In genere

  • L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni precedentemente svolte, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. (Trib. Busto Arsizio 2/2/2021, Giud. La Russa, in Lav. nella giur. 2021, 665)
  • La tutela reale ex art. 18 St. lav., nella versione successiva alla Riforma Fornero, presuppone l’abuso  consapevole del potere disciplinare, che implica una sicura conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoro, della illegittimità del recesso derivante o dalla insussistenza del fatto contestato o dalla chiara riconducibilità del medesimo tra le fattispecie punibili, secondo la tipizzazione collettiva, con una mera sanzione conservativa. (Cass. 9/5/2019 n. 12365, Pres. Di Cerbo Est. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “La tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari tra tutela reale e tutela obbligatoria”, 652)
  • In caso di condotta che non sia riconducibile ad una determinata infrazione punibile con sanzione conservativa secondo la tipizzazione collettiva, pur esprimendo un analogo disvalore disciplinare, non può essere accordata la tutela reale in virtù di un’interpretazione estensiva delle previsioni contrattuali ma la sola tutela indennitaria (ex art. 18, comma 5, St. lav.) per carenza di proporzionalità del recesso. (Cass. 9/5/2019 n. 12365, Pres. Di Cerbo Est. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di P. Tosi e E. Puccetti, “La tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari tra tutela reale e tutela obbligatoria”, 652)
  • La previsione dell’art. 18, co. 4, l. n. 300/1970, secondo cui il giudice deve applicare la tutela reintegratoria attenuata per licenziamento ingiustificato nel caso in cui «il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili», è riferibile esclusivamente all’ipotesi in cui la condotta contestata al lavoratore sia tipizzata dal codice disciplinare del contratto collettivo, in quanto soltanto in tale evenienza la non irrogabilità di un licenziamento è chiaramente conoscibile in anticipo dal datore di lavoro (la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che, tenuto conto di una previsione del ccnl che comminava una sanzione conservativa nel caso di «abbandono del posto di lavoro», aveva applicato la tutela reintegratoria in un caso di specie in cui il lavoratore licenziato non si era limitato ad abbandonare il posto di lavoro durante l’orario notturno ma si era recato in un altro luogo dello stabilimento e si era lì messo a dormire, venendo svegliato soltanto dall’improvviso sopralluogo, alcune ore dopo, del superiore gerarchico). (Cass. 9/5/2019 n. 12365, Pres. Di Cerbo Rel. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di R. Del Punta, “Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione”, 494)
  • In tema di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, laddove si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, di cui all’art. 18, co. 7, St. lav., come novellato dalla l. n. 92/2012, il giudice è tenuto ad applicare la tutela reintegratoria, non avendo alcuna discrezionalità in merito alla scelta del regime sanzionatorio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rilevato la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento e aveva disposto la reintegrazione della lavoratrice, licenziata a seguito della soppressione del reparto cui era addetta, sul rilievo che la stessa, in precedenza occupata in un altro reparto, era stata collocata presso il reparto destinato ad essere soppresso in esubero). (Cass. 13/3/2019 n. 7167, Pres. Nobile Rel. Negri della Torre, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di E. Chieregato, “G.m.o. e ‘manifesta insussistenza’ del fatto: tutela applicabile e discrezionalità giudiziale nel regime della legge Fornero”, 379)
  • L’insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18 St. lav., così come modificato dalla l. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42, comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità. (Cass. 10/5/2018 n. 11322, Pres. Napoletano Rel. Marotta, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di G. Fava e R. Parruccini, “La Cassazione si pronuncia sulla legittimità delle registrazioni effettuate da parte dei dipendenti sul luogo di lavoro”, 761)
  • La disposizione di cui al novellato quarto comma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – con il prevedere che il datore di lavoro, in caso di inottemperanza all’ordine (immediatamente esecutivo) del giudice che lo condanni a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro, sia tenuto a corrispondergli, in via sostitutiva, una “indennità risarcitoria” – non è irragionevole, ma coerente al contesto della fattispecie disciplinata, connotata dalla correlazione di detta indennità a una condotta contra ius del datore di lavoro e non a una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente. La qualificazione risarcitoria della suddetta indennità non è contraddetta dalla sua commisurazione “all’ultima retribuzione globale di fatto”, e dunque non vi è alcun contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 Cost. (Corte Cost. 23/4/2018 n. 86, Pres. Lattanzi Est. Morelli, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di S. Rescigno, “Riforma della sentenza di reintegrazione e ripetibilità delle somme: l’indennità ex art. 18, comma 4, St. lav. supera il vaglio di costituzionalità”, 823)
