Questioni varie

 

  • No al licenziamento se in scritti difensivi si attribuisce al datore di lavoro fatti non veri con espressioni offensive, purché inerenti l’oggetto del giudizio.
    In un caso in cui il dipendente di una società era stato licenziato in tronco perché in un giudizio da lui promosso nei confronti della datrice di lavoro per ottenere differenze retributive aveva usato in scritti difensivi, per sostenere le proprie tesi, espressioni di aspra critica, con l’attribuzione di fatti costituenti in astratto reato (violenza privata), la Corte, confermando la non ricorrenza della calunnia nell’attribuzione di fatti di violenza per difetto dell’elemento del dolo, ha ricordato l’esimente stabilita dall’art. 598 c.p. per le offese concernenti l’oggetto della causa contenute negli scritti difensivi, alle quali, come all’attribuzione di fatti non veri, ma verosimili, non è pertanto consentito reagire col licenziamento. 
    (Cass. 11/7/2023 n. 19621, Pres. Raimondi Rel. Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2023)
  • La ritorsività del licenziamento (per mancata adesione a un piano di incentivazione volontario) integra una eccezione di merito e spetta quindi al datore di lavoro escluderla provando la sussistenza dei motivi addotti a fondamento dello stesso.
    Il Tribunale accoglie il ricorso ai sensi dell’art. 1, comma 48, L. 92/2012 e ordina la reintegrazione di un lavoratore che, dopo essere passato alle dipendenze della società cessionaria, era stato licenziato da quest’ultima per giustificato motivo oggettivo. Dopo aver escluso la fondatezza delle ragioni oggettive poste a fondamento del recesso, il Tribunale ha ritenuto sussistente il carattere ritorsivo del licenziamento, in realtà intimato per non avere il lavoratore aderito al piano di incentivazione all’esodo proposto a suo tempo dalla società cedente. Nel motivare la decisione, il Giudice ha affermato che, stante configurabilità della natura ritorsiva del recesso come una eccezione, sarebbe stato onere del datore di lavoro provare le ragioni formalmente poste alla base del provvedimento espulsivo, prova che nel caso di specie non è stata fornita neppure in punto di allegazione. (Trib. Busto Arsizio 18/4/2023, Giud. Molinari, in Wikilabour, Newsletter n. 10/23)
  • Il licenziamento è legittimo per la gravità del comportamento del lavoratore in sé, a prescindere dal danno cagionato al datore di lavoro. (Cass. 8/10/2020 n. 21739, ord., Pres. Di Cerbo Est. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 86)
  • L’onere di provare il carattere ritorsivo del recesso grava sul lavoratore; tuttavia il giudice di merito può valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, ove tali elementi, da soli o in concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del licenziamento. (Cass. 17/6/2020 n. 11705, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Lav. nella giur. 2020, 1099)
  • Contro il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato, il legislatore ordinario è libero di scegliere tra un apparato sanzionatorio centrato sul ripristino del rapporto e uno centrato sull’indennizzo monetario. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • La misura massima dell’indennizzo per il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato, stabilita originariamente in 24 mensilità dal d.lgs. 23/2015, art. 3, c. 1, è adeguata e ragionevole in relazione alla finalità di un adeguato ristoro del danno prodotto dal licenziamento ingiustificato e di un adeguato effetto dissuasivo contro questo comportamento datoriale antigiuridico; a maggior ragione lo è il limite massimo aumentato a 36 mensilità dal decreto-legge n. 87/2018. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Al legislatore ordinario non è consentito determinare l’indennizzo dovuto dal datore per il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato in una misura che varia rigidamente in funzione della sola anzianità di servizio del lavoratore, come è previsto dal d.lgs. n. 23/2015, art. 3, c. 1, perché in questo modo si finisce per trattare allo stesso modo situazioni diverse, in relazione alle dimensioni dell’azienda, al comportamento delle parti, alle loro condizioni economiche e anche ad altre circostanze rilevanti per la quantificazione del pregiudizio sofferto dalla persona licenziata in concreto, al quale deve essere commisurato l’indennizzo. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Non è adeguata né ragionevole la misura minimo dell’indennizzo stabilita originariamente in 4 mensilità dal d.lgs. n. 23/2015, art. 3, c. 1; e non lo è neppure la misura minima aumentata a 6 mensilità dal decreto-legge n. 87/2018. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Non è incostituzionale la differenziazione della disciplina dei licenziamenti a seconda che il recesso venga intimato prima dell’entrata in vigore della nuova norma o dopo. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Possono ritenersi ricomprese nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 in materia di contratto a tutele crescenti solo le ipotesi che possono considerarsi realmente nuove assunzioni, o le ipotesi di contratto a tempo determinato stipulati prima del 7 marzo 2015, ma che subiscano una “conversione” in senso tecnico in data successiva, per via giudiziale o stragiudiziale. (Trib. Roma 6/8/2018, Est. Rossi, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di L. Ratti, “Considerazioni critiche sul concetto di ‘conversione’ nel discrimine temporale del regime a tutele crescenti”, 71)
  • Trova applicazione l’art. 1, co. 3, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 nell’ipotesi in cui il datore di lavoro raggiunga la soglia dimensionale di cui all’art. 18, co. 8 e 9, St. lav. per effetto di una vicenda di natura successoria scaturente da un contratto di affitto di azienda, sebbene tale fattispecie non sia prevista espressamente dal legislatore, che ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 23/2015, contempla esclusivamente l’ipotesi in cui l’integrazione del suddetto requisito dimensionale sia avvenuta in virtù della costituzione di nuovi rapporti di lavoro subordinato (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015 ossia dal 7.3.2015). (Trib. Trento 8/5/2018, Giud. Flaim, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di A. Ingrao, “Il giustificato motivo nel Jobs Act: ambito applicativo, ragione organizzativa e confini con il licenziamento nullo”, 776)
