Pubblico impiego

  • Il dirigente, rispetto ad una illegittima cessazione anticipata dell’incarico, è titolare di un diritto soggettivo che, se ritenuto sussistente, dà titolo alla reintegrazione (ove possibile) nella funzione dirigenziale ed al risarcimento del danno, mentre, a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico, può far valere un interesse legittimo di diritto privato, correlato all’obbligo per l’amministrazione di agire secondo i canoni della correttezza e buona fede, nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buona andamento di cui all’art. 97 Cost., la cui eventuale lesione non legittima la domanda di attribuzione dell’incarico ma solo quella di ristoro dei pregiudizi ingiusta- mente subiti. (Corte App. Roma 28/10/2020, Pres. e Rel. Garzia, in Lav. nella giur. 2021, 320)
  • Una normativa nazionale che esclude un cittadino dell’Unione europea da una selezione pubblica è incompatibile con il par. 2 dell’art. 45 TFUE, nella parte in cui impedisce in assoluto ai cittadini di altri Stati membri di assumere posti di livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consente una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative. (Cons. St., Ad. Plen., 18/4/2018 n. 9, Pres. Pajno Est. Contessa, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di V. Capuano, “Cittadinanza europea e lavoro pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa: il caso dei musei italiani”, 869)
  • Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria), nella parte in cui si applica al presidente del consiglio di amministrazione di Fincalabra s.p.a. I meccanismi di decadenza automatica dalla carica, dovuti a cause estranee alle vicende del rapporto instaurato con il titolare e non correlati a valutazioni concernenti i risultati conseguiti da quest’ultimo, sono incompatibili con l’art. 97 Cost. quando siano riferiti non al personale addetto a uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo ovvero a figure apicali, ma ai titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative di attuazione dell’indirizzo politico. (Corte Cost. 21/12/2016, n. 269, Pres. Grossi Rel. Zanon, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di G. E. Comes, “Incarichi dirigenziali non apicali: illegittimità dello spoils system”, 365)
  • La responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21, d.lgs. n. 165/2001 – concernente il mancato raggiungimento degli obiettivi –, non coincide con la responsabilità disciplinare, che ricorre nei casi in cui la condotta integri la violazione di singoli doveri. Pertanto, quando la causa del recesso sia rinvenibile nell’esito negativo della valutazione complessiva dell’operato gestionale del dirigente non si applicano le procedure previste dall’art. 55, d.lgs. n. 165/2001. (Corte app. Torino 13/10/2016, Pres. Girolami Est. Baisi, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. Russo, “Sulla distinzione tra responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare”, 291)
  • L’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001 riconosce al lavoratore a tempo determinato ogni trattamento proprio dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine: la fruizione del congedo straordinario per dottorato di ricerca è incompatibile col rapporto di lavoro a tempo determinato. (Trib. Genova 11/3/2014 n. 80, Giud. Barenghi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Busico, “Spettanza del congedo per dottorato al lavoratore pubblico a termine: una voce fuori dal coro”, 145)
  • Il rapporto di lavoro del dirigente pubblico illegittimamente licenziato è destinatario della tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, l. n. 300/1970, richiamato dall’art. 51, co. 2, d.lgs. n. 165/2001. Il dirigente ha diritto altresì alla reintegrazione nell’incarico dirigenziale per il tempo residuo di durata e detratto il periodo di illegittima revoca. (Cass. 18/12/2012 n. 23330, Pres. Lamorgese Rel. Venuti, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Annamaria Donini, “La tutela reintegratoria a favore del dirigente pubblico tra interpretazioni formalistiche e valorizzazione dell’interesse pubblico”, 424)
  • Il rapporto di lavoro del dirigente pubblico illegittimamente licenziato è destinatario della tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, l. n. 300/1970, richiamato dall’art. 51, co. 2, d.lgs. n. 165/2001. L’Amministrazione di appartenenza è tenuta a ripristinare il rapporto con effetto ex tunc e ad adempiere tutte le relative obbligazioni. (Cass. 13/6/2012 n. 9651, Pres. Roselli Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Annamaria Donini, “La tutela reintegratoria a favore del dirigente pubblico tra interpretazioni formalistiche e valorizzazione dell’interesse pubblico”, 424)
  • Con l’art. 17 bis d.lgs. n. 165/2001 (ndr) il legislatore ha rimesso esclusivamente alla contrattazione collettiva il compito di istituire l’area della vice-dirigenza, dettando i criteri ai quali le parti contraenti devono attenersi per individuare quali dipendenti possano essere inquadrati in detta area e l’assenza della disciplina negoziale impedisce il sorgere del diritto a favore di quelli che vantano i requisiti di legge, in quanto tali requisiti non costituiscono la sola condizione prevista dalla legge, essendo invece indispensabile l’intervento della disciplina negoziale. Non può quindi ravvisarsi alcun inadempimento direttamente imputabile all’Amministrazione che abbia omesso di inquadrare i dipendenti in possesso dei requisiti nell’area della vice-dirigenza, trattandosi di area che verrà a esistenza solo quando vi sarà specifica disciplina contrattuale. (Trib. Napoli 6/5/2011, Giud. Urzini, in Lav. nella giur. 2011, 854)
  • In tema di pubblico impiego privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell’art. 19, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2011, n. 165 obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e a esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l’Amministrazione non abbia fornito alcun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale suscettibile di produrre danno risarcibile. (Trib. dell’Aquila 9/3/2011, Giud. Tracanna, in Lav. nella giur. 2011, 638)
  • Le disposizioni introdotte dall’art. 40, d.lgs. n. 150/2009, che ha modificato il disposto di cui all’art. 19, d.lgs. n. 165/2001, hanno implicitamente abrogato i commi 1 e 2 dell’art. 110, d.lgs. n. 267/2000. Anche gli enti locali, pertanto, possono conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato a soggetti esterni all’amministrazione solo nei limiti, per le ragioni e con le modalità che oggi si rinvengono nei commi 6 e 6 bis, d.lgs. n. 165/2001. (Corte di Conti, sez. regionale di controllo per il Veneto, 27/10/2010 n. 231, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Francesco Rossi, 618)