  • L’ordinanza immediatamente esecutiva (art. 1, c. 49, l. 28.6.2012, n. 92), se è titolo per l’esecuzione immediata della reintegra, ben può essere considerata “prova scritta”, unitamente alla dichiarazione di opzione, per il rilascio della ingiunzione relativa alla indennità di cui al c. 3 dell’art. 18 St. lav. (Trib. Milano 30/5/2017, ord., Est. Mariani, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. A. Carbone, “Equiparazione tra ordinanza e sentenza ai fini dell’esercizio del diritto di opzione a norma dell’art. 18, c. 3, St. Lav.”, 607)
  • La disposizione di cui all’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 23/2015 presenta elementi di irrazionalità, dal momento che addossare al lavoratore la prova diretta di un fatto negativo contrasta con il principio di vicinanza della prova e con l’art. 5 della l. n. 604/1966. Pertanto, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, il lavoratore può avvalersi della prova presuntiva e indiretta, e la mancata prova del fatto positivo allegato da parte del datore di lavoro a fondamento del licenziamento equivale alla dimostrazione in giudizio del fatto negativo (onere di per sé talmente gravoso da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto alla reintegra). (Trib. Milano 14/3/2017, Est. Cassia, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Negri, “L’insussistenza del fatto materiale e la ripartizione dell’onere probatorio: un’interpretazione costituzionalmente orientata”, 617)
  • L’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all’ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd. reale. (Cass. 20/9/2016 n. 18418, Pres. Bronzini Est. Balestrieri, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Salvagni, “L’irrilevanza giuridica del fatto equivale alla insussistenza della condotta”, 51)
  • Venuto meno, a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 92/2012, il limite minimo delle cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, nelle ipotesi di invalidità del licenziamento contemplate dal quarto comma dell’art. 18, l. n. 300/1970 l’ordine di reintegrazione non è necessariamente seguito dalla condanna al risarcimento del danno, nel caso in cui il comportamento del datore di lavoro sia immune da dolo o colpa. (Corte app. Bologna 6/5/2016 n. 514, Pres. Brusati Est. Mantovani, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di Giulio Centamore, “Licenziamento incolpevole e risarcimento del danno: quando la reintegrazione ex art. 18, comma 4, St. lav. resta priva di indennità”, 3)

  • Fra gli “altri casi di nullità del licenziamento previste dalla legge”, contemplati dall’art. 18, c. 1, l. n. 300/1970, cui si applica la tutela reintegratoria piena, vi è quello per contrarietà a norme imperative di cui all’art. 1418, c. 1, c.c. (Cass. 25/11/2015 n. 24157, Pres. Stile Est. Manna, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Filippo Aiello, “L’applicabilità al pubblico impiego privatizzato dell’art. 18 St. Lav.”, 25)
  • Nell’ambito del licenziamento disciplinare, la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300/1970 si applica solo nell’ipotesi di insussistenza del fatto (inteso come fatto materiale, dal quale esula ogni valutazione relativa alla proporzionalità) posto a fondamento del recesso datoriale, o nell’ipotesi in cui il medesimo fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, in base alle disposizioni del CCNL o del codice disciplinare applicabile. Tra le “altre ipotesi” di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo di cui all’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 ai fini dell’applicazione della tutela indennitaria ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 rientra anche la violazione del requisito della tempestività, quale elemento costitutivo del diritto di recesso, mentre esulano dall’ambito applicativo di tale disposizione le violazioni procedurali previste dall’art. 7, L. n. 300/1970. (Cass. 6/11/2014 n. 23669, Pres. Macione Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152, e in Riv. it. dir. lav. 2015, con note di R. Del Punta, “Il primo intervento della Cassazione sul nuovo (eppur già vecchio) art. 18”, e di F. Martelloni, “Nuovo art. 18: la Cassazione getta un ponte tra riforma Fornero e Jobs Act”, 25)
  • In ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo, dopo la l. n. 92/2012, la tutela reintegratoria e risarcitoria cd. debole si applica quando il datore di lavoro non provi il fatto contestato e l’imputabilità del fatto al lavoratore oppure quando sussista una causa di esclusione dell’inadempimento del prestatore di lavoro e, altresì, quando il fatto come ricostruito sia punito dalla contrattazione collettiva con una sanzione disciplinare conservativa o, comunque, non rientri nella nozione legale di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo. Qualora, invece, il licenziamento venga considerato illegittimo per difetto di adeguatezza e di proporzionalità della sanzione inflitta, cioè si sia comunque in presenza di un inadempimento di non scarsa rilevanza, trova applicazione la sola tutela risarcitoria. (Trib. Bologna 24/7/2013, Est. Benassi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Azzurra de Salvia, “Ancora sulle conseguenze sanzionatorie in caso di licenziamento disciplinare illegittimo dopo la legge n. 92/2012”, 153)
