Pensione di reversibilità

  • Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex art. 9, L. n. 898 del 1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all’art. 5, L. n. 263 del 2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la “ratio” dell’attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all’ex coniuge e non già nell’irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento. (Cass. 28/9/2020 n. 20477, Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2020, 1210)
  • La controversia tra l’ex coniuge e il coniuge superstite per l’accertamento della ripartizione - ai sensi dell’art. 9, comma 3, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 13 della L. n. 74 del 1987 - del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l’accertamento concerne i presupposti affinché l’ente assuma un’obbligazione autonoma, anche se nell’ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto. (Cass. 22/5/2020 n. 9493, Pres. Manna Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2020, 991)
  • Il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità costituzionalmente garantito e rientrante tra i diritti/doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia tra cui quella omosessuale stabile – che, in quanto tale, è stata esclusa dall’istituto matrimoniale e non ha potuto quindi istituzionalizzare la relazione familiare – va riconosciuto al partner superstite come diretta applicazione dell’art. 2 Cost.; riconoscimento che può essere fatto dal giudice comune senza la necessità di porre la questione al vaglio della Corte costituzionale. (Corte app. Milano 24/5/2018 n. 1005, Pres. Bianchini Est. Bianchini, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di A. Cordiano e M. Peruzzi, “Unioni omoaffettive e riconoscimento di reversibilità prima della riforma Cirinnà”, 847)
  • Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, c. 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata dal Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, c. 1, e 38, c. 2, della Costituzione. È nella discrezionalità del legislatore, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire la misura del trattamento pensionistico dei superstiti e le variazioni dell’ammontare delle prestazioni, considerando le esigenze di vita dei beneficiari, le concrete disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio. (Corte Cost. 6/12/2016 n. 23, Pres. Grossi Est. Sciarra, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Damiri, “La garanzia dell’adeguatezza del trattamento pensionistico ai superstiti”, 317)
  • Il diritto al trattamento pensionistico, previsto dall’art. 22, comma 3, L. n. 903 del 1965 in favore dei figli superstiti studenti, si collega all’impossibilità dell’orfano di procurarsi un reddito in conseguenza della dedizione agli studi, sicché, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale (sentenza n. 42 del 1999), il riferimento della norma alla prestazione di un “lavoro retribuito” come motivo di esclusione della quota di pensione non può riguardare attività lavorative precarie, saltuarie e con reddito minimo, svolgendo le quali l’orfano non perde la sua prevalente qualifica di studente, ma solo le normali prestazioni durature e con adeguata retribuzione. (Nella specie, la S.C. ha escluso che la prestazione di un’attività lavorativa per sole 18 ore settimanali, e con una retribuzione netta di 500 euro mensili, determinasse la perdita della qualità di studente e del conseguente diritto del figlio superstite alla pensione indiretta). (Cass. 27/10/2016 n. 21707, Pres. Mammone Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2017, 202)
  • La surrogabilità da parte dell’ente previdenziale presuppone la risarcibilità del danno. (Cass. SU. 30/6/2016 n. 13372, Pres. Salmè Rel. Vivaldi, in Lav. nella giur. 2016, 928)
  • Dopo la pronuncia n. 286/87 della Corte Costituzionale, l’articolo 22 della legge n. 903/1965(e il restante quadro legislativo richiamato) viene a consentire anche al coniuge separato con addebito la pensione di reversibilità, ma nei limiti in cui, in ragione dello stato di bisogno di questi, si potesse ritenere “a carico” del defunto, con concessione dell’assegno alimentare. (Trib. Milano 8/11/2013, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2014, 188)
  • La pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) ed in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurata dalla pensione in titolarità del coniuge superstite titolare dell'assegno. (Cass. 19/3/2009 n. 6684, Pres. Mercurio Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2009, 630)
  • La dichiarazione di incostituzionalità delle norme che escludevano il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge separato per colpa o con addebito (Corte Cost. nn. 286/87 e 1009/88), non comporta la spettanza del diritto in ogni caso, non potendosi prescindere dalla necessaria ricorrenza, in generale, dei due requisiti della vivenza a carico e dello stato di bisogno - come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale - sicchè il coniuge superstite separato per sua colpa ha diritto alla pensione di reversibilità se aveva diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto. (Cort. app. 12/2/2007, Pres. e Rel. Salmeri, in Lav. nella giur. 2007, 1152)
  • Ad integrare la fattispecie legale – costitutiva del diritto ad una quota della pensione di reversibilità, in favore del coniuge divorziato del titolare della pensione diretta corrispondente (di cui all’art. 9, terzo comma, in relazione all’art. 5, comma sesto ss., L. 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modifiche ed integrazioni) – può concorrere, in alternativa alla titolarità dell’assegno divorzile, il possesso dei requisiti per averne diritto (di cui all’art. 5, sesto comma cit.), che – solo in difetto di accertamento giudiziale negativo circa la spettanza di tale diritto allo stesso coniuge divorziato – può formare oggetto, tuttavia, di accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, nei confronti dell’ente previdenziale e del coniuge superstite dello stesso titolare di pensione diretta. (Cass. 25/3/2005 n. 6429, Pres. Sciarelli Rel. De Luca, in Lav. nella giur. 2005, 690)
  • La disposizione di cui all’art. 9, comma 2, L. n. 898/1970, come modificato dalla L. n. 74/1987, secondo cui in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze  e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza., va interpretata nel senso che la dizione “titolare di assegno ai sensi dell’art. 5” fa riferimento alla “titolarità effettiva” o “in concreto” dell’assegno di divorzio e non alla c.d. “titolarità in astratto”. (Trib. Grosseto 5/10/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2005, 592)
  • Secondo la disciplina dell'art. 39 D.P.R. 26 aprile 1957 n. 818 (e perciò prima dell'introduzione del più restrittivo criterio di cui all'art. 8, legge 12 giugno 1984 n. 222) il riconoscimento della pensione di reversibilità ai figli superstiti del pensionato inabili ad un proficuo lavoro per grave infermità psichica o mentale, postulava non la totale inabilità, ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un'attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita. L'accertamento del requisito dell'inabilità presuppone una indagine molto accurata sull'usura psico-fisica che una eventuale attività lavorativa potrebbe provocare all'interessato, tenuto conto che detta attività deve svolgersi senza compromettere la dignità della persona umana. ( Cass. 7/6/2003 n. 9157, Pres. Senese Rel. Cataldi, In Dir. e prat. Lav. 2003, 3053)
  • L'impiego da parte dell'invalido (al 90%) - affetto da tetraplegia spastico congenita, impeditiva di attività di locomozione (tanto da dover essere trasportato a braccia nella stanza assegnatagli) e di articolazione delle mani (tanto da non poter afferrare e sollevare la cornetta del telefono) - delle residue capacità psico-fisiche, indotto da estreme necessità economiche, in incombenze lavorative usuranti oltre il normale e compromettenti la dignità della persona, è inidoneo a dimostrare l'insussistenza del requisito dell'inabilità al lavoro, in presenza del quale spetta all'invalido tetraplegico la pensione di reversibilità per morte della madre (Cass. 23/5/01, n. 7058, pres. De Musis, est. Figurelli, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1393)