Licenziamento: casistica

  • In tema di licenziamento del dirigente industriale, il cui rapporto di lavoro è caratterizzato da una accentuata fiducia, spetta al giudice di merito apprezzare – con valutazione incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata – se l’atto di recesso sia determinato o meno dalla menomazione dell’elemento fiduciario e sia quindi giustificato dalla presenza di una giusta causa. (Trib. Forlì 18/8/2004, Est. Sorgi, in Lav. nella giur. 2005, 190)
  • Il licenziamento di una dirigente, che sia stato adottato per ragioni collegate alla gravidanza o alla maternità della stessa, costituisce una discriminazione diretta basata sul sesso, con le conseguenze previste dall'art. 18 SL, a prescindere dal numero dei dipendenti e anche in favore dei dirigenti. (Trib. Milano 9/8/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Andrea Bordone, "Rientro dalla maternità e licenziamento: una tipica ipotesi di discriminazione diretta", 1235)
  • Il datore di lavoro non può pretendere che il dirigente sia disposto ad assumere qualsiasi iniziativa nell'interesse della società, specie se il comportamento richiesto sia ritenuto, fondatamente, tale da agevolare il compimento di atti illeciti, consistenti nella fattispecie nella richiesta di alterare i dati del bilancio della società (operazione poi effettuata con la collaborazione di altro dipendente). Siccome la perplessità della dirigente amministrativa sulle variazioni contabili richiestele erano motivate da specifiche ragioni non pretestuose, la perdita del posto di lavoro a seguito di licenziamento disciplinare si pone in contrasto con il principio di buona fede e, conseguentemente, alla manager licenziata perché rifiutatasi di compiere atti illeciti o irregolarità fiscali, spetta sia l'indennità per mancato preavviso sia l'indennità supplementare (Cass. 8/11/2002, n. 15749, Pres. Trezza, Rel. Fogli, in Lav. e prev. oggi 2003, 323)
  • E' illegittimo il licenziamento intimato a un dirigente per essersi rifiutato, in assenza di un preciso ordine in tal senso, di trasferirsi all'estero a svolgere la propria attività lavorativa come prospettatogli dalla società datrice di lavoro (Trib. Milano 9 maggio 2000, est. Martello, in D&L 2000, 1009)
  • Deve ritenersi illegittimo il licenziamento disposto nei confronti di un dirigente dell’Ente Poste italiane per il raggiungimento dei 65 anni di età, come previsto dalla normativa successiva alla privatizzazione dell’Ente, qualora il dirigente avesse precedentemente esercitato l’opzione ai sensi degli artt. 3, L. 23/10/92 n. 421 e 16, D. Lgs. 30/12/92 n. 503 per la prosecuzione del rapporto per i due anni successivi al compimento dei 65 anni, stante il mantenimento ai sensi dell’art. 6, 1° comma, L. 29/1/94 n. 71 dei diritti acquisiti prima della privatizzazione, con conseguente obbligo da parte dell’Ente Poste di corrispondergli tutte le retribuzioni dal licenziamento fino alla data in cui il dirigente avrebbe avuto diritto alla continuazione del rapporto, con esclusione invece dell’indennità supplementare (Trib. Milano 9/5/98, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1998, 1037)
  • Il licenziamento del dirigente per soppressione di posto in conseguenza della ristrutturazione di ufficio è giustificato, le cause di giustificatezza di diritto comune sono assorbite nel principio di giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3, L. 15/7/66 n. 604 (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 2/12/97, est. Perrino, in D&L 1998, 454, n. PANDURI, Soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione dell’organigramma aziendale; giustificato motivo e giustificatezza del licenziamento del dirigente; giustificatezza e cause tipiche di risoluzione del contratto; criteri e principi che sottendono alla giustificatezza del licenziamento e principio della buona fede)
  • Il comportamento del dirigente, che, in nome e per conto della società datrice, abbia sottoscritto una modifica di patti contrattuali, rivelatasi poi eccessivamente onerosa per l’azienda, integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento, ma non quelli della giusta causa, trattandosi di atto rientrante nei poteri di rappresentanza del dirigente, e dall’antieconomicità non immediatamente percepibile, sì da potersi escludere il dolo e la colpa grave, in relazione ai primari doveri di diligenza e fedeltà (Trib. Milano 19/4/97, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 1997, 813)