In genere

  • In tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma il solo valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale. (Cass. 14/10/2016 n. 20807, Pres. Nobile Rel. Spena, in Lav. nella giur. 2017, 204)
  • Il danno biologico, in base all’art. 13, d.lgs. n. 38/2000, è la lesione dell’integrità psico-fisica della persona suscettibile di valutazione medico legale. Conseguentemente, il giudice di merito, per tale valutazione, deve disporre consulenza tecnica d’ufficio, non essendo sufficiente il mero richiamo all’equità. (Cass. 8/3/2011 n. 5437, Pres. Roselli Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2011, 520)
  • Lo sforzo fisico del lavoratore può determinare una patologia riconducibile all’infarto occorso allo stesso qualora si verifichi un’azione rapida e intensa tale da determinare una lesione del lavoratore medesimo. A tal fine è necessario per il risarcimento del danno la dimostrazione del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e l’evento lesivo. (Nella specie la Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno della moglie di un fattorino deceduto per infarto sul rilievo che il semplice stress e affaticamento quotidiano del lavoro svolto dal marito non può essere l’unico elemento per dimostrarne la nocività). (Cass. 28/7/2010 n. 17649, Pres. Sciarelli Rel. Nobile, in Lav. Nella giur. 2010, 1049)
  • L'indennizzo del danno biologico ai sensi dell'art. 13, d.lgs. n. 38/2000, non preclude il diritto del lavoratore danneggiato a conseguire il risarcimento del danno biologico differenziale c.d. qualitativo. (Trib. Tivoli 18/11/2009, Est. Mari, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con commento di Antonio Federici, "Il danno differenziale prima e dopo il D.Lgs. n. 38/2000", 351) 
  • Costituiscono fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2087 c.c. la condizione di intenso e protratto disagio fisico e psichico che la condotta datoriale ha procurato alla lavoratrice madre e che ha dato luogo non solo a un pregiudizio interiore di tipo emotivo, ma anche ad alterazioni della vita di relazione derivanti dall'aver indotto scelte personali e familiari diverse, rispetto a quelle che sarebbero state espressive della personalità della lavoratrice qualora avesse potuto godere liberamente e senza ritorsioni dei suoi diritti quale madre. Il risarcimento può essere liquidato in via equitativa. (Trib. Pisa 2/4/2009, Est. Santoni, in D&L 2009, con nota di Chiara Zambrelli, "In tema di licenziamento di lavoratrice madre", 801) 
  • Costituisce violazione dell'art. 2087 c.c. l'adibizione continuativa del dipendente in ambiente sotterraneo insalubre e con richiesta di interventi continuativi 24 su 24, così esponendo il ricorrente a uno stress nel tempo somatizzato sub specie di patologia psichica che ha dato luogo a danno biologico permanente, che deve quindi essere risarcito dal datore di lavoro. (Trib. Bari 11/6/2009, Est. Napoliello, in D&L 2009, 783)
  • Nel caso in cui il datore di lavoro non consenta al lavoratore di avvalersi delle risorse umane di supporto necessarie, nonostante le ripetute richieste di supporto da parte del lavoratore, e imponga (o consenta) allo stesso di effettuare un numero di ore di lavoro straordinario superiore a quello massimo previsto dal Ccnl e, in conseguenza di queste condizioni di lavoro stressante, il lavoratore si ammali, il datore di lavoro è responsabile ex art. 2087 c.c. ed è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale, con riferimento al danno esistenziale e morale. (Trib. Grosseto 23/7/2008, dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2009, 98) 
  • Il diritto al risarcimento non viene meno per effetto dell'erogazione da parte dell'Inail della prestazione di cui all'art. 13, D.Lgs. n. 38/2000. Il diritto leso, ossia l'integrità psicofisica, è bene fondamentale, costituzionalmente tutelato, la cui lesione deve essere integralmente risarcita; la norma posta dall'art. 13 D.Lgs. citato, dichiaratamente provvisoria e introdotta in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, assume finalità indennitaria a scopi previdenziali e non pretende di esaurire l'entità delle conseguenze pregiudizievoli del sinistro verificatosi in occasione di lavoro, come provano la mancata distinzione a fini indennitari, del danno di inabilità temporanea da quello per inv alidità permanente e l'esclusione dell'indennizzo per il danno biologico permanente per menomazioni inferiori al 60%. (Trib. Treviso 7/12/2007, D.ssa Bigi, in Lav. nella giur. 595)