  • L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “ovvero” all’interno del quarto comma dell’art. 18 (“Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”) dimostra che anche la presenza di uno solo dei due vizi è sufficiente a garantire al lavoratore la tutela reale. (Trib. Roma 8/4/2013, Giud. Armone, in Lav. nella giur. 2013, 747)
  • L’art. 18, comma 4, St. Lav., come sostituito dall’art. 1, comma 42, l. 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), prevede che il giudice dispone la reintegra del lavoratore, se non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento, per “insussistenza del fatto contestato” o quando il fatto rientri tra le condotte punibili con sanzione conservativa, secondo le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili. Per quanto riguarda l’”insussistenza del fatto contestato”, la norma in questione, parlando di “fatto”, fa necessariamente riferimento al c.d. “fatto giuridico”, inteso come fatto globalmente accertato, nell’unicum delle sue componenti oggettive e soggettive. Rientra tra le condotte punibili con “sanzione conservativasulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”, per cui il giudice dispone ugualmente la reintegra se sia inflitto invece il licenziamento, la “lieve insubordinazione nei confronti dei superiori gerarchici”, per cui il contratto collettivo nazionale dell’industria metalmeccanica (art. 9, sez. 4, tit. 7 Ccnl 2008) applicato nella specie, prevede espressamente solo sanzioni conservative, nella diversa gradazione ivi contemplata (nella specie, il giudice ha ritenuto che proprio in questa norma contrattuale rientrasse il fatto commesso dal ricorrente). (Trib. Bologna 15/10/2012, ord., Giud. Marchesini, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Mara Congeduti, e nota di Luca Failla, Prime applicazioni giurisprudenziali del nuovo art. 18 St. Lav.”, 1190)
  • “Reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro”, ai sensi dell’art. 18 SL, significa “restituire in integro” la relazione del lavoratore col “posto di lavoro”, in ogni suo profilo, anche non retributivo, poiché il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento economico, ma anche una forma di accrescimento della professionalità e di affermazione dell’identità personale e sociale, tutelata da norme di rango costituzionale. Ne consegue che non ottempera all’ordine giudiziale di reintegrazione del dirigente sindacale illegittimamente licenziato, e deve pagare la sanzione al Fondo adeguamente pensioni ex art. 18, 10° comma, SL, l’imprenditore il quale, facendo leva sull’incoercibilità specifica dell’ordine medesimo, si limiti a versare al lavoratore la retribuzione e a consentirgli l’ingresso in azienda per lo svolgimento dell’attività sindacale, senza permettergli, tuttavia, di riprendere il lavoro. (Cass. 8/6/2012 n. 9965, Pres. De Luca Est. Curzio, in D&L 2012, con nota di Lorenzo Franceschinis, “Ultime luci di una stella morta?”, 815, e  in Orient. Giur. Lav. 2012, 405)
  • La reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro può essere disposta anche nei confronti di una società posta in liquidazione, solo allorché non risulti avvenuta la cessazione definitiva dell’attività sociale e l’azzeramento effettivo dell’organico del personale. (Trib. Milano 26/3/2012, Giud. Gasparini, in Lav. nella giur. 2012, 729)
  • In ipotesi di licenziamento di carattere indubbiamente ritorsivo, al lavoratore licenziato va accordata, a prescindere dal requisito dimensionale dell’azienda, la piena tutela reale ai sensi dell’art. 18 l. n. 300 del 1970. (Cass. 27/10/2010 n. 21967, Pres. ed Est. Foglia, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Pallini, “L’utilità sociale quale limite interno al potere di licenziamento?”, 86)
  • Nel procedimento di impugnazione del licenziamento, il lavoratore, dinanzi all’esistenza di un gruppo più o meno articolato e complesso, può cautelarsi formulando diverse ipotesi di reintegrazione, a seconda di quale sia l’effettivo datore di lavoro individuato dal giudice. Non è precluso alla parte formulare domande alternative o tra loro subordinate. Ma una volta accertato in fatto, con adeguata motivazione, che l’effettivo datore di lavoro ovvero il “dominus” del rapporto di lavoro è la società capogruppo, correttamente il giudice di merito dispone la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nei confronti di tale società. (Cass. 21/9/2010 n. 19931, Pres. Vidiri Est. Di Nubila, in Orient. Giur. Lav. 2011, 130)
  • In tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. (Cass. 22/3/2010 n. 6846, Pres. Roselli Est. Morcavallo, in Orient. Giur. Lav. 2010, 486)
  • La disciplina prevista dalla "stabilità reale" dell'art. 18 L. n. 300/70 si applica al lavoratore che ha raggiunto i requisiti per il diritto alla pensione durante la pendenza del giudizio. Di conseguenza, alla illegittimità del licenziamento segue l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 18 che prevedono la reintegrazione in servizio del lavoratore, nonché il risarcimento del danno subito per il licenziamento. (Trib. Milano 8/10/2008, d.ssa Peragallo, in Lav. nella giur. 2009, 203) 