  • È inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del d.lgs. 4.3.2015 n. 23 – Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti –, e dell’art. 18 della legge 20.5.1970, n. 300 (richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 9.12.2016 dell’Ufficio centrale per il referendum,, costituito presso la Corte di Cassazione). (Corte Cost. 27/12/2017, n. 26, Pres. Grossi Est. Lattanzi, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di F. Pallante, “La dubbia inammissibilità del referendum sui limiti alla tutela reale contro i licenziamenti illegittimi”, 523)
  • È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 7, lett. g, legge n. 183/2014 e degli artt. 2, 3, 4 del d.lgs. n. 23/2015, per contrasto con gli artt. 3, 4, 76 e 117, co. 1 Cost., letti autonomamente e anche in correlazione fra loro. (Trib. Roma 26/7/2017, ord., in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di G. Proia, “Sulla questione di costituzionalità del contratto a tutele crescenti”, 768)
  • Nel regime di tutela obbligatoria, in caso di licenziamento inefficace per violazione del requisito di motivazione ex art. 2, co. 2, l. n. 604/1966, come modificato dall’art. 1, co. 37, l. n. 92/2012, trova applicazione l’art. 8 della medesima legge, in virtù di un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della novella del 2012 che ha modificato anche l’art. 18, l. n. 300/1970, prevedendo, nella medesima ipotesi di omessa motivazione del licenziamento, una tutela esclusivamente risarcitoria. (Cass. 5/9/2016, n. 17589, Pres. Amoroso Est. Patti, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di R. Di Meo, “L’interpretazione contra legem del licenziamento inefficace nelle pmi e il livellamento verso il basso delle “tutele” in una recente pronuncia della Corte di Cassazione”, 227)
  • In caso di licenziamento intimato dal curatore senza il rispetto del periodo di preavviso spetta al dipendente licenziato la relativa indennità sostitutiva, che deve essere ammessa al passivo dal fallimento in privilegio ai sensi dell’art. 2751-bis n. 1 c.c. (Trib. Milano 5/5/2015, decr., Pres. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Luigi Andrea Cosattini, “Retrocessione al fallimento dell’azienda affidata e licenziamento: il difficile equilibrio fra esigenze della massa e tutela del lavoratore”, 941)
  • Anche in assenza di responsabilità disciplinare del prestatore di lavoro, il licenziamento intimato dal datore di lavoro nella consapevolezza di ciò, e al solo fine di trovare un capro espiatorio e di coprire proprie responsabilità, non è comunque viziato da motivo illecito, non essendovi violazione di norma imperativa. (Trib. Roma 4/3/2015 n. 2318, Giud. Pangia, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Carlo Cester, 605)
  • La previsione di cui all’art. 2, comma 2, L. n. 604/1966, alla cui stregua, dalla violazione dell’obbligo datoriale di esplicitare specificatamente la motivazione del licenziamento consegue la declaratoria di inefficacia del recesso, è applicabile non soltanto in caso di totale carenza della motivazione, bensì anche in ipotesi di motivazione generica. Anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012 in materia di licenziamento, e della previsione, di cui all’art. 18, comma 6, Stat. Lav., di una tutela di natura meramente indennitaria in presenza di vizi formali e procedurali, nei rapporti soggetti alla disciplina limitativa per le piccole imprese, il licenziamento motivato genericamente continua a essere regolato dall’art. 2, comma 3, L. n. 604/1966, che, nel prevederne l’inefficacia, produce gli effetti di rito comune della accertata persistenza del rapporto di lavoro: diritto al ripristino e all’integrale risarcimento dei danni subiti; anche il novellato art. 18, comma 6, si applica, infatti, soltanto ai datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori. (Trib. Roma, 17/11/2014, n. 8365, Cons. Est. Masi, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elena Giorgi, 382)
  • Il licenziamento ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di una particolare offensività e non funzionalità delle espressioni usate dal datore di lavoro o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio. (Cass. 13/3/2014 n. 5885, Pres. Miani Canevari Est. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 606)
  • L’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 (riforma “Fornero” del sistema previdenziale) non innova al quadro normativo preesistente, in forza del quale, raggiunta l’età massima lavorativa, non è applicabile, ex art. 4 co. 2 legge 108/90, la tutela ex art. 18 legge 300/70. (Trib. Genova 11/11/2013, ord., Est. Barenghi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Vincenzo Ferrante, “Licenziamento dell’ultrasessantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4 D.L. 201/2011): lex minus dixit quam voluit?”, 373)
  • Il licenziamento, intimato per la sola ragione del raggiungimento dell’età di pensionamento di vecchiaia, non è discriminatorio, poiché al legislatore nazionale non è inibito, a mente dell’art. 6 della direttiva 2000/78, dettare una normativa che assuma l’età quale elemento idoneo a fondare una disparità di trattamento fra i lavoratori. (Trib. Genova 11/11/2013, ord., Est. Barenghi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Vincenzo Ferrante, “Licenziamento dell’ultrasessantenne in possesso dei requisiti per la pensione (art. 24, co. 4 D.L. 201/2011): lex minus dixit quam voluit?”, 373)
  • La pronuncia di illegittimità del licenziamento ha effetti retroattivi, che comportano la non interruzione del rapporto lavorativo, assicurativo e previdenziale; ne consegue che il datore di lavoro ha, pertanto, l’obbligo di versare all’ente previdenziale i contributi assicurativi per tutta la durata del periodo e l’eventuale ritardo, che, dipendendo da un atto illegittimo dello stesso datore di lavoro, non può reputarsi giustificato, comporta l’applicazione delle sanzioni civili previste dall’ottavo e dal nono comma dell’art. 116 della legge 2000 n. 388. (Cass. 11/10/2013 n. 23181, Pres. Roselli Re. Curzio, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Agostino Di Feo, 351)
