Normativa contrattuale

  • Allorchè il contratto collettivo stabilisca un termine massimo – decorrente dalla scadenza del termine per la presentazione delle giustificazioni – entro il quale il datore di lavoro è tenuto, a pena di decadenza, ad applicare la sanzione (nella specie trattasi di licenziamento), al fine di valutare la tempestività della comunicazione del licenziamento, ove venga utilizzato il servizio postale, deve aversi riguardo alla data di consegna dell’atto, non potendosi far carico al mittente di ritardi a lui non imputabili. (Corte d’appello Milano 28/12/2004, Pres. e Rel. Castellini, in Lav. nella giur. 2005, 591)
  • All'autonomia individuale ed a quella collettiva non è consentito di regolare la disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro prevedendo cause estintive del rapporto a tempo indeterminato ulteriori rispetto a quelle contemplate dal codice civile e dalle leggi speciali e, conseguentemente è nulla, ex art. 1428 c.c., la clausola, contenuta nel contratto individuale o nel contratto collettivo di diritto comune, che stabilisca la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata anzianità contributiva. (Cass. 15/1/2003, n. 535, Pres. Ianniruberto, Rel. Amoroso, in Lav. nella giur. 2003, 476)
  • Il contratto collettivo contenente una clausola generale che consente il licenziamento in tutti i casi di improseguibilità del rapporto ed una clausola specifica che, in caso di condanna a pena detentiva, consente il licenziamento solo quando non sia stata concessa la sospensione condizionale, limita il campo del licenziamento ai soli reati seguiti da una pena non condizionalmente sospesa. Pertanto nel caso di commissione di reati con condanna a pena condizionalmente sospesa il licenziamento è illegittimo. Nel caso di condanna a pena detentiva non sospesa il licenziamento è legittimo, ma il giudice deve verificare l'idoneità del fatto a giustificare il licenziamento. (Trib. Sanremo 9/1/2003, Est. Cento, in Lav. nella giur. 2004, 71, con commento di Domenico Pizzonia)
  • Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487/93, convertito in l. n. 71/94) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell'Ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale - che non è autorizzato a derogare alla legge non essendo identificabile alcuna cosiddetta delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31/1/95) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto di lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall'art. 18, comma 5, l. 20/5/70, n. 300. (Cass. 27/1/01, n. 1165, pres. Mercurio, est. Stile, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 383)
  • Né all'autonomia individuale né a quella collettiva è consentito, in ordine alla risoluzione del rapporto, sottrarsi alla disciplina limitativa dei licenziamenti (individuali o collettivi) o anche all'obbligo del preavviso, cosicché sono da ritenere nulle le clausole contrattuali che prevedano una risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento di una determinata età (come invece possibile nell'ambito del pubblico impiego). Ciò vale anche per il caso in cui la clausola de qua conferisca una stabilità d'impiego superiore a quella di fonte legale e pertanto si configuri, sotto questo profilo, di miglior favore, essendo sempre necessaria per la risoluzione del rapporto l'intimazione del recesso ed il preavviso ai sensi dell'art. 2118 e 2119 c.c.. Nel caso che, in applicazione della clausola illegittima concernente il limite di età, la prestazione lavorativa venga meno per comunicazione aziendale, il rapporto di lavoro continua giuridicamente per effetto della nullità della clausola ed il dipendente ha diritto di riprendere il suo posto di lavoro e di ottenere il risarcimento del danno, senza che peraltro ricorrano i presupposti di applicabilità, nel caso di specie, degli specifici rimedi reintegratori di cui all'art. 18, Statuto dei lavoratori (Cass. 25/1/01, n. 1011, pres. Mercurio, est. Spanò, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 377)
  • E' valida la clausola del contratto collettivo di lavoro (nel caso stipulato con l'Ente Poste Italiane ) che prevede la risoluzione automatica del rapporto di lavoro, quindi tecnicamente senza recesso e senza obbligo di preavviso, allorquando il dipendente abbia maturato la massima anzianità contributiva ai fini pensionistici (Trib. Palermo 8/6/00, est. Cavallaro, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 129)
  • Il rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Ente Poste Italiane, come tutti i rapporti di natura privatistica, è regolato dall'ordinaria disciplina civilistica anche con riguardo alle ipotesi di risoluzione; deve, pertanto, considerarsi nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c., per contrasto con norme imperative (codice civile, l. n. 604/66 e l. n. 300/70), l'accordo integrativo del CCNL per i suddetti dipendenti del 26/11/94, nella parte in cui prevede la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva, dovendo escludersi che la contrattazione collettiva possa, in assenza di una norma che ciò espressamente consenta, prevedere cause estintive del rapporto a tempo indeterminato diverse rispetto a quelle già individuate e disciplinate dall'ordinamento (licenziamento, dimissioni, mutuo consenso ovvero verificarsi delle ipotesi di cui all'art. 18, 5° comma, l. n. 300/70). Ne consegue che l'eventuale comunicazione da parte del datore di lavoro di cessazione del rapporto al verificarsi del suddetto evento non costituisce licenziamento, ma risoluzione del rapporto per un fatto oggettivo, sicché alla fattispecie non è applicabile l'art. 18 l. n. 300/70 nella parte relativa alla reintegra nel posto di lavoro, dovendo seguire alla nullità della suddetta clausola esclusivamente la declaratoria di prosecuzione del rapporto (Cass. 13/5/00, n. 6175, pres. Trezza, in Lavoro giur. 2001, pag. 55, con nota di Pellacani, Risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva: il caso dell'Ente Poste Italiane s.p.a.)