  • In caso di reintegra nel posto di lavoro, il termine di trenta giorni per la ripresa del servizio (ovvero per la richiesta dell'indennità sostitutiva) da parte del lavoratore decorre, ai sensi dell'art. 18, quinto comma, L. n. 300 del 1970, dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro o dalla comunicazione del deposito della sentenza contenente l'ordine di reintegra. Ne consegue che, ove il datore di lavoro abbia formalmente comunicato l'invito a riprendere il servizio, l'inutile decorso del termine comporta la risoluzione del rapporto, dovendosi considerare insufficiente una generica adesione all'invito da parte del lavoratore non seguita dall'effettiva ripresa dell'attività lavorativa, salvo che ciò non sia stato possibile a causa di forza maggiore o di un legittimo impedimento, nel qual caso le circostanze giustificative addotte dal lavoratore medesimo ineriscono non al termine, sospendendolo, ma unicamente all'obbligo del lavoratore subordinato di prestare la sua opera in costanza del rapporto. (Cass. 6/6/2008 n. 15075, Pres. De Luca Est. Celentano, in Lav. nella giur. 2008, 1164)
  • L'art. 102-bis disp. att. c.p.c. nel prevedere che chi sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero a quella degli arresti domiciliari ha diritto a essere reintegrato nel posto di lavoro qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, proscioglimento o non luogo a procedere, ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione, presuppone che il licenziamento sia stato determinato dallo stretto rapporto di causalità con la detenzione, e cioè che il recesso del datore di lavoro sia fondato esclusivamente sul fattore obiettivo dello status custodiae del prestatore d'opera. Ne consegue che la domanda fondata sulla citata disposizione ha a oggetto fatti costitutivi diversi rispetto all'impugnativa del licenziamento per fatti disciplinari o per impossibilità sopravvenuta ed è inammissibile se proposta per la prima volta in appello, né può dare titolo alla reintegrazione nel posto di lavoro ove il licenziamento risulti in via autonoma giustificato sulla base di elementi ulteriori rispetto alla mera assenza del lavoratore determinata da provvedimento cautelare. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso evidenziando che la sentenza impugnata aveva accertato che il licenziamento era stato intimato al lavoratore sottoposto alla misura della custodia in carcere sia per motivi disciplinari, sia per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione non dipendente dallo stato cautelare ma dalla mancanza del tesserino aeroportuale abilitativo dell'accesso). (Rigetta, App. Roma, 13 luglio 2005). (Cass. 6/6/2008 n. 15070, Pres. Sciarelli Est. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2009, 52, e in Lav. nella giur. 2008, 1163) 
  • Nel regime di stabilità reale previsto dall'art. 18 legge n. 300 del 1970 - nel testo modificato dall'art. 1 della legge n. 108/1990, applicabile anche per il tempo anteriore della sua entrata in vigore - nel periodo compreso tra la data dell'illegittimo licenziamento e quella della pronuncia giudiziale contenente l'ordine di reintegra del lavoratore, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale e il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all'ente previdenziale i contributi assicurativi, tanto per la quota a proprio carico quanto per quella a carico dei lavoratori, alla stregua dell'art. 23 legge n. 218/1952, che, trasferendo l'obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, introduce una pena privata giustificata dall'intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, del pagamento di un importo superiore all'ammontare del mero risarcimento del danno. (Cass. Sez. Un. 4/4/2008 n. 8800, Pres. Senese Rel. Roselli, in Dir. e prat. lav. 2008, 2434)
  • La cessazione dell'attività aziendale fa veniremeno il substrato della prestazione lavorativa e pertanto estingue i rapporti di lavoro per impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi degli artt. 1463 e 1256 c.c.; conseguentemente il giudice che accerti l'illegittimità di un licenziamento non può disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavor,o qualora nelle more del giudizio sia sopravvenuta la cessazione totale dell'attività aziendale. (Trib. Milano 9/2/2008 Est. Cincotti, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, 669, e in Lav. nella giur. 2008, 1065)
  • Non può trovare accoglimento la domanda di reintegrazione del lavoratore che, prima di attivarsi in via giudiziale per ottenere la reintegrazione e a non trascurabile lasso di tempo dal licenziamento, non solo ha raggiunto l'età pensionabile, ma ha anche chiesto la pensione di vecchiaia, tenendo una condotta idonea a far presumere che non avrebbe comunque continuato a prestare l'attività lavorativa dopo la maturazione dei requisiti per ottenere la pensione di vecchiaia; in tale ipotesi spetta comunque il risarcimento del danno ex art. 18, c. 4, SL. (Trib. Milano 25/1/2008, Est. Beccarini, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, 669)
  • Il legislatore ha inteso regolare con il nuovo testo dell'art. 18, c. 4, SL la misura del danno subito dal lavoratore per effetto della sua incolpevole inattività lavorativa, tanto per il periodo precedente la sentenza di reintegra che per quello successivo. Ne consegue che il lavoratore non può pretendere, per il fatto stesso dell'inottemperanza all'ordine giudiziale di reintegra e in assenza di prova e di allegazione di pregiudizi ulteriori e distinti, eventuali danni patrimoniali superiori alla misura della retribuzione. (Cass. 17/12/2007, n. 26561, Pres. Ciciretti Est. Celentano, in D&L 2008, con nota di Sara Vinciguerra e Giuseppe Bulgarini d'Elci, "Inottemperanza all'ordine giudiziale di reintegra e risarcibilità dei danni ulteriori per imposta inattività", 271)
