art. 30.  Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)

1.  Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali.

2. [comma abrogato]

3.  Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.

4.  Le prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria, per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata.

5.  La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonché in materia di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.

6.  Le prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.

Art. 30-bis.  Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari collettive. Differenze di trattamento consentite

1.  Nelle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, specificamente per quanto riguarda:

a)  il campo d'applicazione di tali forme pensionistiche e relative condizioni d'accesso;

b)  l'obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;

c)  il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.

2.  La fissazione di livelli differenti per le prestazioni è consentita soltanto se necessaria per tener conto di elementi di calcolo attuariale differenti per i due sessi nel caso di forme pensionistiche a contribuzione definita. Nel caso di forme pensionistiche a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi possono variare sempreché l'ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell'utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda del sesso all'atto dell'attuazione del finanziamento del regime.

3.  I dati attuariali che giustificano trattamenti diversificati ai sensi del comma 2 devono essere affidabili, pertinenti ed accurati.

4.  La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) esercita i suoi poteri ed effettua le attività necessarie, al fine di garantire l'affidabilità, la pertinenza e l'accuratezza dei dati attuariali che giustificano trattamenti diversificati ai sensi del comma 2, anche allo scopo di evitare discriminazioni. Essa inoltre raccoglie, pubblica e aggiorna i dati relativi all'utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente al Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro. Tali attività sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Art. 31.  Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici (legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1; legge 13 dicembre 1986, n. 874, articoli 1 e 2)

1.  La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.

2.  L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali più rappresentative e la Commissione per la parità tra uomo e donna, fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

[Artt. da 32 a 34 abrogati]

Art. 35.  Divieto di licenziamento per causa di matrimonio (legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)

1.  Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.

2.  Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.

3.  Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.

4.  Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.

5.  Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:

a)  colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

b)  cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;

c)  ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

6.  Con il provvedimento che dichiara la nullità dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.

7.  La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.

8.  A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'invito.

9.  Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.

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Capo III

Tutela giudiziaria

Art. 36.  Legittimazione processuale (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)

1.  Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni poste in essere in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parità della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale territorialmente competente.

2.  Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parità delle città metropolitane e degli enti di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 e regionali competenti per territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.

Art. 37.  Legittimazione processuale a tutela di più soggetti (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)

1.  Qualora le consigliere o i consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo o comunque nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni compresa la retribuzione, nella progressione di carriera, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni, prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.

2.  Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parità, qualora non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti.

3.  Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonché la consigliera o il consigliere di parità regionale competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano.

4.  Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parità possono proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. Il Tribunale in funzione di giudice del lavoro adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il decreto è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva. La tutela davanti al giudice amministrativo è disciplinata dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo.

5.  L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3 e al comma 4, al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione è punita con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a sei mesi e comporta altresì il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al Fondo di cui all'articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all'articolo 41, comma 1.

Art. 38.  Provvedimento avverso le discriminazioni (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 13)

1.  Qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo o di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o comunque discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

2.  L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.

3.  Contro il decreto è ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.

4.  L'inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punita con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a sei mesi.

5.  La tutela davanti al giudice amministrativo è disciplinata dall'articolo 119 del codice del processo amministrativo.

6.  Ferma restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale, dalle associazioni e dalle organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso, o dalla consigliera o dal consigliere della città metropolitana e dell'ente di area vasta di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56 o regionale di parità.

Art. 39.  Ricorso in via d'urgenza (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)

1.  Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di procedura civile o da altre disposizioni di legge non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.

Art. 40.  Onere della prova (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)

1.  Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione.

Art. 41.  Adempimenti amministrativi e sanzioni (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 16, comma 1)

1.  Ogni accertamento di discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, poste in essere da soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l'esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.

2.  L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, è punita con l'ammenda da 250 euro a 1500 euro.

Art. 41-bis.  Vittimizzazione

1.  La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresì, avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

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Capo IV

Promozione delle pari opportunità

Art. 42.  Adozione e finalità delle azioni positive (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)

1.  Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, nell'ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.

2.  Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:

a)  eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;

b)  favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;

c)  favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;

d)  superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;

e)  promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;

f)  favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi;

f-bis)  valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile.

Art. 43.  Promozione delle azioni positive (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)

1.  Le azioni positive di cui all'articolo 42 possono essere promosse dal Comitato di cui all'articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri di parità di cui all'articolo 12, dai centri per la parità e le pari opportunità a livello nazionale, locale e aziendale, comunque denominati, dai centri per l'impiego, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 44.  Finanziamento

1.  Entro il termine indicato nel bando di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c), i datori di lavoro pubblici e privati, le associazioni e le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al medesimo bando.

2.  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita la commissione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d), ammette i progetti di azioni positive al beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese. L'attuazione dei progetti di cui al comma 1 deve comunque avere inizio entro due mesi dal rilascio dell'autorizzazione.

3.  I progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale hanno precedenza nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.

4.  L'accesso ai fondi dell'Unione europea destinati alla realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 45, è subordinato al parere del Comitato di cui all'articolo 8.