  • In base ai principi generali di cui all'art. 1, comma 2, e al disposto di cui all'art. 5, 2° comma, del Dpcm 20/11/2000 (codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni) il dirigente deve comunicare formalmente all'amministrazione, prima di assumere le sue funzioni e durante tutto il corso del rapporto, le partecipazioni azionarie e tutti gli interessi finanziari che possano porlo in conflitto d'interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiarare se ha parenti entro il quarto grado e affini entro il secondo, o conviventi che esercitano attività politiche, professionali o economiche che pongano in contatti frequenti con l'ufficio che egli dovrà dirigere o che siano coinvolte nelle decisioni o nelle attività inerenti all'ufficio. Pertanto, è legittimo il licenziamento del dirigente pubblico che, attivando una procedura di evidenza pubblica, non comunichi situazioni di conflitto di interesse esistenti con l'impresa prescelta e, in violazione dell'art. 6 del citato Dpcm, non si astenga da partecipare all'adozione delle decisioni inerenti a tale procedura. (Cass. 3/3/2010 n. 5113, Pres. De Luca Est. Amoroso, in D&L 2010, con nota di Nico Cerana, "Dirigente pubblico e conflitto di interessi", 607)
  • E' costituzionalmente illegittimo l'art. 24, comma 2, della l.r. Piemonte n. 23 del 2008, che consente il conferimento degli incarichi di direttore generale a persone esterne all'amministrazione regionale entro il limite del 30 per cento dei rispettivi posti. Tale disposizione contrasta con l'art. 97, comma 3, Cost. in quanto ammette una deroga al principio del concorso pubblico senza circoscriverla a casi nei quali ricorrano specifiche esigenze di ordine pubblico. (Corte Cost. 15/1/2010 n. 9, pres. Amirante Red. Mazzella, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di E. Pasqualetto, "Il rapporto a termine con la pubblica amministrazione del dirigente esterno", 847)
  • Nel lavoro con la pubblica amministrazione, la qualifica dirigenziale implica non il diritto soggettivo allo svolgimento di mansioni e dunque di conferimento dell'incarico, bensì esclusivamente l'idoneità professionale del dipendente a svolgerle concretamente per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale. Gli eventuali atti dirigenziali hanno natura negoziale, ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 2, comma 1; 5, comma 2, e 63, comma 1. Ne discende la sottrazione al regime e alle regole proprie degli atti amministrativi e la rilevanza, sul piano sostanziale e su quello del procedimento da seguire, delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). (Cass. 26/11/2008 n. 28274, Pres. De Luca Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 1149)
  • La revoca ante tempus di un incarico dirigenziale è possibile solo nei casi previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. (Trib. Pavia 5/11/2008, Est. Ferrari, in D&L 2009, 857)
  • In caso di revoca illegittima di un incarico dirigenziale il dirigente ha diritto alla riassegnazione dell'incarico revocato per il tempo residuo. (Trib. Pavia 5/11/2008, Est. Ferrari, in D&L 2009, 857)
  • A differenza di quanto accade nel settore privato, nel quale il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dpendente, nel settore pubblico il potere dell'amministrazione di esonerare un dirigente dall'incarico e di risolvere il relativo rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell'interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi: in particolare, ai sensi dell'art. 7 Cost. contrasta con l'imparzialità amministrativa, un regime di automatica cessazione dell'incarico che non rispetti il giusto procedimento, mentre contrasta con il buon andamento, un sistema di automatica sostituzione dei dirigenti che prescinda dall'accertamento dei risultati conseguiti. Ne deriva, sul piano degli strumenti di tutela, che forme di riparazione economica, quali, a esempio, il risarcimento del danno o le indennità riconosciute dalla disciplina privatistica in favore del lavoratore ingiustificatamente licenziato, non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione di dirigenti amministrativi. (Corte Cost. 24/10/2008 n. 351, Pres. Flick Rel. Cassese, in Lav. nelle P.A. 2009, con nota di Mauro Montini, Le "cose buone dal sapore antico, l'art. 97 della Costituzione e la tutela del dirigente pubblico", 109)
  • In mancanza di una esplicita regolamentazione del caso di specie, di fronte al contenuto contrattuale di cui agli artt. 39 e 40 CCNL Dirigenti Enti locali, la tesi della cumulabilità di più compensi dovrebbe essere supportata da una esplicita affermazione del maggior contenuto professionale della prestazione offerta dal dirigente nel caso di copertura di più servizi. Allo stato della contrattazione collettiva, tuttavia, una tale impostazione è esclusa proprio dalla lettura dell'art. 24, che collega il trattamento economico del dirigente non alla "quantità" del lavoro svolto, ma "alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità", con espressione, che in mancanza di esplicita pattuizione collettiva può essere intesa in senso solamente qualitativo e non quantitativo. (Cass. 15/9/2008 n. 23696, Pres. De Luca Rel. Mammone, in Lav. nelle P.A. 2008, 885)
  • La disciplina del d.P.C.M. 8 marzo 2001 sulla riconoscibilità dei servizi al personale convenzionato che è inquadrato nella qualifica di dirigente del Servizio sanitario nazionale per effetto del d.lgs. n. 502 del 1992, ha carattere eccezionale e riguarda solo i soggetti tassativamente indicati dal decreto. L'applicazione di tale normativa non può, dunque, essere estesa ai dirigenti sanitari in  genere, già a rapporto di impiego (che vantino servizi convenzionali anteriormente all'assunzione ai fini dell'attuazione degli artt. 3 o 5 del CCNL 8 giugno 2000, secondo biennio economico, recando il predetto d.P.C.M. una normativa speciale non suscettibile di applicazione non solo analogica, ma neppure estensiva. (Cass. 29/7/2008 n. 20581, Pres. Mattone Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 650)
  • Ai fini del computo dell'esperienza professionale per la corresponsione dell'indennità di esclusività di cui agli artt. 5 e 12 del Ccnl dell'area dirigenza medica e veterinaria biennio economico 2000-200, così come risulta dall'accordo di interpretazione autentica 12.07.2002, è valida esclusivamente l'esperienza maturata in qualità di dirigente del SSN, senza soluzione di continuità, presso aziende o enti del comparto sanità di cui al CCNQ del 2 giugno 1998, compresa quella derivante dai servizi riconosciuti agli effetti economici della carriera in virtù del d.P.R. n. 384 del 1990, art. 118. Si deve pertanto escludere che il lavoro autonomo a convenzioni sia suscettibile di essere compreso nel "comparto", nozione circoscritta ai contratti collettivi stipulati per la disciplina dei rapporti di lavoro subordinato (d.lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 2). (Cass. 29/7/2008 n. 20581, Pres. Mattone Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 650)