  • La forzata inattività del lavoratore per il periodo successivo alla sentenza che abbia ordinato la reintegrazione non può essere ricondotta alla fattispecien regolata dall'art. 2103 c.c., il quale presuppone l'attualità in fatto e in diritto del rapporto lavorativo e una dequalificazione intervenuta nel corso dello stesso, con una propria specificità e marcati caratteri differenziali rispetto alla sola ipotesi della inottemperanza all'ordine giudiziale di reintegra, che è regolato, viceversa, dall'art. 18 SL. (Cass. 17/12/2007 n. 26561, Pres. Ciciretti Est. Celentano, in D&L 2008, con nota di Sara Vinciguerra e Giuseppe Bulgarini D'Elci, "Inottemperanza all'ordine giudiziale di reintegra e risarcibilità dei danni ulteriori per imposta inattività", 271)
  • Il licenziamento intimato senza il rispetto delle garanzie procedimentali dell'art. 7 è parificato, in ordine ai suoi effetti, al vizio sostanziale dell'assenza di giusta causa o giustificato motivo. In tal caso il licenziamento non è viziato da nullità, ma soltanto ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, non va fatto valere attraverso quel procedimento, non può, quand'anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all'operatività della tutela apprestata dall'ordinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima cosiddetta reale, ex art. 18 della citata L. n. 300 del 1970, ovvero all'alternativa fra riassunzione e risarcimento del danno, secondo il sistema della legge n. 604 del 1966, o infine, all'onere di preavviso ex art. 2118 c.c., incombendo, poi, sul lavoratore l'onere di provare, se contestata, la ricorrenza dei requisiti di legge, ivi compresi quelli attinenti ai limiti dimensionali dell'organizzazione facente capo al datore di lavoro, per l'attribuzione del tipo di tutela rivendicato. (Trib. Milano 15/11/2007, D.ssa Bianchini, in Lav. nella giur. 2008, 429)
  • Nel regime di stabilità reale previsto dall'art. 18 della L. n. 300 del 1970 (che nella specie trova applicazione nel testo anteriore a quello introdotto dalla L. n. 108 del 1990), nel periodo compreso tra la data dell'illegittimo licenziamento e quella della pronuncia giudiziale contenente l'ordine di reintegra del lavoratore, durante il quale il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale e il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all'ente previdenziale i contributi assicurativi (v. Corte cost. n. 7 del 1986); i contributi previdenziali sono dovuti indipendentemente dalla erogazione della retribuzione (che nel detto periodo non è corrisposta, spettando al lavoratore solo il risarcimento del danno) e vanno cmmisurati a quella che sarebbe stata la normale retribuzione dell'intero periodo, anche se non coincidente con l'importo del danno liquidato in applicazione dei criteri di risarcimento fissati dalla legge. (Cass. Sez. Un. 5/7/2007 n. 15143, Pres. Carbone Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2008, 87, e in D&L 2007, con nota di U.M. Cafiero, "L'obbligo contributivo in seguito al licenziamento dichiarato illegittimo ex art. 18 SL", 1187, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1066)
  • A seguito della reintegrazione eseguita in adempimento dell'ordine giudiziale, il datore, nell'ambito di un ininterrotto rapporto di lavoro, ha l'obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a mansioni equivalenti a quelle effettivamente svolte. Ove il lavoratore venga reintegrato (a distanza di tempo dall'ordine giudiziale che tanto aveva disposto) dopo che, per il mutamento dell'organizzazione aziendale, alcune mansioni siano state soppresse, ovvero si siano quantitativamente ridotte a una misura insufficiente a saturare l'attività del lavoratore stesso, è legittimo che questi venga assegnato a mansioni (equivalenti alle precedenti) coerenti con il mutato assetto; e, ove sia mutata la strumentazione aziendale, che egli venga adibito alle mansioni pregresse con gli strumenti di lavoro mutati. Ove infine in tale ambito il lavoratore reintegrato non abbia, per la riduzione della propria capacità lavorativa, la possibilità di rendere una prestazione quantitativamente sufficiente, il licenziamento è legittimo (Cass. 30/3/2006 n. 7536, Pres. Senese Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Arturo Barbato, "Potere organizzativo del datore e limiti del diritto del lavoratore licenziato illegittimamente alla reintegrazione nelle mansioni precedenti", 148)
  • Nonostante l'ineseguibilità in forma coattiva dell'obbligo di reintegrazione, che ha natura di fare infungibile, il giudice chiamato a dare attuazione alle misure cautelari deve cercare una tutela specifica in grado di produrre effetti satisfattivi indipendentemente dalla volontà dell'obbligato; pertanto, dato che l'ordine può essere eseguito in modo frazionato attraverso la suddivisione delle operazioni di reintegra in varie fasi, possono essere imposte in forma coattiva al datore di lavoro le prestazioni che non integrano poteri discrezionali, come l'iscrizione al libro paga e matricola, il rilascio del cartellino, l'ingresso in azienda, l'accesso alla mensa aziendale, il pagamento delle retribuzioni, autorizzando in caso di rifiuto l'assistenza dell'Ufficiale giudiziario e occorrendo della forza pubblica. (Trib. Ravenna 25/7/2006, ord., Est. riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 998)