  • Il termine finale fissato dal CCNL per l’irrogazione della sanzione del licenziamento deve intendersi come perentorio. (Trib. Patti 1/10/2013, Est. La Spada, in Lav. nella giur. 2013, 1046)
  • A seguito della riforma del 2012, le ipotesi di licenziamento nullo effettuate da parte di un datore di lavoro non imprenditore che svolge attività di natura politica, in tutti i casi in cui dall’art. 1 comma 42 lett. b l. n. 92 del 2012, prevedono l’applicazione della tutela reale. Depongono in tale senso ragioni di carattere generale, laddove il legislatore ne ha previsto l’applicazione all’imprenditore o non imprenditore. Nello stesso senso ragioni di carattere sistematico, considerando che la nuova normativa ha riorganizzato l’intera materia relativa ai licenziamenti nulli e, infine, ragioni di carattere logico. (Trib. Roma 21/11/2012, Giud. Billi, in Lav. nella giur. 2013, 315)
  • È nullo il licenziamento formalmente intimato per giustificato motivo oggettivo a seguito di chiusura di un punto vendita, ove in adempimento dell’obbligo di repêchage siano esercitate pressioni sulla lavoratrice per indurla ad accettare condizioni di lavoro deteriori quali il passaggio al regime d’orario full-time presso un’unità produttiva sita in altro comune. La condotta del datore di lavoro viola l’art. 5, d.lgs. n. 61/2000 e comporta la nullità del licenziamento per motivo illecito di natura ritorsiva. Ne consegue l’applicazione della tutela reintegratoria prevista dal novellato art. 18, c. 1, l. n. 300/1970. (Trib. Bologna 19/11/2012, Giud. Coco, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Pietro Ichino, “Quando il giudice confonde il difetto di giustificato motivo con il motivo illecito”, e di Franco Scarpelli, “Giustificato motivo di recesso e divieto di licenziamento per rifiuto della trasformazione del rapporto a tempo pieno”, 271)
  • La previsione contenuta nell’art. 18, 4° comma, SL, come novellato dall’art. 1, comma 42, L. 28/6/12 n. 92 (c.d. Riforma Fornero), secondo cui nel licenziamento disciplinare il Giudice dispone la reintegra del lavoratore qualora rilevi “l’insussistenza del fatto contestato”, si riferisce non solo al fatto materiale addebitato ma al cosiddetto fatto giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nell’unicum delle sue componenti oggettiva e soggettiva, vale a dire come il fatto idoneo a integrare gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento. (Trib. Bologna 15/10/2012, ord., Est. Marchesini, in D&L 2012, con nota di Ferdinando Perone, “Nuovo art. 18 SL e nozione di ‘fatto contestato’ nel licenziamento disciplinare”, 821)
  • Il giudice dovrà attivare il nuovo procedimento ogni qual volta, impugnando il licenziamento, l’attore richieda la reintegra, salvo che si tratti di prospettazione palesemente strumentale, abnorme, errata (ad es., se l’attore riconoscesse fin dall’atto introduttivo che il datore ha meno di quindici dipendenti e non si tratta di licenziamento discriminatorio, a onta della domanda di reintegra, il giudice dovrebbe ab origine dar corso all’ordinario giudizio di lavoro; se l’attore impugnasse l’apposizione del termine al contratto di lavoro, chiedendo la reintegra, poiché, giuridicamente, non si verte in un caso di licenziamento ma di messa in libertà alla scadenza del termine, egualmente il giudice non dovrebbe aprire il nuovo procedimento). Qualora, invece, tali situazioni limite non ricorrano, il giudice aprirà il nuovo procedimento; se, poi, nel contraddittorio delle parti ma in limine litis (ossia prima della trattazione della istruttoria), egli rileverà che non ricorrono i presupposti della reintegra, si pronunzierà immediatamente, o dichiarando inammissibile la domanda o disponendo il mutamento di rito ex art. 4 d.lgs. n. 150/2011 (ovvero ex artt. 426 s. c.p.c.). Se, invece, l’insussistenza del requisito dimensionale per la reintegra emergerà a seguito dell’istruttoria, pare preferibile che il giudice si pronunzi ormai nel merito. (Trib. La Spezia 5/10/2012, ord., Giud. Panico, in Lav. nella giur. 2012, 1224)
  • Il licenziamento è un negozio unilaterale recettizio che è diretto a determinare la cessazione del rapporto di lavoro ed è assoggettato alla norma dell’art. 1334 c.c., sicché produce effetto nel momento in cui il lavoratore riceve l’intimazione da parte del datore di lavoro, con la conseguenza che la verifica e le condizioni che legittimano l’esercizio del potere di recesso deve essere compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato. (Cass. 10/9/2012 n. 15102, Pres. Roselli Est. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 1219)
  • Sulla premessa della natura simulata del rapporto di apprendistato corrente con la società, deve ritenersi nullo, perché discriminatorio e riferibile a un motivo illecito determinante, il licenziamento intimato a una delle due lavoratrici per asserita giusta causa, ma senza previa contestazione di addebuto, alcuni mesi dopo l’inizio del rapporto, con le conseguenze di cui all’art. 18 St. lav. Non possono invece reputarsi nulle né annullabili per violenza morale le dimissioni rassegnate dall’altra lavoratrice successivamente alle condotte illecite. (Trib. Pistoia 8/9/2012, Giud. Tarquini, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Riccardo Del Punta, “Un caso esemplare di molestie sessuali sul lavoro”, 25)
  • Ove il lavoratore deduca il carattere ritorsivo del provvedimento datoriale, è necessario che tale intento abbia avuto un’efficacia determinativa ed esclusiva del licenziamento anche rispetto agli altri eventuali fatti idonei a configurare un’ipotesi di legittima risoluzione del rapporto, dovendosi escludere la possibilità di procedere a un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili a una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altre inadempienze. (Cass. 9/3/2011 n. 5555, Pres. Roselli Est. Morcavallo, in Orient. Giur. Lav. 2011, 157)
  • È illegittimo il licenziamento disposto a seguito del rifiuto di una dipendente, titolare dei benefici di cui alla l. n. 104/92 per assistere il proprio marito, ad accettare un provvedimento di trasferimento disposto unilateralmente. (Cass. 27/10/2010 n. 21967, Pres. ed Est. Foglia, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Pallini, “L’utilità sociale quale limite interno al potere di licenziamento?”, 86)