  • L'illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona può dar luogo a due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica; pertanto il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre a incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche pregiudicato la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito. Cass. 10/1/2007 n. 238, Pres. Senese Est. De Matteis, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Dario Simeoli, "Presunzione di colpa e danno morale; danno biologico e invalidità lavorativa specifica", 670 e in D&L 2007, con nota di Francesca Malzani, "Infortuni sul lavoro, responsabilità contrattuale e voci di danno risarcibili", 770)
  • In virtù di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., il danno biologico, individuato nella lesione dell'integrità psico-fisica della persona, va ricondotto al danno non patrimoniale, come pure il danno morale, tradizionalmente inteso come sofferenza psichica causata alla vittima, e la lesione di interessi costituzionalmente protetti. (Trib. 4/1/2006, Est. Dott.ssa Vitali, in Lav. nella giur. 2006, 1026)
  • Il cosiddetto mobbing consiste in una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Tale fenomeno si distingue dal c.d. straining che è costituito da una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre a essere stressante è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è rispetto alla persona che attua lo straining in persistente inferiorità. Pertanto mentre il mobbing si caratterizza per una serie di condotte ostili e frequenti nel tempo, per lo straining è sufficiente una singola azione con effetti duraturi nel tempo (come nel caso del demansionamento). Nella fattispecie, strutturata da solo demansionamento assoluto e protratto (c.d. forzata inattività) per oltre due anni, il comportamento illecito datoriale è qualificabile come straining, determinativo di danno biologico (stimato dal Ctu nel 7-8%), nonché di danno alla professionalità (equitativamente liquidabile con il parametro dell’80% della retribuzione netta e non del 100% in considerazione del fatto che la lavoratrice si è prepensionata e non ha dovuto ricercare nuova occupazione sul mercato del lavoro). Compete alla vittima altresì il danno morale che, alla luce del recente orientamento giurisprudenziale (costituito da Cassazione nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 e da Corte Costituzionale n. 233/2003), nell’attuale sistema normativo caratterizzato da una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., prescinde dalla sussistenza di un fatto qualificabile astrattamente come reato, essendo unicamente ricollegato alla lesione di interessi costituzionalmente garantiti. (Trib. Bergamo 20/6/2005, Giud. Bertoncini, in Lav. e prev. oggi 2005, 1826)
  • Al soggetto affetto da patologia dipendente da attività lavorativa il danno biologico subito deve essere liquidato utilizzando le tabelle elaborate dal Tribunale di riferimento, sulla base della percentuale di invalidità e dell’età della persona, mentre il danno morale può essere equitativamente risarcito con una somma equivalente al quarto del danno biologico. (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 15/4/2004 n. 501, Giud. Grasso, in Giur. It. 2005, 1168)
  • Il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, realizza la necessità di ricondurre il danno biologico alla copertura assicurativa obbligatoria. Il c.d. danno differenziale è certamente danno patrimoniale, risarcibile nel caso di fatto costituente reato, mentre sicuramente tale non è il danno biologico, dunque sostenere l’analogia tra i due istituti presenta notevoli difficoltà dal punto di vista logico. Inoltre, l’art. 5, L. n. 57/2001 prevede la possibilità di adire il giudice per ottenere un risarcimento ulteriore, mentre sul punto nulla prevede l’art. 13, D. Lgs. N. 38/2000. (Trib. Torino 10/6/2003, Est. Lanza, in Lav. nella giur. 2004, 1209)