  • Il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) fra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente, si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione di tutta o parte della prestazione pensionistica), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro. (Cass. 10/5/2005 n. 9732, Pres. Ciciretti Rel.Celentano, in Dir. e prat. lav. 2005, 2221)
  • Non commette il reato di cui all’art. 650 c.p., ma – ove ne ricorrano gli elementi costitutivi della condotta tipica – il reato di cui all’art. 388, comma 1, c.p., il datore di lavoro destinatario di un ordine di reintegrazione emesso dal giudice civile in base all’art. 18 St. Lav. ovvero ex art. 700 c.p.c., che ometta di reintegrare immediatamente il lavoratore nel posto di lavoro. (Cass. sez. I pen. 27/1/2005 n. 2603, Pres. Chieffi Est. Canzio, in Dir. e prat. lav. 2005, 1119)
  • In caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento e di mancata ottemperanza, da parte del datore di lavoro, all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, l'obbligazione del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni ai sensi dell'art. 18, secondo comma, della legge 20 maggio 1970 n. 300 (nel testo anteriore all'entrata in vigore della legge 11 maggio 1990 n. 108), essendo collegata alla posizione che il lavoratore aveva al momento del licenziamento illegittimo, ha natura retributiva e non risarcitoria, ed è pertanto soggetta alla prescrizione quinquennale, ai sensi dell'art. 2948 c.c. (Cass. 19/3/2004 n. 5582, Pres. Mattone Rel. Maiorano, in Dir. e prat. lav. 2004, 2376)
  • Ai fini dell'applicazione dell'art. 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, che esclude dall'ambito di operatività dell'art. della legge 20 maggio 1970 n. 300 i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, il datore di lavoro è qualificabile o meno imprenditore in base alla natura dell'attività da lui svolta, da valutare secondo gli ordinari decreti, che fanno riferimento al tipo di organizzazione ed all'economicità della gestione, a prescindere dall'esistenza di un vero e proprio fine di lucro, restando irrilevante che la prestazione di servizi, ove effettuata secondo modalità organizzative ed economiche di tipo imprenditoriale, sia resa solo nei confronti di associati al soggetto che tali servizi eroga ovvero ad un'organizzazione sindacale cui il soggetto erogatore sia collegato. (NellaS.C., aveva ritenuto di tipo imprenditoriale l'attività di prestazione di servizi svolta dalla Conferscenti, o società a questa collegate, in favore di imprese associate). (Cass. 26/1/2004 n. 1367, Pres. Senese Rel. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2004, 1505) specie, la sentenza impugnata, confermata dalla
  • Commette il reato di cui all'art. 388, comma 1, c.p. il datore di lavoro che allo scopo di non ottemperare alla sentenza del Giudice con cui a norma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori venga disposta la reintegrazione di un lavoratore nel posto di lavoro commetta un atto fraudolento consistente nella soppressione della figura professionale rivestita dal lavoratore reintegrato. (Cass. 6/11/2003, n. 42438, Pres. Trojano Est. Mannino, in Dir. E prat. lav. 2003, 3175)
  • Anche nella vigenza del nuovo testo dell'art. 18 Stat. Lav., il lavoratore ha diritto a ricevere le retribuzioni per il periodo successivo alla reintegra per essere il datore di lavoro inadempiente all'ordine del giudice, a maggior ragione, quando l'illegittimità del licenziamento è stata confermata in appello, posto che, diversamente, verrebbe meno la tutela speciale riservata dall'art. 18 Stat. Lav. al lavoratore vittorioso in primo grado per il lasso di tempo in cui fa valere le sue ragioni. (Corte d'appello Milano 12/6/2003, Est. Mannaccio, In Lav. nella giur. 2003, 1177)
  • Non commette il reato di cui all'art. 650 c.p. il datore di lavoro che non ottemperi alla sentenza del giudice con cui a norma dell'art. 18 Statuto dei lavoratori venga disposta la reintegrazione di un lavoratore nel posto di lavoro. (Cass. 15/5/2003, n. 21362, Pres. Mocali, Rel. Cassano, in Dir. e prat. lav. 2003, 1688)
  • Nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo ai sensi dell'art. 18 legge n. 300/1970, il rapporto di lavoro prosegue, anche in assenza di effettive prestazioni lavorative, fino al momento della reintegra del lavoratore licenziato ovvero fino alla transazione-eventualmente intervenuta successivamente alla sentenza di reintegra-che pone termine al rapporto; ne consegue, in tale ultima ipotesi, che il datore di lavoro è obbligato a pagare i contributi previdenziali della somma corrisposta al lavoratore, comunque qualificata nella sede transattiva, e fino ad un ammontare corrispondente alla misura della retribuzione dovuta in base al contratto di lavoro. Resta invece esente da contribuzione previdenziale l'indennità sostitutiva, che non ha natura retributiva perché il rapporto di lavoro si risolve con la percezione della stessa. (Cass. 7/3/2003, n. 3487, Pres. Senese, Rel. Foglia, in Dir. e prat. lav. 2003, 1408 e in in Lav. nella giur. 2003, 682)