Art. 45.  Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)

1.  Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, autorizzati secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal Fondo sociale europeo, è destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall'articolo 25 della stessa legge, determinata annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

2.  La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, viene accertata, entro il 31 marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all'articolo 8.

3.  La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è ripartita tra le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.

Art. 46.  Rapporto sulla situazione del personale (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)

1.  Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.

2.  Il rapporto di cui al comma 1 è trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità, che elaborano i relativi risultati trasmettendoli alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

3.  Il rapporto è redatto in conformità alle indicazioni definite nell'ambito delle specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.

4.  Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520. Nei casi più gravi può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.

Art. 47.  Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)

1.  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle pari opportunità e su indicazione del Comitato di cui all'articolo 8, determina, con apposito decreto, eventuali modifiche nelle modalità di presentazione delle richieste di cui all'articolo 45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di erogazione, nonché nei requisiti di onorabilità che i soggetti richiedenti devono possedere.

2.  La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui valutazione è effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.

Art. 48.  Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)

1.  Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ovvero, in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito inoltre, in relazione alla sfera operativa della rispettiva attività, il Comitato di cui all'articolo 10, e la consigliera o il consigliere nazionale di parità, ovvero il Comitato per le pari opportunità eventualmente previsto dal contratto collettivo e la consigliera o il consigliere di parità territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera d), favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.

A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile è accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata triennale. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

2.  Resta fermo quanto disposto dall'articolo 57, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Art. 49.  Azioni positive nel settore radiotelevisivo (legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11)

1.  La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparità tra i due sessi in sede di assunzioni, organizzazione e distribuzione del lavoro, nonché di assegnazione di posti di responsabilità.

2.  I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.

Art. 50.  Misure a sostegno della flessibilità di orario

1.  Le misure a sostegno della flessibilità di orario, finalizzate a promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.

Art. 50-bis.  Prevenzione delle discriminazioni

1.  I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi, per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali nel luogo del lavoro, nelle condizioni di lavoro, nonché nella formazione e crescita professionale.

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Capo V

Tutela e sostegno della maternità e paternità

Art. 51.  Tutela e sostegno della maternità e paternità

1.  La tutela ed il sostegno della maternità e paternità è disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

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Titolo II

PARI OPPORTUNITA' NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITA' D'IMPRESA

Capo I

Azioni positive per l'imprenditoria femminile

Art. 52.  Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)

1.  Il presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:

a)  favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;

b)  promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici;

c)  agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;

d)  favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;

e)  promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi.

Art. 53.  Principi in materia di beneficiari delle azioni positive (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)

1.  I principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:

a)  le società cooperative e le società di persone, costituite in misura non inferiore al 60 per cento da donne, le società di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, nonché le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;

b)  le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne.

Art. 54.  Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)

1.  A valere sulle disponibilità del Fondo, istituito con l'articolo 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 215, con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico, possono essere concesse ai soggetti indicati all'articolo 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento anche comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:

a)  per impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attività commerciali e turistiche o di attività nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonché per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;

b)  per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttività, all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché per lo sviluppo di sistemi di qualità.

2.  Ai soggetti di cui all'articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attività ivi previste.

Art. 55.  Relazione al Parlamento (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)

1.  Il Ministro dello sviluppo economico verifica lo stato di attuazione dei principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione annuale al Parlamento.

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Titolo II 2-bis

PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA UOMINI E DONNE NELL'ACCESSO A BENI E SERVIZI E LORO FORNITURA

Capo I

Nozioni di discriminazione e divieto di discriminazione

Art. 55-bis.  Nozioni di discriminazione

1.  Sussiste discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, quando, a causa del suo sesso, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga.

2.  Sussiste discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

3.  Ogni trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternità costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo.

4.  Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, fondati sul sesso, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona e la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

5.  Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

6.  L'ordine di discriminare persone direttamente o indirettamente a motivo del sesso è considerato una discriminazione, ai sensi del presente titolo.

7.  Non costituiscono discriminazione, ai sensi del presente titolo, le differenze di trattamento nella fornitura di beni e servizi destinati esclusivamente o principalmente a persone di un solo sesso, qualora siano giustificate da finalità legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari.

Art. 55-ter.  Divieto di discriminazione

1.  È vietata ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura.

2.  Il divieto di cui al comma 1 si applica a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e familiare e delle transazioni ivi effettuate.

3.  Sono escluse dall'ambito di applicazione del comma 1 le seguenti aree:

a)  impiego e occupazione, anche nell'ambito del lavoro autonomo nella misura in cui sia applicabile una diversa disciplina;

b)  contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità;

c)  istruzione pubblica e privata.

4.  Resta impregiudicata la libertà contrattuale delle parti, nella misura in cui la scelta del contraente non si basa sul sesso della persona.

5.  Sono impregiudicate le disposizioni più favorevoli sulla protezione della donna in relazione alla gravidanza e alla maternità.

6.  Il rifiuto delle molestie e delle molestie sessuali da parte della persona interessata o la sua sottomissione non possono costituire fondamento per una decisione che interessi la medesima persona.

7.  È altresì vietato ogni comportamento pregiudizievole posto in essere nei confronti della persona lesa da una discriminazione diretta o indiretta, o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento.