  • L'art. 2087 c.c., il cui disposto trova conferma nel principio costituzionale dell'art. 41, 2° comma Cost., consente di qualificare come illecito contrattuale ogni comportamento doloso o colposo che cagioni un pregiudizio alla personalità del lavoratore. (Nella fattispecie il fatto di dover subire da parte dei soci e responsabili del lavoro un linguaggio scurrile, reazioni inutilmente aggressive ed espressioni verbali maleducate o minacciose diventa sicuramente lesivo della personalità e della dignità del lavoratore nel contesto lavorativo in cui si trova giuridicamente in posizione di debolezza ed in cui la reazione è impedita dal pericolo di perdere il posto di lavoro). L'imputabilità di alcune condotte lesive della personalità morale e della dignità del lavoratore al socio amministratore della società cedente e la loro conoscenza da parte del legale rappresentante della società cessionaria, che non ha agito secondo gli obblighi di prevenzione e repressione di condotte lesive della personalità morale e della dignità del lavoratore imposti dall'art. 2087 c.c., comporta la condanna della società cessionaria al risarcimento del danno biologico derivante dalla violazione dell'art. 2087 c.c., anche in via solidale in virtù dell'art. 2112 c.c. La tolleranza da parte dell'amministratore della datrice di lavoro di comportamenti illeciti e la loro prevedibile evoluzione in comportamenti di molestia sessuale costituenti reato comportano ex art. 2049 c.c. una concorrente responsabilità aquiliana della società, che risponde pertanto anche del danno morale. (Trib. Pavia 14/12/2002, Est. Trogni, in D&L 2003, 349)
  • Il contenuto dell'obbligo previsto dall'art. 2087 c.c. non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione in materia di prevenzione degli infortuni, ma comporta, per il datore di lavoro, il divieto di porre in essere, nell'ambito aziendale, qualsivoglia comportamento lesivo del diritto all'integrità psico-fisica del lavoratore (Cass. 2 maggio 2000 n. 5491, pres. Grieco, est. Stile, in D&L 2000, 778, n. Tagliagambe)
  • Ove risulti - come nella fattispecie - che le manifestazioni esteriori del danno subito dal lavoratore alla propria integrità psicofisica, e cioè la perdita del patrimonio affettivo, e le varie somatizzazioni denunciate (nausea, vomito, irritabilità), non siano da porre in relazione diretta con i comportamenti datoriale, ma piuttosto con le autonome scelte di vita del lavoratore o delle persone a lui affettivamente legate, non può ritenersi alcuna responsabilità datoriale, per difetto del nesso di causalità fra evento dannoso e comportamento del datore di lavoro (Cass. 2 maggio 2000 n. 5491, pres. Grieco, est. Stile, in D&L 2000, 778, n. Tagliagambe)
  • Il danno biologico è il danno alla salute immanente alla lesione dell'integrità bio-psichica della persona e si distingue da ogni altro danno di natura patrimoniale e dal danno morale conseguente a reato, ed è comprensivo anche del danno alla vita di relazione (Cass. sez. lav. 5 novembre 1999 n. 12339, pres. Delli Priscoli, est. Mercurio, in D&L 2000, 205, n. Liguori, Danno biologico e concause)
  • E' opinione unanimamente condivisa che il danno biologico è rappresentato dalle lesioni all'integrità psicofisica, ossia alla salute della persona in sé e per sé considerata, in quanto ricadente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, sicché rilevano in termini di detto danno menomazioni, deturpazioni, impotenza sessuale, malattie nervose, insonnia, malattie mentali e ogni altro genere di lesioni dell'integrità corporale e mentale della persona. Risulta incontestato che il danno biologico vada risarcito quale danno rilevante in sé, distinto rispetto ai danni morali sia rispetto alle conseguenze negative di carattere patrimoniale che da esso possono scaturire (Cass. 23/2/99, n. 2037, pres. Grieco, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 468, con nota di Guerra, Riflessioni sul danno biologico. Spunti critici in tema di risarcibilità del danno biologico iure hereditatis (o successionis) e iure proprio)