  • È nulla, per violazione di norme imperative, la clausola contenuta nell'accordo integrativo allegato al CCNL Ente Poste del 26/11/94, la quale stabilisce che a decorrere dal 31/1/95 la risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dei dipendenti dell'Ente Poste Italiane s.p.a. (EPI), oltre che nelle ipotesi previste dal contratto nazionale, si verifichi altresì al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo a quello del compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, automaticamente e senza obbligo per l'Ente di dare preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva. Il recesso intimato al lavoratore in forza della clausola predetta deve pertanto considerarsi nullo e al lavoratore deve essere riconosciuto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 Stat.Lav. (Trib. Udine 13/4/00, est. Carchio, in Lavoro giur. 2001, pag. 58, con nota di Pellacani, Risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva: il caso dell'Ente Poste Italiane s.p.a.)
  • L’Accordo integrativo al Ccnl 26/11/94 per i dipendenti dell’Ente Poste deve essere dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede un’ipotesi di risoluzione automatica del rapporto di lavoro (il raggiungimento della massima anzianità contributiva) diversa e ulteriore rispetto a quelle legali (nella fattispecie, è stata dichiarata l’illegittimità del recesso intimato in forza della norma contrattuale citata) (Pret. Milano 3/2/98 est. Porcelli, in D&L 1998, 762, n. SUMMA, In tema di rapporti di gerarchia tra legge e contrattazione collettiva. In senso conforme, v. Trib. Milano 3/3/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 673; Pret. Milano 2/3/99, est. Di Ruocco, in D&L 1999, 410)
  • L'accordo integrativo al CCNL 26/11/94 per i dipendenti dell'Ente Poste deve essere dichiarato nullo nella parte in cui prevede un'ipotesi di risoluzione automatica del rapporto diversa e ulteriore rispetto a quelle legali, con conseguente illegittimità del recesso intimato in forza di tale norma (Trib. Roma 3/4/96, pres. ed est. Zecca, in D&L 1997, 149. In senso conforme, v. Pret. Milano 10/4/96, est. Atanasio, in D&L 1997, 149; Trib. Milano 15/3/97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 643; Pret. Milano 25/2/97, est. Ianniello, in D&L 1997, 643)
  • E' illegittimo il recesso intimato sulla base della norma del contratto collettivo che abbia introdotto un'ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro nuova e ulteriore rispetto a quelle legali, giacché le parti collettive non possono disporre dei diritti di soggetti terzi (i lavoratori), in assenza di una specifica previsione di legge (Pret. Milano 25/10/95, est. Martello, in D&L 1996, 755; in senso conf., v. Trib. Milano 9/11/96, pres. ed est. Mannaccio, in D&L 1997, 397)
  • La clausola di durata minima triennale garantita, inserita in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con previsione, per l'ipotesi di recesso datoriale anticipato senza giusta causa o giustificato motivo, della corresponsione in favore del lavoratore di importo pari alla differenza tra retribuzioni dell'intero triennio garantito, e retribuzioni già percepite sino alla data del recesso, non integra ipotesi di clausola penale ex art. 1382 c.c., né ipotesi di recesso anticipato da contratto a termine, bensì ipotesi di clausola di durata minima, di natura obbligatoria, la cui violazione, sia in virtù delle specifiche previsioni contrattuali delle parti, sia in applicazione delle regole generali in materia di inadempimento, obbliga il datore recedente al risarcimento del danno, corrispondente alle retribuzioni relative all'intero periodo non lavorato, sino al compimento del triennio di durata minima garantita (Pret. Milano 6/12/94, est. de Angelis, in D&L 1995, 399)