  • Il mutamento di titolarità dell'azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente che continuano a tutti gli effetti con il cessionario il quale subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al primo; la natura precaria dell'effetto estintivo del licenziamento intimato prima del trasferimento dell'azienda e l'ipotetico ripristino, in caso di suo annullamento, del rapporto di lavoro fra le parti originarie, determina la legittimazione passiva del cessionario e rispetto all'impugnativa di quel licenziamento. (Cass. 12/4/2010 n. 8641, Pres. Battimiello Rel. Curcuruto, in D&L 2010, con nota di Paolo Perucco, "La legittimazione passiva del cessionario d'azienda nell'annullamento del licenziamento intimato prima del suo trasferimento", 572)
  • L'ingiustificatezza del recesso datoriale può evincersi da un'incompleta o inveritiera comunicazione dei motivi di licenziamento ovvero da un'infondata contestazione degli addebiti o, ancora, dalla pretestuosità o insussistenza dei motivi addotti, potendo tali condotte rendere almeno più disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile a condotte disciminatorie, ovvero prive di adeguatezza sociale. (Cass. 22/3/2010 n. 6845, Pres. Roselli Est. Morcavallo, in D&L 2010, con nota di Vania Scalambrieri, "Il risarcimento del danno biologico per illegittimo licenziamento presuppone la prova dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo al datore di lavoro", 582, e in Orient. giur. lav. 2010, 507)
  • L'illegittimo collocamento a riposo è equiparato al licenziamento illegittimo con conseguente applicazione della tutela prevista dall'art. 18 SL. (Trib. Milano 19/1/2010, est. Perillo, in D&L 2010, con nota di Sonia Elena Boatti, "Il diritto insindacabile della lavoratrice a non essere collocata a riposo prima dei colleghi uomini", 619)
  • A seguito dell'estensione dell'applicabilità della disciplina di cui alla l. 15 luglio 1966, n. 604, e all'art. 18, l. 20 maggio 1970, n. 300, al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione, disposta dalla Corte Costituzionale con sentenza 3 aprile 1987, n. 96, ai fini dell'applicabilità di tale normativa limitativa del potere di licenziamento, relativamente al suddetto personale, è sufficiente che tra le parti sussista un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in base alla loro volontà o per effetto della normativa del codice della navigazione e della contrattazione collettiva che prevalgano sulla volontà delle parti, mentre non è necessaria la concorrenza dei presupposti particolari dell'istituto, previsto dai contratti collettivi, della c.d. continuità del rapporto di lavoro. (Cass. 27/10/2009 n. 22649, Pres. Sciarelli Rel. Monaci, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di M. M. Mutarelli, "L'applicazione dell'art. 18 St. Lav. al licenziamento illegittimo del lavoratore marittimo", 784)
  • Una normativa nazionale che, ai fini del calcolo del termine di preavviso di licenziamento, non prende in considerazione i periodi di lavoro compiuti dal dipendente prima di aver raggiunto il venticinquesimo anno d’età, incide sulle condizioni di licenziamento dei dipendenti e rientra dunque nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/Ce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. C). (Corte di Giustizia CE 19/1/2010, causa C-555/07, Pres. Skouris Rel. Lindh, in D&L 2009, con nota di Silvia Borelli, “La Corte di Giustizia (ancora) alle prese con discriminazioni in ragione di età”, 932)

  • Una normativa nazionale che autorizza il datore di lavoro a licenziare un lavoratore per il fatto che questi ha raggiunto l'età pensionabile incide sulla durata del rapporto di lavoro che lega le parti nonché sullo svolgimento da parte del lavoratore della sua attività professionale e rientra dunque nell'ambito di applicazione della direttiva 2000/78/Ce, ai sensi dell'art. 3, n. 1, lett. c). (Corte Giustizia Ce 5/3/2009 causa C-388/07, Pres. Rosas Rel. Lindh, in D&L 2009, 929) 
  • Con la decisione in esame, la Corte di Cassazione ribadisce il principio in base al quale la carcerazione del dipendente, che derivi da fatti estranei al rapporto di lavoro, non può dar luogo a un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, ma eventualmente soltanto a una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione che è possibile fa rientrare nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della L. n. 604/1966, in relazione alle specifiche esigenze dell'impresa, da valutarsi peraltro caso per caso. (Cass. 1/6/2009 n. 12721, Pres. De Luca Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Gianluigi Girardi, 903)
  • Con riferimento al riparto dell'onere probatorio nell'azione di accertamento dell'invalidità del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, che fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l'attività e, sul piano processuale, dell'azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell'atto espulsivo, mentre le dimensioni dell'impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall'art. 18 della L. n. 300 del 1970, costituiscono, insieme alla giusta causa o al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del diritto soggettivo del lavoratore all'applicazione della tutela reale e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. (Trib. Bologna 30/4/2009, Giud. Pugliese, in Lav. nella giur. 2009, 963)
  • In base al principio di immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento, la giustificazione del datore di lavoro non può fondarsi su fatti diversi da quelli addotti nella motivazione del licenziamento stesso quale enunciata all’atto della sua intimazione. Tale regola, invero, ha carattere generale e opera come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata e la validità dell’atto di recesso. (Trib. Milano 24/3/2009, Est. Bianchini, in Orient. Giur. Lav. 2009, 168)