  • In sede di esecuzione dell'ordine del giudice di reintegrazione o riammissione in servizio, certamente il datore di lavoro ha l'onere di riallocare il dipendente nella medesima situazione lavorativa precedentemente occupata ovvero in altra con similari caratteristiche e condizioni. Siffatto indiscutibile primario onere del datore di lavoro va, comunque, commisurato ed adeguato alla effettiva possibilità di ripristino dello status quo ante, in caso questi sia venuto meno per oggettive modificazioni medio tempore avvenute (Trib. Roma 12/3/2003, Pres. Cortesani, Rel.Lav. nella giur. 2003, 690) Corsetti, in
  • È ammissibile il referendum abrogativo delle norme che precludono la possibilità di applicare a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda in cui operano, l'art. 18 SL. (Corte Cost. 6/2/2003 n. 41, Pres.Chieppa, in D&L 2003, 45)
  • Il dipendente reintegrato nel posto di lavoro a seguito di annullamento del licenziamento ha diritto ad essere ricollocato nel posto di lavoro occupato in precedenza. Qualora dopo il licenziamento il ramo d'azienda cui era addetto il dipendente sia stato ceduto, la sentenza di reintegra determina il diritto al ripristino del rapporto in capo all'azienda cessionaria, che si configura come successore a titolo particolare nel diritto controverso. Ne consegue che un secondo licenziamento intimato dalla cedente è inefficace in quanto tale soggetto non era più titolare del rapporto di lavoro, già passato automaticamente alla cessionaria. (Trib. Milano 14/1/2003, Est. Ianniello, in D&L 2003, 464)
  • La reintegrazione, a seguito di specifica pronuncia giudiziale, del lavoratore licenziato in un posto di lavoro equivalente a quello da ultimo ricoperto è legittima solo nell'ipotesi in cui le condizioni preesistenti il licenziamento legittimassero già l'esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro (Trib. Milano 12 novembre 1999, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 2000, 226)
  • La disposizione, rivolta dal datore di lavoro al dipendente di presentarsi in luogo diverso rispetto a quello ove era addetto al momento della cessazione del rapporto e senza indicazione della specifica attività lavorativa, non costituisce valido atto di reintegra. Conseguentemente il rifiuto del dipendente di presentarsi non può considerarsi rinuncia alla reintegra e il successivo licenziamento deve essere ritenuto illegittimo (Cass. 2/7/99 n. 6847, pres. De Tommaso, est. Figurelli, in D&L 1999, 926, n. S. Muggia, Invalido atto di recesso e eccezione d'inadempimento; in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 46, con nota di Fodale, Ordine di reintegrazione e modalità di attuazione)
  • L'integrale ripristino del rapporto di lavoro conseguente all'ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato comprende anche il diritto del datore di lavoro - la cui fattiva cooperazione è indispensabile e insostituibile per dare esecuzione al suddetto ordine - di esercitare autonomamente il proprio potere direttivo. Ciò implica la possibilità di includere nelle procedure di mobilità previste dalla l. n. 223/91 anche lavoratori da reintegrare, ancorché il relativo ordine non sia stato ancora materialmente eseguito, in quanto i criteri sulla cui base vanno individuati i lavoratori da collocare in mobilità non richiedono in alcun modo l'effettività del rapporto lavorativo, non risultando parametrabili su tale effettività. (Cass. 14/10/00, n. 13727, pres. Mercurio, est. Vidiri, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 343)
  • L'accertamento giudiziale dell'illegittimità del licenziamento ed il conseguente ordine di reintegrazione ex art. 18, l. n. 300/70, ricostituendo "de iure" il rapporto - da considerare, quindi, come mai risolto - ne ripristinano integralmente l'originario contenuto obbligatorio, comprendente anche il diritto del lavoratore a riassumere le abituali mansioni nel posto di lavoro occupato anteriormente. Pertanto, l'eventuale attribuzione del suddetto posto ad altro dipendente in sostituzione del lavoratore licenziato - che abbia impugnato l'atto di recesso - deve essere considerata provvisoria perché condizionata alla definitiva reiezione giudiziale della suddetta impugnativa. Ne consegue che, sopravvenuto l'ordine di reintegrazione, il datore di lavoro,quali che siano gli impegni assunti nei confronti del sostituto, deve in via prioritaria riammettere il lavoratore licenziato nel suo originario posto di lavoro e non può allegare l'avvenuta sostituzione come esigenza organizzativa per trasferire in altra sede di lavoro il dipendente reintegrato. (Cass. 14/10/00, n. 13727, pres. Mercurio, est. Vidiri, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 343)
  • E' ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 18 SL, come modificato dall'art. 1 L.D&L 2000, 85, n. FEZZI, Il referendum radicale sull'abrogazione dell'art. 18 S.L.) 11/5/90 n. 108, recante norme sull'abrogazione della reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di licenziamento riconosciuto come illegittimo (Corte Costituzionale 7 febbraio 2000 n. 46, pres. Vassalli, rel. Vari, in
  • Costituisce unità produttiva, nozione che ha carattere unitario nell'ambito dello Statuto di lavoratori, ogni articolazione autonoma dell'azienda, avente, sotto il profili funzionale e finalistico, idoneità a esplicare in tutto o in parte l'attività di produzione di beni o servizi (Cass. 14/6/99 n. 5892, pres. Ianniruberto, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 702, con nota di Lassandari, Nozioni consolidate e argomentazioni oscure in materia di trasferimento del prestatore)