Art. 55-quater.  Parità di trattamento tra uomini e donne nei servizi assicurativi e altri servizi finanziari

1.  Nei contratti conclusi per la prima volta a partire dal 21 dicembre 2012, il fatto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non può determinare differenze nei premi e nelle prestazioni.

2.  In ogni caso i costi inerenti alla gravidanza e alla maternità non possono determinare differenze nei premi o nelle prestazioni individuali.

3.  L'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) vigila sul rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, avuto riguardo alla tutela degli assicurati nonché alla competitività e al buon funzionamento del sistema assicurativo. L'IVASS esercita altresì i suoi poteri ed effettua le attività necessarie al fine di garantire che le differenze nei premi o nelle prestazioni, consentite per i contratti conclusi prima del 21 dicembre 2012, permangano a condizione che siano state fondate su dati attuariali e statistici affidabili e che le basi tecniche non siano mutate.

4.  La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, secondo periodo, costituisce inosservanza al divieto di cui all'articolo 55-ter.

5.  L'IVASS provvede allo svolgimento delle attività previste al comma 3 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

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Capo II

Tutela giudiziaria dei diritti in materia di accesso a beni e servizi e loro fornitura

Art. 55-quinquies.  Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura

1.  In caso di violazione dei divieti di cui all'articolo 55-ter, è possibile ricorrere all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione.

2.  Alle controversie previste dal presente articolo si applica l'articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

[commi da 3 a 7 abrogati]

8.  In caso di accertata violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter, da parte di soggetti pubblici o privati ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, il giudice dà immediata comunicazione alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione dei benefici, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni o enti revocano i benefici e, nei casi più gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.

9.  Chiunque non ottempera o elude l'esecuzione di provvedimenti, diversi dalla condanna al risarcimento del danno, resi dal giudice nelle controversie previste dal presente articolo è punito con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a tre anni.

Art. 55-sexies. [articolo abrogato]

Art. 55-septies.  Legittimazione ad agire di associazioni ed enti

1.  Sono legittimati ad agire ai sensi dell'articolo 55-quinquies in forza di delega rilasciata, a pena di nullità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti in apposito elenco approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, ed individuati sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell'azione.

2.  Qualora il soggetto pubblico o privato ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo e non siano individuabili in modo immediato e diretto i soggetti lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle associazioni o gli enti rappresentativi dell'interesse leso di cui al comma 1.

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Capo III

Promozione della parità di trattamento

Art. 55-octies.  Promozione del principio di parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura

1.  Al fine di promuovere il principio della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, il Ministro per i diritti e le pari opportunità favorisce il dialogo con le associazioni, gli organismi e gli enti che hanno un legittimo interesse alla rimozione delle discriminazioni, mediante consultazioni periodiche.

Art. 55-novies.  Ufficio per la promozione della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura

1.  I compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, senza discriminazioni fondate sul sesso, sono svolti dall'Ufficio di livello dirigenziale generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, individuato ai sensi del comma 4. Tale ufficio svolge, in modo autonomo e imparziale, nel predetto ambito, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso.

2.  In particolare, i compiti attribuiti all'Ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:

a)  fornire un'assistenza indipendente alle persone lese dalla violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter;

b)  svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste indipendenti in materia al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;

c)  promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli enti di cui all'articolo 55-septies, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare il prodursi di discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura;

d)  diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;

e)  formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, nonché proposte di modifica della normativa vigente;

f)  redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura e sull'efficacia dei meccanismi di tutela e una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attività svolta;

g)  promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e gli enti di cui all'articolo 55-septies, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.

3.  L'Ufficio ha facoltà di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le informazioni e di esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.

4.  Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunità, da adottarsi entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è individuato, nell'ambito di quelli esistenti, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l'Ufficio di cui al comma 1.

5.  L'Ufficio può avvalersi di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, in servizio presso il Dipartimento, nonché di esperti e consulenti esterni, nominati ai sensi della vigente normativa.

6.  Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni di genere, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche.

Art. 55-decies.  Relazione alla Commissione europea

1.  Entro il 21 dicembre 2009 e successivamente ogni cinque anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e pari opportunità, trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative all'applicazione del presente titolo.

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Libro IV

PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI

Titolo I

PARI OPPORTUNITA' NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE

Capo I

Elezione dei membri del Parlamento europeo

Art. 56.  Pari opportunità nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo (legge 8 aprile 2004, n. 90, articolo 3)

1.  Nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, successive alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unità prossima.

2.  Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al comma 1, l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, è ridotto, fino ad un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito. Sono, comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.

3.  La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 è erogata ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuto proclamata eletta, ai sensi dell'articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.

Art. 57.  Disposizioni abrogate

1.  Sono abrogate le seguenti disposizioni:

a)  la legge 9 gennaio 1963, n. 7;

b)  l'articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;

c)  gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;

d)  gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;

e)  l'articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;

f)  la legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell'articolo 11;

g)  la legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;

h)  l'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;

i)  il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;

l)  il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'articolo 10, comma 4;

m)  il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;

n)  l'articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.

Art. 58.  Disposizioni finanziarie

1.  Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.