  • La prova gravante sul lavoratore, che chieda giudizialmente la declaratoria di illegittimità dell'estinzione del rapporto, riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo (cioè la estromissione del lavoratore dal luogo di lavoro, ovvero, più correttamente sotto il profilo terminologico-giuridico, mancata accettazione, da parte del datore di lavoro, della prestazione lavorativa messagli a disposizione dal lavoratore). D'altro canto, allorquando il datore di lavoro non abbia comprovato la circostanza delle dimissioni del lavoratore, l'onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di nullità) resta carico del datore di lavoro; ciò, in quanto, alla luce della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro, avente valore di una eccezione, ricade sull'eccipiente, datore di lavoro ex art. 2697 c.c. (Trib. Bari 10/3/2009, Giud. Spagnoletti, in Lav. nella giur. 2009, 638)
  • Posto che il licenziamento illegittimo, nel regime di tutela reale, non è idoneo a estinguere il rapporto di lavoro, determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta in contratto, è ben ammissibile che il datore di lavoro proceda validamente a un nuovo licenziamento, fondato su ragioni diverse, nelle more dell'accertamento della legittimità del primo. (Cass. 22/10/2008 n. 25573, Pres. Cuoco Est. Nobile, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Oronzo Mazzotta, "La 'parola' del legislatore e il sistema della legge: a proposito del potere del datore di rilicenziare un lavoratore già licenziato", 313)
  • Nei rapporti di lavoro sottratti al regime della tutela reale, il licenziamento, affetto da uno dei vizi formali di cui all'art. 2 della L. n. 604/66 non produce effetti sulla continuità del rapporto e che, in ragione della natura sinallagmatica di quest'ultimo, il lavoratore ha diritto alla corresponsione di tutte le retribuzioni perdute per effetto del licenziamento, non trovando applicazione i limiti minimi e massimi di indennizzo posti dall'art. 8 della medesima legge n. 604/1966 che disciplina le ipotesi di licenziamento privo di giustificazioni. (Trib. Milano 24/9/2008, d.ssa Preagallo, in Lav. nella giur. 2009, 204) 
  • Il motivo illecito (ritorsivo e discriminatorio), quale unico motivo del negozio unilaterale estintivo del rapporto di lavoro, come tale nullo, non può che essere provato per presunzioni. (Trib. Milano 21/8/2008, Est. Atanasio, in Orient. giur. lav. 2008, 751)
  • L'accertamento della natura ritorsiva del licenziamento non può che avvenire attraverso presunzioni. Qualora il lavoratore provi una serie di fatti, quali la richiesta di rilascio di dimissioni in bianco da parte del datore di lavoro dietro minaccia di licenziamento, la dequalificazione del lavoratore e infine il suo licenziamento, temporalmente e funzionalmente posti in sequenza tra loro senza soluzione di continuità, questo è idoneo a dimostrare che l'intento ritorsivo sia stato l'unico motivo di risoluzione del rapporto di lavoro. (Trib. Milano 14/8/2008, Dott. Atanasio, in Lav. nella giur. 2009, 95) 
  • Benché la sentenza pronunciata a norma dell'art. 444 c.p.p., che disciplina l'applicazione della pena su ruchiesta dell'imputato, non sia tecnicamente configurabile come una sentenza di condanna, anche se è a questa equiparata a determinati fini, tuttavia, nell'ipotesi in cui una disposizione di un contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato, ben può il giudice di merito, nell'interpretare la volontà delle parti collettive, ritenere che gli agenti contrattuali, nell'usare l'espressione "sentenza di condanna", si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza c.d. "patteggiamento" ex art. 444 c.p.p., atteso che in tal caso l'imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l'accusa dell'onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena. Ne consegue che, ai fini della legittimità del licenziamento, non rileva che lo stesso sia stato intimato prima dell'irrevocabilità della sentenza di patteggiament. (Cass. 26/3/2008 n. 7866, Pres. De Luca Est. Mammone, in D&L 2008, con nota di Roberto Muggia, "La sentenza di patteggiamento come giusta causa di licenziamento: la conferma di un pericoloso revirement della Cassazione", 1019)
  • Il licenziamento intimato senza la previa osservanza delle garanzie procedimentali non è nullo, ma ingiustificato, nel senso che il comportamento intimato al dipendente, ma non fatto valere attraverso quel procedimento, non può, quand'anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro, per sottrarsi alla tutela apprestata all'ordinamento per le diverse situazioni. (Trib. Milano 29/2/2008, D.ssa Beccarini, in Lav. nella giur. 2008, 1064)
  • E' nullo, per frode alla legge, il contratto di affitto di azienda finalizzato e idoneo a produrre l'effetto dell'elusione della tutela reale in materia di licenziamento. (Cass. 7/2/2008 n. 2874, Pres. Mattone Est. Nobile, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Vitale, "Appunti sulla fraus legi nei processi di esternalizzazione", 641)
  • In tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c. ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno; tale contrarietà, peraltro, nel caso di dipendente di società, va necessariamente rapportata agli interessi del soggetto giuridico società e non agli interessi di un singolo socio o di un gruppo, anche se di maggioranza (nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto che la condotta del dipendente di acquisto di quote azionarie e di successiva vendita delle stesse al maggior concorrente della società datrice di lavoro - attività in sé legittima sul piano del diritto societario ancorché suscettibile di autonoma valutazione nell'ambito del rapporto di lavoro - non integrasse gli estremi della giusta causa di licenziamento, tant'è che il Consiglio di amministrazione della società aveva escluso che fosse suo compito intervenire sui diritti dei soci al trasferimento delle azioni, restando privo di rilevanza che la suddetta operazione avesse sconvolto l'assetto societario a danno del socio di maggioranza). (Cassa con rinvio, App. Milano, 15 gennaio 2004). (Cass. 1/2/2008 n. 2474, Pres. Senese Est. Nobile, in Dir. e prat. 2008, 2108)
  • Non sussistono le condizioni di cui all'art. 4 L 11/5/90 n. 108 per escludere l'applicabilità dell'art. 18 SL nel caso di licenziamento comminato da un istituto di patronato e assistenza sociale, in quanto lo stesso non svolge compiti di natura politica e sindacale. (Cass. 20/11/2007 n. 24043, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in D&L 2008, con nota di Alba Civitelli, "Gli istituti di patronato e assistenza sociale non sono organizzazioni di tendenza", 294)