  • Anche per i "dirigenti esterni", titolari di incarichi non apicali, il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve essere - così come la stessa Corte Costituzionale ha già affermato nella sentenza n. 103 del 2007 - "connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione". Nel caso in esame, la norma denunciata, prevede in via transitoria che i rapporti dirigenziali di cui all'art. 19 comma 5-bis del d.lgs. 165/2001 sorti in data anteriore al 17 maggio 2006 (data di formazione del Governo) cessino alla scadenza del sessantesimo giorno dall'entrata in vigore del decreto legge n. 262 del 2006, in caso di mancata riconferma. Tale disposizione viola, in carenza di idonee garanzie procedimentali, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità. Infatti, la cessazione anticipata ex lege del rapporto di lavoro dirigenziale in corso, senza alcun accertamento di responsabilità dirigenziale, impedisce che l'attivi8tà del dirigente possa espletarsi in conformità al nuovo modello di azione della pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi riforma della pubblica amministrazione, che misura l'osservanza del canone dell'efficacia e dell'efficienza "alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, nel rispetto degli indirizzi posti dal vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato, modulato in ragione della peculiarità della singola posizione dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa è inserita". La Corte conferma la considerazioni espresse nella sentenza n. 103/2007 (giudizio sull'art. 3 comma 7 della L. 145/2002) in quanto non ritiene che le differenze tra le due tipologie di destinatari della decadenza automatica una tantum dall'incarico siano tali da giustificare un esito diverso in merito al giudizio di legittimità costituzionale. Pertanto, la natura esterna dell'incarico non costituisce di per sé un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. (Corte Cost. 20/5/2008 n. 161, Pres. Bile Red. Quaranta, in Lav. nelle P.A., con commento di Monica Ferretti, "I limiti dello spoils system nella giurisprudenza della Corte Costituzionale", 361, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Raffaele Galardi, "Ancora una pronuncia di incostituzionalità sullo spoils system all'italiana", 98)  
  • Il d.l. n. 341 del 2000, art. 24, comma 1 bis, convertito con modificazioni in l. n. 4 del 2001, ha previsto che"l'amministrazione giudiziaria provvede alla copertura della metà dei posti vacanti nella carriera dirigenzial, attingendo alle graduatorie di merito dei concorsi precedentemente banditi dalla medesima amministrazione, fermo restando il termine di validità previsto dalla l. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 13, e della l. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 20, comma 3". Tale disposizione costituisce deroga al disposto del d.lgs. n. 29 del 1993, art. 28, comma 6, e successive modificazioni, ove (sempre in epoca anteriore alla l. n. 145 del 2002) era previsto che l'accesso alla qualifica dirigenziale avvenisse a seguito di concorsi indetti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, con la conseguenza che spetta al Ministero della Giustizia, ricorrendone i presupposti, la costituzione del rapporto dirigenziale. (Cass. 8/5/2008 n. 11370, Pres. Ciciretti Rel. Bandini, in Lav. nelle P.A. 2008, 644)
  • Le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 19, c. 1, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto degli indicati criteri di massima e, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, "procedimentalizzano" l'esercizio del potere di conferimento degli incarichi. Conseguentemente nell'ipotesi di riorganizzazione aziendale che implichi soppressione di posizioni dirigenziali e revoca degli incarichi, l'amministrazione, che agisce come privato datore di lavoro, deve fornire la prova circa i criteri seguiti e le motivazioni delle scelte, e ciò non tanto con riferimento alla revoca dell'incarico, quanto al momento successivo del conferimento dei nuovi incarichi. Diversamente deve ravvisarsi un inadempimento contrattuale, produttivo di danno risarcibile. (Cass. 14/4/2008 n. 9814, Pres. Ianniruberto Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 397, e in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Daniela Bolognino, "Garanzia e tutela del dirigente pubblico attraverso il rispetto dei criteri di conferimento dell'incarico", 845, e in Lav. nella giur. 2008, 845)
  • In sede di legittimità, il lavoratore che lamenti la revoca di un incarico dirigenziale deve specificare i fatti allegati e le prove offerte a sostegno delle proprie pretese risarcitorie, che il giudice del merito non avrebbe considerato, o considerato in modo insufficiente o illogico. Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale non può prescindere da una specifica allegazione (fin dall'atto introduttivo del giudizio) sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio accusato: mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psicofisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo in proposito precipuo rilievo la prova per presunzioni. (Cass. 14/4/2008 n. 9814, Pres. Ianniruberto Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 397)   
  • Ai sensi dell'art. 52, d.lgs. 165/2001, il datore di lavoro pubblico, nell'adibire il dipendente a mansioni diverse da quelle originari, non arreca allo stesso un danno in termini di demansionamento, nel caso in cui le nuove mansioni siano tra quelle annoverate, dalla contrattazione collettiva, nella medesima categoria, secondo una valutazione non sottoponibile al vaglio giudiziale; al fine del giudizio di equivalenza, pertanto, la valutazione da parte del giudice è limitata a verificare lo svolgimento, da parte del dipendente, di mansioni considerate equivalenti da parte del contratto collettivo, mentre nessun rilievo ha una verifica di equivalenza sulle mansioni svolte in concreto. (Cass. 4/4/2008, Sez. Un., Pres. e Rel. Carbone, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Maria Giovanna Murrone, "Mansioni equivalenti nel pubblico impiego, contratto collettivo e valutazione giudiziale", 351)
  • Dal quadro normativo relativo al conseguimento della qualifica dirigenziale e alla regolazione del rapporto di lavoro dirigenziale attraverso specifica contrattazion, si ricava il principio secondo cui nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni la qualifica dirigenziale presuppone atti formali di inquadramento e non può desumersi dalla natura dei compiti assegnati. Conseguentemente in assenza di qualifica dirigenziale derivante anzitutto dall'assenza di atti di inquadramento nel relativo ruolo, e secondariamente anche dal fatto che il rapporto sia regolato da un CCNL di comparto, è inconferente al fine del riconoscimento della qualifica dirigenziale la circostanza che un dipendente abbia la responsabilità dei servizi generali e amministrativi di un grande istituto scolastico (nel caso di specie è stata esclusa la qualifica dirigenziale al Direttore dei servizi generali e amministrativi degli istituti scolastici autonomi). (Cass. 14/3/2008, n. 6986, Pres. Mattone Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 402)