  • Sotto il profilo dei requisiti dimensionali della tutela reale, a norma dell’art. 18 SL, un’unità produttiva deve considerarsi priva di autonomia – con la conseguenza che il numero dei relativi dipendenti va sommato a quello dei lavoratori operanti presso l’unità produttiva a cui la medesima fa capo – se la stessa ha scopi puramente strumentali e ausiliari rispetto ai fini produttivi dell’impresa (Pret. Milano 30/4/99, est. Vitali, in D&L 1999, 716)
  • Deve escludersi che il conseguimento della pensione di anzianità nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento integri, nell’area della tutela reale, una causa di impossibilità della reintegrazione del lavoratore licenziato nel proprio posto di lavoro. Il godimento della pensione di anzianità può avere invece rilievo unicamente ai fini della liquidazione del risarcimento danno subito per effetto del licenziamento illegittimo (Cass. 20/4/99 n. 3907, pres. Lanni, est. Picone, in D&L 1999, 687)
  • L’art. 4, 2° comma, L. 11/5/90 n. 108, che esclude dall’area di applicazione delle tutele contro il licenziamento i prestatori di lavoro ultra sessantenni in possesso dei requisiti pensionistici deve essere interpretato come riferibile unicamente a coloro che hanno diritto alla pensione di vecchiaia (Cass. 20/4/99 n. 3907, pres. Lanni, est. Picone, in D&L 1999, 687)
  • La reintegrazione del lavoratore, disposta in conseguenza di un licenziamento illegittimo, è incoercibile limitatamente all'assegnazione delle mansioni. E' invece illecito il comportamento datoriale, consistente nel rifiuto della fisica riammissione in azienda, che configura l'elusione di una misura cautelare a difesa del credito, punibile ai sensi dell'art. 388 cpv., c.p. (Pret. Catanzaro 19/3/99, est. Brawin, in Riv. Giur. lav. 2000, pag. 315, con nota di Gargiulo, Sulla sanzionabilità ex art 388 cpv. c.p. dell'omessa reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato)
  • Non è fondata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300-ritenuta in contrasto (in un caso di impugnazione di un licenziamento per presunta inidoneità alle mansioni) a)-con l'art. 3 Cost., laddove essa, "in violazione di ogni elementare principio di uguaglianza e ragionevolezza, addossa la responsabilità risarcitoria ad un soggetto al quale non è addebitabile l'evento da cui tale responsabilità trae origine, in forza di una sorta di responsabilità oggettiva ingiustificata ed incompatibile con i principi del nostro ordinamento; b)-con l'art. 27 (recte: art. 24) Cost., laddove nella sostanza impedisce al datore di lavoro di far valere in giudizio, in via di eccezione, l'insussistenza dell'obbligo risarcitorioCost., ma costituisce legittimo esercizio di discrezionalità politica da parte del legislatore; sia perché-essendo pacifico in giurisprudenza che la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all'art. 5 dello Statuto non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di merito-il datore di lavoro, nel momento in cui opta per l'immediato licenziamento del dipendente, anziché chiedere, secondo le normali regole contrattuali, la risoluzione giudiziaria del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce a suo rischi, che rientra nel principio del "rischio d'impresa", secondo una scelta del legislatore chiaramente volta a tutela del soggetto più debole; sia perché quanto alla prescrizione di danno minimo pari a cinque mensilità di retribuzione, il legislatore ha operato un non irragionevole bilanciamento complessivo per il fatto di aver simmetricamente riconosciuto al datore di lavoro l'esercizio della facoltà di recesso, idonea ad incidere unilateralmente ed immediatamente nella sfera di interessi del lavoratore; sia, infine, perché non sussiste alcuna lesione dell'invocato art. 24 Cost., operando la garanzia costituzionale della difesa entro i limiti del diritto sostanziale. (Corte Costituzionale, 23/12/1998, Pres.Rel. Santosuosso, in Argomenti dir. lav. 2003, 369) posto a suo carico"-sia perché la predeterminazione di un risarcimento minimo, spettante in ogni caso, risponde ad una prescrizione legale che, per essere configurata in una misura realistica, non contrasta con l'art. 3 Granata,
  • Il lavoratore reintegrato ex art. 18 SL ha diritto di essere riammesso nel medesimo posto di lavoro occupato al momento dell’illegittimo licenziamento, essendo irrilevante la circostanza che al posto di lavoro da lui precedentemente occupato sia stato nel frattempo adibito altro lavoratore (Pret. Milano 20/12/97, est. Muntoni, in D&L 1998, 451)
  • È inammissibile l’istanza di sospensione ex art. 431 c.p.c. proposta nei confronti dell’ordine di reintegrazione del lavoratore emesso ai sensi dell’art. 18 SL (Trib. Roma 10/12/97, pres. Sorace, est. Blasutto, in D&L 1998, 476)
  • Non ottempera all'ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato, emesso ai sensi dell'art. 700 cpc, il datore di lavoro che si limiti al pagamento della retribuzione senza effettiva riammissione in servizio del lavoratore; in tal caso, il giudice che ha reso il provvedimento può, ex art. 669 duodecies, determinare le modalità di esecuzione del provvedimento stesso, ordinando al datore di lavoro di rimuovere gli ostacoli frapposti all'effettiva ripresa del lavoro da parte del dipendente (Trib. Roma 20/11/95, pres. Zecca, est. Torrice, in D&L 1996, 533, nota CASTALDO, L'<> delle misure cautelari in caso di inottemperanza all'ordine di reintegra)