  • Nell'ipotesi di controversia in ordine al quomodo della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni) si impone una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all'esigenza di rispettare non solo il primo comma dell'art. 2697 c.c., relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall'attore, ma anche il secondo comma, che pone a carico dell'eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte. Sicché, in mancanza di prova delle dimissioni, l'onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta ex lege a pena di nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro - avente valore di una eccezione - ricade sull'eccipiente - datore di lavoro ex art. 2697 c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in sede di rinvio, aveva applicato un principio di diritto contrario a quello enunciato dalla sentenza rescindente - secondo la quale la c.d. "estromissione" del lavoratore dal posto di lavoro invertiva l'onere probatorio, ponendo a carico del datore la prova di un fatto estintivo del rapporto diverso dal licenziamento - giacché si era impegnata a dimostrare che la pur controversa estromissione del lavoratore dal posto di lavoro non configurasse un licenziamento orale, addossando ancora una volta sullo stesso lavoratore l'onere di provare l'estinzione del rapporto lavorativo). (Cass. 27/8/2007 n. 18087, Pres. Mattone Est. Maiorano, in Lav. nella giur. 2008, 189)
  • La consegna del libretto di lavoro con l'indicazione della data di cessazione del rapporto integra il requisito della forma scritta prevista per il licenziamento dall'art. 2 della l. n. 604/1966. (Cass. 13/8/2007 n. 17652, Pres. Ianniruberto Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Madia D'Onghia, "La forma del licenziamento: brevi riflessioni sulla rilevanza di forme sostitutive della usuale dichiarazione scritta", 172)
  • La genericità della motivazione addotta nella lettera di licenziamento non è suscettibile di integrazione nel corso del giudizio e può di per sè comportare l'illegittimità del recesso. (Trib. Milano 15/12/2006, Est. Vitali, in D&L 2007, con nota di Matteo Paulli, "Sull'obbligo di motivazione", 233)
  • Non può essere consentita all'autonomia privata, individuale o collettiva, di introdurre ipotesi estintive del rapporto di lavoro a tempo indeterminato diverse da quelle tassativamente fissate dal legislatore di cui alla L. n. 604/1966 e alla L. n. 300/1970; deve, pertanto, essere considerata nulla, ai sensi dell'art. 1418 c.c., ogni diversa clausola contrattuale che preveda la risoluzione automatica del rapporto di lavoro per raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente diritto al risarcimento del danno non per licenziamento illegittimo, ma per nullità dell'atto interattivo del rapporto e, dunque, a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1218, 1223 e 1224 c.c. (Cass. 18/10/2006 n. 22342, Pres. Mattone Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2007. con commento di Giuseppe Abbracciavento, 603)
  • E' illegittimo il licenziamento del lavoratore rappresentante dei lavoratori per la sicurezza motivato dal suo rifiuto di ricoprire anche l'incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. (Cass. 15/9/2006 n. 19965, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Valentina Pasquarella, "Incompatibilità degli incarichi di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione", 676)
  • Nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l’inadempimento dell’altra, occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti non soltanto in riferimento all’elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche in relazione ai rapporti di causalità e di proporzionalità di tali inadempienze rispetto alla funzione economico-sociale del contratto al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell’altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente che va, in primo luogo, accertata la sussistenza della gravità dell’inadempimento cronologicamente anteriore, perché quando questo non è grave, il rifiuto dell’altra parte di adempiere non è di buona fede e, quindi, non è giustificato (v. pronunce di questa Corte n. 4743/1998 ; n. 10668/1999; n. 699/2000; n. 8880/2000 ecc.). Va inoltre aggiunto che il requisito della buona fede previsto dall’art. 1460 c.c. per la proposizione dell’eccezione inadimplenti non est adimplendum sussiste quando, nella comparazione tra inadempimento cronologicamente anteriore e prestazione corrispettiva rifiutata, il rifiuto sia stato determinato non solo da un inadempimento grave, ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l’art. 1175 c.c. impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite (v. pronuncia di questa Corte n. 4743/1998). In particolare con riferimento al contratto di lavoro l’ipotesi del sopravvenuto venir meno in modo totale o parziale della prestazione tale da giustificare il licenziamento ex art. 18 della legge n. 300/1970 per giusta causa o per giustificato motivo ai sensi dell’art. 3 legge n. 604/1996 non è ravvisabile se il mancato o non completo adempimento del lavoratore trova giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure si sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro e se quest’ultimo prima dell’inadempimento secondo gli obblighi di correttezza informa il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare a tutela dell’integrità fisica e psichica del lavoratore, sempre che tale necessità sia evidente o, comunque, accertabile o accertata. (Cass. 7/11/2005 n. 21479, Pres. Mileo Rel. Capitanio, in Lav. e prev. oggi 2005, 1816 e in Lav. nella giur. 2006, 1193)
  • Sussiste il requisito del periculum in mora in caso di licenziamento laddove la perdita del posto di lavoro e la conseguente perdita della retribuzione implichino un pregiudizio economico grave, impedendo al lavoratore di condurre un’esistenza libera e dignitosa fino all’esito del processo, e una lesione di diritti personali costituzionalmente garantiti. (Trib. Milano 28/5/2005, ord., Est. Ravazzoni, in Orient. Giur. Lav. 2005, 1001)
  • Il licenziamento intimato, nell’ambito della tutela reale, per giusta causa o per giustificato motivo è efficace finchè non intervenga sentenza di annullamento ex art. 18, L. n. 300/1970; ne consegue che un secondo licenziamento, intimato prima dell’annullamento, è privo di oggetto, attesa l’insussistenza del rapporto di lavoro. (Cass. 18/5/2005 n. 10394, Pres. Ravagnani Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2006, 93)