  • Anche laddove la contrattazione collettiva non adempia alle prescrizioni dell'art. 17 bis, d.lgs. 165/2001, che impone alla contrattazione stessa di disciplinare l'istituzione di un'apposita separata area della vice dirigenza entro il decorrere del periodo contrattuale corrispondente al quadriennio normativo 2006-2009, come stabilito dall'art. 7, comma 3, della l. n. 145/2002, i lavoratori in possesso dei necessari requisiti maturano il diritto all'acquisizione del corrispondente inquadramento professionale, che, di conseguenza, può essere riconosciuto loro tramite sentenza dall'autorità giurisdizionale ordinaria. (Trib. Roma 7/3/2008, Est. Grisanti, in Lav. nelle P.A., con commento di Fabio Pantano, "L'applicazione per via giudiziale dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 165/2001: il riconoscimento della vicedirigenza", 341)
  • Il mero inserimento nella graduatoria di un concorso pubblico per qualifica dirigenziale non dà diritto alla relativa retribuzione. Tuttavia il colpevole ritardo nel conferimento dell'incarico e nella stipulazione del contratto potrebbe essere fonte di responsabilità per l'amministrazione nei confronti del dirigente. (Cass. 22/6/2007 n. 14624, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Ogriseg, "Dirigenti pubblici portatori di handicap: questioni in tema di trattamento economico e di scelta prioritaria della sede di lavoro", 91)
  • Alla declaratoria della illegittimità costituzionale dell'art. 71, commi 1, 3 e 4 lettera a) della legge regionale del Lazio 17 febbraio 2005 n. 9 e della legge regionale del Lazio 11 novembre 2004 n. 1, consegue il diritto alla reintegra in servizio da parte del direttore generale decaduto che aveva tempestivamente impugnato il provvedimento di cessazione automatica dall'incarico, stante l'efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale che incontrano il solo limite delle situazioni giuridiche consolidate (a esempio quelle derivanti da giudicato, da atto amministrativo non impugnabile, prescrizione o decadenza). (Cons. St. 29/5/2007 n. 2700, ord., in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mauro Montini, "A volte ritornano", 711)
  • A seguito del ripristino del rapporto di lavoro, illegittimamente interrotto prima della sua scadenza fissata in almeno tre anni dall'art. 3-bis del d.lgs. n. 502/1992 e dall'art. 8 della l. r. del Lazio n. 18/1994, il direttore generale ha diritto a riprendere l'attività lavorativa fino al compimento del triennio da considerarsi di effettivo svolgimento e non già di mero decorso temporale. (Cons. St. 29/5/2007 n. 2700, ord., in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mauro Montini, "A volte ritornano", 711)
  • La reintegra in servizio del direttore generale illegittimamente decaduto non incontra un ostacolo nell'insediamento in carica dell'eventuale successore e nella stipula del relativo contratto di lavoro da ritenersi caducati per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 104 del 2007. (Cons. St. 29/5/2007 n. 2700, ord., in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Mauro Montini, "A volte ritornano", 711)
  • Il mero inserimento nella graduatoria di un concorso pubblico per qualifica dirigenziale non da diritto alla relativa retribuzione. Tuttavia il colpevole ritardo nel conferimento dell'incarico e nella stipulazione del contratto potrebbe essere fonte di responsabilità per l'amministrazione nei confronti del dirigente. (Cass. 22/6/2007 n. 14624, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Claudia Ogriseg, "Dirigenti pubblici portatori di handicap: questioni in tema di trattamento economico e di scelta prioritaria della sede di lavoro", 91)
  • Il dipendente pubblico che, vinta una selezione concorsuale per qualifica dirigenziale, venga assegnato a un determinato ufficio in forza di un incarico e successivamente venga dichiarato invalido, non vanta alcun diritto di scelta prioritaria della sede di lavoro ex art. 21, l. n. 104/1992. (Cass. 22/6/2007 n. 14624, Pres. De Luca Est. Curcuruto, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Claudia Ogriseg, "Dirigenti pubblici portatori di handicap: questioni in tema di trattamento economico e di scelta prioritaria della sede di lavoro", 91)
  • E' illegittimo il combinato disposto degli artt. 71, commi 1, 3 e 4, lettera a) della legge della regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 e dell'art. 55, comma 4, della legge Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1, nella parte in cui prevede che i direttori generali delle Asl decadano dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina; che tale decadenza opera a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che la durata dei contratti dei direttori generali delle Asl viene adeguata di diritto al termine di decadenza dell'incarico. (Corte Cost. 23/3/2007 n. 104, Pres. Bile Rel. Cassese, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Gabriella Nicosia, "Le opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il "caso Speciale" è davvero speciale?", 496)
  • E' illegittimo l'art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, nella parte in cui prevede che gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 già conferiti con contratto possano essere revocati entro novanta giorni dall'insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto. (Corte Cost. 23/3/2007 n. 104, Pres. Bile Rel. Cassese, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Gabriella Nicosia, "Le opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il "caso Speciale" è davvero speciale?", 496)
  • E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, e/o dell'art. 55, comma 4, della legge della regione Lazio n. 1 del 2001 e dell'art. 71, commi 1, 3 e 4 della legge della regione Lazio n. 9 del 2005, sollevata con riferimento agli artt. 97, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lett. l). (Corte Cost. 23/3/2007 n. 104, Pres. Bile Rel. Cassese, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Gabriella Nicosia, "Le opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il "caso Speciale" è davvero speciale?", 496)
  • Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, commi 1 e 2, della legge della regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, sollevata con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97 Cost. (Corte Cost. 23/3/2007 n. 104, Pres. Bile Rel. Cassese, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Gabriella Nicosia, "Le opinioni della Corte Costituzionale su spoils system, fiducia e imparzialità negli incarichi di funzione dirigenziale: il "caso Speciale" è davvero speciale?", 496)
  • Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3,comma 7, della L. n. 145 del 15 luglio 2002 (Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato), per contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzionale, nella parte in cui dispone che "i predetti incarichi cessano il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le attività di ordinaria amministrazione". (Cost. 23/3/2007 n. 103, in Lav. nella giur. con commento di Pietro Sciortino, 769, e in Lav. nelle P.A. 2007, 495)
  • Costituisce condotta antisindacale il mutamento della sede di lavoro del dirigente pubblico, che ricopra anche la carica di dirigente sindacale, disposto in assenza del nullaosta sindacale previsto dal Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 7 agosto 1998, non potendosi configurare detto trasferimento in termini di assegnazione di nuovo incarico dirigenziale conseguente al rinnovo del mandato del Sindaco. (Trib. Roma 22/2/2007, decr., Est. Di Paola, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Luca Ratti, "Il trasferimento del dirigente pubblico fra prerogative sindacali e conferimento dell'incarico", 697)
  • La procedura per il conferimento degli incarichi dirigenziali di struttura complessa indicata dalle disposizioni legislative, contrattuali, regolamentari, nonchè individuate dalla stessa Amministrazione con l'avviso interno, costituisce il limite al potere discrezionale dell'amministrazione esercitato mediante l'atto deliberativo finale: affidamento dell'incarico. Quindi l'Amministrazione, sia nell'atto di conferimento dell'incarico dirigenziale sia in quello di revoca, pur espressione di poteri privatistici, non è assolutamente libera nella scelta, dovendo osservare le disposizioni legislative, contrattuali applicabili ratione temporis; infine, in ogni caso l'Amministrazione è tenuta a osservare i principi di correttezza e buona fede che presiedono qualsiasi attività negoziale di diritto privato. Pur assegnando all'area del diritto privato i poteri di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali gli stessi non possono essere esercitati in contrasto con i principi costituzionali, deducibili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost. (Trib. Salerno 15/2/2007, Pres. Cavaliero Rel. Viva, in Lav. nella giur. 2007, 1041)
  • La qualifica di dirigente dello Stato si acquisisce mediante la stipulazione del contratto corrispondente con l'amministrazione. Per l'acquisizione di detta qualifica non è sufficiente il superamento del concorso. (Cass. 12/2/2007 n. 3003, Pres. ed Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Raffaele Galardi, "A che punto siamo con la privatizzazione della dirigenza pubblica?", 634)
  • Nel rapporto dirigenziale pubblico esiste una scissione, ignota al diritto privato, tra l'acquisto della qualifica di dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e il successivo conferimento, a tempo determinato, delle funzioni dirigenziali, sicchè la disciplina propria del settore privato - e in particolare l'esclusione del dirigente, ex art. 10 L. 15/7/66 n. 604, dal regime di stabilità reale - non può essere automaticamente trasposta nel settore pubblico; conseguentemente deve affermarsi che l'illegittimità del recesso di una pubblica amministrazione dal rapporto di lavoro con un dirigente comporta l'applicazione al rapporto fondamentale sottostante della disciplina di cui all'art. 18 SL, a norma dell'art. 51, 2° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165, mentre all'incarico dirigenziale si applica la disciplina del rapporto a termine sua propria. (Cass. 1/2/2007 n. 2233, Pres. senese Est. De Matteis, in D&L 2007, con nota di Alberto Guariso, "Il dirigente pubblico torna al regime di stabilità reale", 257, e in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Andrea Pardini, "Reintegrazione del dirigente pubblico illegittimamente licenziato", 924)
  • Al dirigente pubblico è inapplicabile la garanzia dell'art. 2103 c.c. in relazione "al conferimento degli incarichi e al passaggio a incarichi diversi", sicchè il passaggio da un incarico dirigenziale a un altro pure esso dirigenziale, di per sè, non è deducibile secondo la legge come lesione del diritto alla professionalità del lavoratore. (Trib. Ravenna 22/6/2006, Est. Dott. Riverso, in Lav. nella giur. 2006, 1032)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, c. 1, lettera b) e 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98 della Costituzione. (Trib. Roma 11/3/2006, ord., Est. Rosa, in ADL 2007, "Lo spoils system una tantum di nuovo al vaglio della Corte Costituzionale", 174)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, c. 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, in riferimento agli artt. 1, 3, 33, 41, 70, 97 e 113 della Costituzione. (Trib. Roma 3/3/2006, ord., Est. Conte, in ADL 2007, "Lo spoils system una tantum di nuovo al vaglio della Corte Costituzionale", 177)
  • E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, c. 1, lettera b) e 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 70, 97 e 98 della Costituzione. (Trib. Roma 1/2/2006, ord., Est. Mucci, in ADL 2007, "Lo spoils system una tantum di nuovo al vaglio della Corte Costituzionale", 170)
  • In tema di lavoro pubblico, secondo le disposizioni contenute nell’art. 23 d.lgs. n. 29 del 1993 e del d.p.r. n. 150 del 1999, l’amministrazione può ritenere di non avvalersi di un determinato dipendente per il conferimento di un incarico dirigenziale, collocandolo a disposizione nel ruolo unico dei dirigenti; essendo la disciplina degli incarichi fondata sui principi di temporaneità e fiduciarietà, rispetto alla discrezionalità riconosciuta al datore di lavoro pubblico nella scelta dei soggetti cui conferire incarichi dirigenziali, la posizione soggettiva dei dirigenti – anche di quelli già in servizio alla data di entrata in vigore della riforma – non può atteggiarsi come diritto soggettivo al conseguimento delle funzioni dirigenziali e l’interesse del dipendente a essere designato appare come interesse legittimo di diritto privato, giuridicamente ma non direttamente tutelato. (Cass. 6/4/2005 n. 7131, Pres. Ravagnani Est. Filadoro, in Giust. Civ. 2006, 674)
  • Poiché lo svolgimento di incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione è connotato da fiduciarietà, temporaneità e contrattualità, non sussiste un vero e proprio diritto del dirigente all’incarico, ancor più tutelabile in forma specifica, apparendo la tutela solo di tipo risarcitorio alla luce della violazione di eventuali regole di selezione e in una situazione precontrattuale. (Trib. Aquila 3/3/2005, Giud. Mostarda, in Giust. Civ. 2006, 675)