  • Nel caso di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, ed in particolare dell'elemento fiduciario; la valutazione relativa alla sussistenza del conseguente impedimento alla prosecuzione del rapporto deve essere operata con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all'intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto, fermo restando che, nell'ipotesi di dipendenti di istituti di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario -rapporto che è più intenso nel settore bancario- deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro. Il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sorretto da giusta causa il licenziamento intimato da un istituto di credito ad un suo dipendente, responsabile dell'ufficio crediti speciali, per il mancato controllo delle pratiche delle filiali -controllo a lui demandato insieme al coordinamento dell'attività- ritenendo non rilevanti disfunzioni successive addebitabili ad altre strutture). (Cass. 27/1/2004 n. 1475, Pres. Sciarelli Rel. Curcuruto, in Dir. e prat. lav. 2004, 1506)
  • Qualora il regolamento di un piano di stock options preveda che, nell'ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, le opzioni concesse al dirigente interessato diventino inefficaci e si estinguano alla data di interruzione del rapporto di lavoro con la conseguenza che da tale data non possono più essere esercitate, deve ritenersi illegittima la pretesa del dirigente licenziato in modo giustificato di esercitare le predette opzioni. (Trib. Milano 1/4/2003, Est. Peragallo, in D&L 2003, 767)
  • La sussistenza del motivo sindacale del licenziamento va provata sia pure attraverso presunzioni e, in particolare, va provato che il licenziamento sia stato determinato in via esclusiva da motivi di ritorsione. (Trib. Grosseto 19/3/2003, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2003, 690)
  • Il giudizio di impugnazione del licenziamento assistito dalla tutela reale del rapporto ex art. 18 St. lav. ha per oggetto il rapporto di lavoro, poiché presupposto logico necessario della decisione è l'accertamento della permanenza del rapporto stesso al momento della decisione. E'pertanto onere del datore di lavoro eccepire l'irrogazione di un secondo licenziamento, quale fatto che osta alla reintegra ed all'(ulteriore) risarcimento del danno richiesto dal lavoratore. In sede di esecuzione della sentenza di reintegra e risarcimento del danno, il datore di lavoro può quindi opporre un nuovo licenziamento soltanto ove esso sia successivo alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, e tale non è un secondo atto di licenziamento, la cui efficacia sia condizionata sospensivamente all'accertamento giudiziale di illegittimità del primo, cioè alla formazione del titolo esecutivo (Trib. Firenze, 4/3/2003, Giud. Paparo, in Riv. it. dir. lav. 2003, 600, con nota di Dino Buoncristiani, Tecnica procedimentale di formazione del licenziamento e tecnica impugnatoria: reiterazione del licenziamento, sottoposizione a condizione sospensiva e oggetto del giudicato)
  • Il datore di lavoro non ha l'onere di consegna materiale dell'intimazione di recesso e dei relativi motivi nelle mani del lavoratore, essendo tenuto, a norma dell'art. 1335 c.c., a comunicare il licenziamento all'indirizzo del medesimo lavoratore. Per "indirizzo del destinatario", a norma del predetto art. 1335 c.c. si deve intendere il luogo più idoneo per la recezione, che, in base ad un criterio di collegamento ordinario (dimora o domicilio), o di normale frequenza (il luogo di esplicazione di un'attività lavorativa), o per preventiva comunicazione dell'interessato, risulti in concreto nella sfera di dominio o controllo del destinatario (nella specie, l'indirizzo fornito dal lavoratore-il domicilio della sorella-è quello che meglio assicura, ai fini della reperibilità, l'immediata conoscenza, da parte del lavoratore medesimo, delle comunicazioni del datore di lavoro) (Cass. 23/12/2002, n. 18272, Pres. Ciciretti, Est. De Matteis, in Riv. it. dir. lav. 2003, 616, con nota di Andrea Sitzia, Sulla comunicazione della lettera di licenziamento presso l'indirizzo fornito dal lavoratore al datore di lavoro per la reperibilità)
  • Nell'ambito della tutela obbligatoria, l'inefficacia del licenziamento determina l'applicabilità non dell'art. 8 L. 15/7/66 n. 604, ma delle sanzioni di diritto comune con conseguente ripristino del rapporto e risarcimento del danno da liquidarsi facendo riferimento alle retribuzioni mancate dal momento del recesso fino al ripristino del rapporto, ovvero alla valida risoluzione dello stesso. (Trib. Parma 16/12/2002, Est. Brusati, in D&L 2003, 414)
  • Il principio in forza del quale il rapporto di lavoro subordinato è un vincolo giuridico caratterizzato da tendenziale stabilità, investendo uno dei fondamenti dello stato e la dignità della persona, coinvolgendo un ampio quadro normativo ed essendo parte essenziale dell'assetto dell'ordinamento, rientra nello spazio dell'ordine pubblico: pertanto, è incompatibile con l'ordine pubblico italiano una legge che, in linea generale, non preveda alcuna tutela contro il licenziamento ingiustificato (Cass. 11/11/2002, n. 15822, Pres. Senese, Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2003, 663, con nota di Carlo Fossati, La stabilità del rapporto di lavoro, ma non la regola della reintegrazione automatica, costituisce espressione dell'ordine pubblico internazionale)
  • Le limitazioni dei poteri di rappresentanza degli amministratori delle società di capitali non hanno in alcun caso effetti nei confronti di terzi, ma rilevano esclusivamente, come fonte di responsabilità, nell'ambito dei rapporti interni; pertanto una eventuale carenza del potere di licenziamento in capo all'amministratore di società, essendo la materia dei licenziamenti attribuita all'assemblea dei soci, non inficia la validità del licenziamento da questi direttamente irrogato al lavoratore. (Cass. 18/6/2002, n. 8853, Pres. Mileo, Est. Di Lella, in Riv. it. dir. lav. 2003, 91, con nota di Sndro Mainardi, Vecchie e nuove questioni in materia di procedimento disciplinare, titolarità del potere e termini a difesa).
  • La nullità del licenziamento per motivo illecito si fonda su di una interpretazione estensiva della previsione di nullità per licenziamento discriminatorio, sancita dall'art. 4, l. 604/1966 e successivamente estesa dall'art. 15, l. 300/1970 e dall'art. 3, l. 108/1990, con la conseguente applicazione delle garanzie di tutela reale anche a licenziamenti che siano determinati in maniera esclusiva da motivo illecito, di ritorsione o rappresaglia, costituendo essi l'arbitraria reazione datoriale a fronte di un comportamento legittimo posto in essere dal lavoratore o di rivendicazioni legittime avanzate dallo stesso. Ciò in quanto il licenziamento viziato da motivo illecito appare suscettibile di essere ricondotto alla generale previsione codicistica dell'atto unilaterale nullo, a norma dell'art. 1345 c.c. (Tribunale di Agrigento 11/6/2002, Pres. D'Angelo, Est. Occhipinti, in Riv. it. dir. lav.2003, 108, con nota di Valentina Pasquarella, Autotutela del lavoratore e licenziamento ritorsivo).
  • La nullità di una clausola (del contratto collettivo) di risoluzione automatica del rapporto comporta che, non essendo ravvisabile un licenziamento nella comunicazione datoriale di cessazione del contratto, il rapporto continui sotto il profilo giuridico, essendo stato interrotto solo sul piano fattuale. In una situazione del genere, tuttavia, non si può ritenere che il rapporto continui immutato con le reciproche obbligazioni per un tempo indefinito, non potendo non acquistare rilevanza giuridica il comportamento tenuto dalle parti successivamente a quella vicenda che le stesse abbiano, comunque, ritenuta risolutiva del rapporto. (Trib. Milano 4/6/2002, est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 384)
  • Nel caso in cui il lavoratore non provi il licenziamento verbale dedotto in giudizio e, contestualmente, il datore di lavoro non provi le asserite dimissioni del primo, il rapporto tra le parti, in difetto di prova di di un valido atto risolutivo, deve essere considerato ancora esistente con conseguente diritto del lavoratore alla riammissione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni dovute. (Trib. Firenze 8/2/2002, Est. Nuvoli, in D&L 2002, 980)
  • In tema di licenziamento per giusta causa, i dati forniti da un sistema computerizzato di rilevazione e documentazione possono costituire, ai sensi dell'art. 2712 c.c., e dell'art. 5, comma 2, D.P.R. 10/11/97, n. 513, prova del fatto contestato, ove sia accertata la funzionalità del sistema informatico e le risultanze di esso possano assurgere a prova presuntiva congiuntamente a circostanze esterne ad esso, altrimenti provate (Cass. 6/9/01, n. 11445, pres. Trezza, est. De Matteis, in Lavoro e prev. Ogg 2001, pag. 1629)
  • L'estinzione del rapporto di lavoro determinata da una clausola nulla di risoluzione automatica prevista dal contratto collettivo, con corrispondente lettera di avviso dell'impresa in prossimità della scadenza, non integra l'ipotesi di un licenziamento illegittimo; quindi avverso detta comunicazione non è prescritta alcuna impugnazione, derivandone inoltre l'inapplicabilità dell'art. 18 Stat. lav. (Cass. 19/10/00, n. 13851, pres. Mercurio, est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 551, con nota di Gianino, La nuova via in tema di clausola risolutiva automatica nulla)
  • Nel nostro ordinamento giuridico è principio fondamentale e costituzionalmente riconosciuto la libertà d'impresa. Questa deve essere intesa non solo nel senso che qualsiasi cittadino è libero di intraprendere le iniziative economiche che ritiene più opportune, ma anche nel senso che ogni cittadino ha diritto di smettere o di ridurre le attività imprenditoriali da lui iniziate. I motivi della cessazione o della riduzione dipendono in genere dal cattivo andamento economico dell'impresa. Tuttavia, la riduzione o la cessazione dell'attività produttiva può avvenire per i più diversi motivi, come la scarsa fiducia dell'imprenditore nello sviluppo del settore, il cattivo stato delle proprie condizioni di salute o, addirittura, semplicemente il desiderio di godersi un meritato riposo. Il potere di cessazione o di riduzione dell'attività imprenditoriale rientra in sostanza nella libera scelta dell'imprenditore e il giudice non può sindacare i motivi della decisione (Cass. 18/8/00 n. 10966, pres. Giannantonio, in Orient. giur. lav.2000, pag. 739)