  • È infondata la pretesa del dirigente pubblico al risarcimento del danno per tardivo conferimento dell’incarico dirigenziale, non sussistendo un obbligo della pubblica amministrazione di concludere il contratto di incarico successivamente all’approvazione della graduatoria concorsuale. (Trib. Aquila 3/3/2005, Giud. Mostarda, in Giust. Civ. 2006, 675)
  • Nel prevedere che “nelle Pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale”, l’art. 2 comma 1lett. b), D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 non esclude ogni responsabilità dell’organo apicale, in quanto deve essere coordinato con il principio generale dell’effettività della gestione del potere, e, quindi, attesa la posizione di garanzia assunta dai vertici dell’ente pubblico, la delega in favore di un soggetto che non può neppure rifiutarla, qual è il dirigente o il funzionario preposto, assume valore solo se detti organi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, né abbiano assunto un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza; là dove la posizione del dirigente quale datore di lavoro comporta una capacità gestionale di natura patrimoniale, poteri effettivi di gestione e l’esercizio di poteri non esauriti in attività riconducibili esclusivamente alla categoria degli obblighi e, quindi, anche a quello della sospensione del servizio, mentre l’organo apicale è sempre responsabile, alternativamente o cumulativamente, ove venga informato delle deficienze e non vi adempia ovvero nel caso in cui siano necessarie impegnative di spesa, non consentite all’organo tecnico o al dirigente del settore. (Cass. 7/10/2004 n. 39268, Pres. Postiglione Est. Novarese, in Dir. e prat. lav. 2005, 72)
  • In materia di conferimento di incarichi dirigenziali la giurisdizione spetta al giudice ordinario, in quanto il conferimento dell’incarico costituisce esercizio di un potere privato e le scelte organizzative di tipo strutturale, identificative dell’ufficio alla cui copertura il conferimento è destinato, sono già state compiute dai competenti organi di indirizzo. (Cons. di Stato 25/7/2003 n. 4282, Pres. Giacchetti Est. Cafini, in Giur,. It. 2004, 652)
  • In caso di licenziamento del dirigente sanitario per giusta causa non trova applicazione né l'art. 56, 1° comma, DPR 761/79, pur tuttora vigente, che disciplina il licenziamento per incapacità "professionale", né l'art. 59 Ccnl che disciplina il recesso per responsabilità grave e reiterata del mancato conseguimento dei risultati previsti dall'incarico; trova invece applicazione l'art. 36, 3° comma, con conseguente obbligo del datore di lavoro di formulare preventivamente una specifica contestazione degli addebiti (nella fattispecie la contestazione è stata ritenuta generica in quanto riferita al solo dato statistico dei decessi avvenuti nel reparto d'assegnazione, senza indicazione di specifici comportamenti addebitati al sanitario). (Trib. Roma 12/2/2002, Est. Delle Donne, in D&L 2002, 736)
  • E' inammissibile la questione di costituzionalità inerente il ruolo unico della dirigenza pubblica (artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n. 29/93, trasfusi nei corrispondenti artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n. 165/01), non avendo il giudice a quo censurato anche lo specifico criterio di delega posto dalla lettera b) del quarto comma dell'art.11, l. n. 59/97, che prevede l'istituzione di tale ruolo unico; la questione proposta - concernendo non già il modo in cui il legislatore delegato ha dato attuazione alla delega, bensì la previsione stessa del ruolo unico dei dirigenti - avrebbe dovuto infatti coinvolgere anche il criterio di delega concernente l'istituzione di tale ruolo unico. (Corte Cost. ordinanza 30/1/02, n. 11, pres. Ruperto, est. Bile, in Lavoro nelle p.a. 2002, pag. 293, con nota di Boscati, La privatizzazione della dirigenza generale promossa a pieni voti dalla Consulta)
  • I dirigenti medici di primo livello, pur non essendo preposti a strutture o reparti, sono comunque legittimamente qualificati come dirigenti dalla speciale normativa di settore in forza della particolare complessità ed autonomia della mansione; pertanto i contratti a termine con essi stipulati non sono soggetti, ai sensi dell'art. 4 L. 230/62, alle limitazioni di cui agli artt. 1 e 2 della medesima legge. (Trib. Milano 28/1/2002, ord., Est. Marasco, in D&L 2002, 365)
  • E' illegittima la revoca anticipata dell'incarico conferito a dirigente comunale, laddove l'Amministrazione non dimostri - ai sensi dell'art. 13 Ccnl Enti Locali - l'esistenza di comprovate esigenze organizzative o produttive, essendo a tal fine insufficiente la mera vacanza di altro posto. Il dirigente al quale sia stato illegittimamente revocato l'incarico ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale da quantificarsi nella differenza tra le retribuzioni di posizione relative all'incarico revocato ed a quello assegnato (nella specie l'incarico revocato era di terza fascia e quello assegnato era di quinta). (Trib. Milano 31/10/2001, Est. Curcio, in D&L 2002, 118)
  • E' infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, decreto legislativo n. 387/98, sollevata con riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. in quanto resta rimesso alla scelta discrezionale del legislatore ordinario - suscettibile di modificazioni in relazione ad una valutazione delle esigenze della giustizia e ad un diverso assetto dei rapporti sostanziali - il conferimento ad un giudice, sia ordinario, sia amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti, secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste. La scelta del legislatore - operata dall'art. 18, decreto legislativo n. 387/98 - si inquadra nella tendenza a rafforzare la effettività della tutela giurisdizionale, in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso una migliore distribuzione delle competenze e delle attribuzioni giurisdizionali, a seconda delle materie prese in considerazione. Con essa il legislatore delegante e quello delegato, in attuazione della legge di delega, hanno voluto modellare e fondare tutti i rapporti dei dipendenti della amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) secondo "il regime di diritto privato del rapporto di lavoro", traendone tutte le conseguenze anche sul piano del riparto di giurisdizione, a tutela degli stessi dipendenti, in base ad una esigenza di unitarietà della materia. Ne consegue che la tutela giurisdizionale del rapporto di lavoro dei dirigenti, ormai senza esclusione di livelli, è stata attratta nella devoluzione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, in capo al quale si concentra la titolarità della giurisdizione sulle posizioni soggettive dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, salve le eccezioni previste. (Corte Cost. 23/7/01, n. 275, pres. Ruperto, est. Chieppa, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1173)
  • Le controversie relative al conferimento degli incarichi dirigenziali appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto sono relative a rapporti di lavoro già in corso soggetti al potere gestionale privatistico della amministrazione datore di lavoro, da cui deriva che, quand'anche la lesione lamentata dal dirigente derivi dal suo esercizio discrezionale, la situazione soggettiva lesa deve qualificarsi come interesse legittimo di diritto privato, riconducibile nell'ampia categoria dei diritti di cui all'art. 2907 c.c. (Trib. Bologna 23/4/2001, pres. E est. Palladino, in Lavoro giur. 2001, pag. 1059, con nota di Boscati, Conferimento degli incarichi dirigenziali tra discrezionalità del datore di lavoro pubblico e controllo giudiziale)
  • L'atto di conferimento degli incarichi dirigenziali deve essere preceduto da una valutazione comparativa dei candidati in cui non può assumere alcun rilievo negativo un precedente provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale poiché esso non riveste carattere sanzionatorio, ma costituisce una semplice presa d'atto dell'esistenza di una situazione di fatto non favorevole al buon andamento dell'attività amministrativa, di carattere occasionale per essere riferita ad un determinato ambiente e ad un determinato momento temporale (Trib. Bologna 23/4/2001, pres. E est. Palladino, in Lavoro giur. 2001, pag. 1059, con nota di Boscati, Conferimento degli incarichi dirigenziali tra discrezionalità del datore di lavoro pubblico e controllo giudiziale)
  • Non comporta alcuna lesione della discrezionalità gestoria della pubblica amministrazione, la pronuncia di condanna emanata ai sensi dell'art. 68, 2° comma, d.lgs. n. 29/93, con cui il giudice individua l'avente diritto al conferimento di un dato incarico dirigenziale sostituendo la propria valutazione a quella del datore di lavoro, in applicazione degli specifici e rigidi parametri fissati dalla fonte collettiva (Trib. Bologna 23/4/2001, pres. E est. Palladino, in Lavoro giur. 2001, pag. 1059, con nota di Boscati, Conferimento degli incarichi dirigenziali tra discrezionalità del datore di lavoro pubblico e controllo giudiziale)
  • Non appare configurabile, nell'attuale ordinamento, un diritto soggettivo perfetto del dirigente pubblico a non essere demansionato all'interno della qualifica dirigenziale. Tuttavia occorre pur sempre accertare in concreto se il danno professionale possa comunque prospettarsi quale conseguenza dell'illegittimo comportamento della P.A. (Trib. Gorizia 2/8/00 ordinanza, est. Masiello, in Lavoro giur. 2001, pag. 565, con nota di Pizzonia, Incarichi dirigenziali e tutela giurisdizionale)
  • L'atto di conferimento degli incarichi dirigenziali deve essere preceduto da una valutazione comparativa ed è soggetto all'obbligo di una puntuale motivazione in cui vengono esternate le ragioni della scelta effettuata (Trib. Gorizia 2/8/00 ordinanza, est. Masiello, in Lavoro giur. 2001, pag. 565, con nota di Pizzonia, Incarichi dirigenziali e tutela giurisdizionale)
  • Con l'assetto definitivo introdotto dal D.lgs. n. 229/99 è stata nettamente delineata la distinzione tra regime lavorativo esclusivo e regime non esclusivo e si è previsto l'affidamento di compiti manageriali e di responsabilità soltanto ai medici dirigenti con rapporto di lavoro esclusivo, valorizzando il principio di concorrenzialità tra strutture sanitarie pubbliche e strutture sanitarie private e imponendo al dirigente un impegno e una collaborazione assoggettata a rigorose regole nonché evitando possibili situazioni di conflitto di interessi obbiettivamente ipotizzabili per il medico dipendente che operi in concorrenza con la propria azienda (Trib. Milano 31/7/00, est. Marasco, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 887)
  • La graduazione delle funzioni dirigenziali, quale provvedimento amministrativo di natura costitutiva e non meramente ricognitiva delle funzioni svolte dai dirigenti, rappresenta il presupposto indefettibile ai fini della corresponsione dell'indennità di posizione prevista dall'art. 39 del Ccnl 10/4/96 per il Comparto Regioni - Enti locali. ( Consiglio di Stato 21/7/00, n. 4072, pres. Catallozzi, est. Saltelli, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 217, con nota di Zappalà, L'indennità di posizione dei dirigenti " presa sul serio": le potenzialità di uno strumento incentivante)
  • L'art. 51, l. n. 142/90, come modificato dalle leggi 127/97 e 191/98, consente ai Sindaci di attribuire funzioni dirigenziali a dipendenti comunali prescindendo dalla loro qualifica funzionale e dal loro titolo di studio, anche in deroga ad ogni diversa disposizione, legando le loro scelte alla concreta realtà fattuale ed organizzativa dell'Ente con l'unico limite della necessità di motivare i provvedimenti in modo congruo e contestuale alla loro emanazione (Trib. S. Angelo dei Lombardi 4/7/00, ordinanza, pres. e est. Ciafaldini, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 244, con nota di Navilli, Incarichi dirigenziali negli enti locali, motivazione dell'atto e tutela cautelare)
  • Ai fini del riparto di giurisdizione relativamente ad una controversia avente ad oggetto l'impugnazione del conferimento di un incarico dirigenziale, nella quale venga in contestazione lo svolgimento delle procedure paraconcorsuali presupposte, occorre avere riguardo alla posizione giuridica dedotta, atteso che si tratta di una vicenda antecedente la costituzione del rapporto di lavoro, come tale attribuita alla cognizione del giudice amministrativo, mentre una volta costituito tale rapporto la relativa controversia va devoluta al giudice ordinario, in base al criterio di riparto per materia (T.A.R. Abruzzo, 26/2/00, n. 132, pres. Catoni, est. Eliantonio, in Lavoro nelle p.a. 2001, con nota di Macioce, Conferimento di incarichi dirigenziali e riparto di giurisdizione)
  • La modifica di un incarico, attribuito a un dirigente in virtù dell'art. 19, comma 2, d.lgs. n. 29/93, può aver luogo o consensualmente, oppure per volontà unilaterale dell'Amministrazione, ma solo nelle ipotesi di revoca espressamente previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva (Trib. Venezia 8/6/00, ordinanza, pres. Santoro, est. Marra, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 248, con nota di Montanari, Modifica unilaterale dell'incarico dirigenziale e requisiti di forma)
  • Per l'individuazione del contenuto dell'incarico dirigenziale, in mancanza di un contratto formale, del quale non è requisito essenziale né l'individuazione degli obiettivi, né la forma scritta, acquistano rilievo atti concludenti, equivalenti ad esso (nella specie uno scambio di lettere tra amministrazione e dirigente) (Trib. Venezia 8/6/00, ordinanza, pres. Santoro, est. Marra, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 248, con nota di Montanari, Modifica unilaterale dell'incarico dirigenziale e requisiti di forma)
  • Le funzioni dirigenziali conferite prima dell'entrata in vigore del d.p.r. n. 150/99 e del d.lgs. n. 80/98 non possono continuare ad essere esercitate dal dirigente in difetto di uno specifico accordo con la pubblica amministrazione (Trib. Roma 28/4/00, ordinanza, est. Cocchia, in Lavoro nelle p.a. 2001, 233, con nota di Pasqua, Accordo per incarico dirigenziale ed esecuzione in forma specifica)
  • Non è manifestamente infondata - in relazione all'art. 76 Cost., per violazione dei limiti fissati dalla legge di delega all'art. 1 lett. q) L. 23/10/92 n. 421 e in relazione all'art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza - l'eccezione di illegittimità costituzionale del 1° e 2° comma (prima parte) dell'art. 15, D. Lgs. 30/12/92 n. 502 (nel testo antecedente il D. Lgs. 19/6/99 n. 229) nella parte in cui attribuiscono la qualifica dirigenziale anche al personale medico di primo livello, privo di responsabilità di direzione (Trib. Milano 11 aprile 2000 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 665)
  • Ai sensi dell'art. 19, 2° comma, D. Lgs. 3/2/93 n. 29 il conferimento degli incarichi di direzione deve avvenire con atti aventi natura contrattuale e volontaria; pertanto il trasferimento del dirigente pubblico a seguito di conferimento di nuovo incarico non può essere disposto senza il consenso del dirigente stesso (Trib. Milano 3 aprile 2000 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 733)
  • Nel caso di rapporto di lavoro con dirigenti medici, non è consentita la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, avendo il D. Lgs. 19/6/99 n. 229 eliminato con riferimento alla dirigenza medica l'istituto del tempo definito e trasformato tutti i rapporti di lavoro in rapporti a tempo pieno; considerata la disciplina speciale contenuta nel D. Lgs. 19/6/99 n. 229 deve ritenersi che alla dirigenza medica non siano applicabili le disposizioni contenute nell'art. 1, commi 57° e 58°, L. 23/12/96 n. 669, che disciplinano in via generale il rapporto di lavoro a tempo parziale nel pubblico impiego (Trib. Milano 28 marzo 2000, est. Santosuosso, in D&L 2000, 735)
  • In base all'art. 22 del Ccnl per i dipendenti degli Enti locali, le amministrazioni formulano in via preventiva i criteri per l'affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali nel rispetto dei principi stabiliti dall'art. 19 D. Lgs 3/2/93 n. 29 e comunicano tali criteri, prima della definitiva determinazione, alle rappresentanze sindacali. E' illegittima quindi l'attribuzione di incarichi che non sia stata preceduta dalla formulazione preventiva dei suddetti e dalla loro comunicazione alle rappresentanze sindacali (Trib. Milano 5 gennaio 2000, est. Ianniello, in D&L 2000, 383, n. Nespor, Un primo stop alla gestione del potere attraverso la politica distributiva degli incarichi dirigenziali)
  • E' illegittimo il mancato affidamento di un incarico dirigenziale a un dirigente in assenza di accertamento dell'inosservanza delle direttive e dei risultati negativi della gestione (Trib. Milano 5 gennaio 2000, est. Ianniello, in D&L 2000, 383, n. Nespor, Un primo stop alla gestione del potere attraverso la politica distributiva degli incarichi dirigenziali)
  • E' illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico dirigenziale adottato dall'amministrazione senza previa comunicazione di avvio del relativo procedimento ai sensi dell'art. 7, l. n. 241/90 e senza alcuna motivazione (come imposto dall'art. 3 della predetta legge); peraltro, ai fini della sospensione dell'esecutività del provvedimento di revoca dell'incarico, è sufficiente che la ricostruzione dei profili fattuali operata dal giudice accerti la violazione dei canoni di buon andamento e imparzialità (facilmente ravvisabile in un modus procedendi "contraddittorio" e "dispotico" della amministrazione) (Trib. Potenza 16/11/99, ordinanza n. 1931, est. Colucci, in Lavoro nelle p.a. 2001, 230, con nota di Salomone, L'obbligo di motivazione del provvedimento di revoca dell'incarico dirigenziale e la comunicazione di avvio del relativo procedimento)
  • Al Direttore sanitario DPP in un Irccs non è direttamente applicabile la normativa vigente per i Direttori sanitari delle Aziende sanitarie locali (Pret. Milano 10/5/99 (ord), est. Chiavassa, in D&L 1999, 616, n. Piccolomini, La normativa applicabile o comunque rilevante in materia di Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico)
  • Ai fini del riparto di giurisdizione relativamente ad una controversia avente ad oggetto l'impugnazione del conferimento di un incarico dirigenziale, nella quale venga in contestazione lo svolgimento delle procedure selettive presupposte, occorre avere riguardo al criterio della materia, a prescindere dalle posizioni giuridiche soggettive dedotte; pertanto la relativa competenza è del giudice ordinario (T.A.R. Friuli venezia Giulia 18/12/99, n. 1282, pres. Bagarotto, est. Settesoldi, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 224, con nota di Macioce, Conferimento di incarichi dirigenziali e riparto di giurisdizione)
  • La promozione dei dipendenti e l'attribuzione di incarichi dirigenziali, rientrando nel potere di organizzazione discrezionale del datore di lavoro, sono suscettibili di controllo in sede giurisdizionale esclusivamente sotto il profilo dell'osservanza di leggi, regolamenti o CCNL, nonché del rispetto del generale dovere di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1175 c.c.; in materia di incarichi dirigenziali, sotto il profilo dell'osservanza alle leggi, viene in rilievo l'art. 19 del d.lgs. n. 29/93 che, ai fini del conferimento di incarichi dirigenziali, impone una valutazione in chiave comparativa, nell'ambito della quale è obbligatoria la considerazione di elementi di carattere obiettivo (natura e caratteristiche dei programmi da realizzare) e di carattere soggettivo (attitudini e capacità professionali). E' quindi indispensabile estrinsecare la valutazione degli elementi che giustificano la scelta (Nella fattispecie si è ritenuto che l'intervento del giudice è legittimo nel caso in cui l'esercizio del potere di scelta discrezionale risulti affetto da manifesta irragionevolezza o inadeguatezza, rivestendo i caratteri dell'arbitrarietà, ma non può investire il merito delle scelte, riconducibile all'attività valutativa discrezionale della pubblica amministrazione rientrante nella potestà di autorganizzazione della stessa) (Trib. Napoli 10/12/99, ordinanza, pres. e est. Papa, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 254, con nota di Talamo, Onere di motivazione e criteri per il conferimento degli incarichi dirigenziali: il controllo del giudice ordinario)