In genere

 

  • La compiuta giacenza della raccomandata inviata al domicilio del lavoratore è idonea a fondare la presunzione legale di conoscenza della lettera di licenziamento che contiene.
    Tribunale e Corte d’appello, nel respingere la domanda di una lavoratrice diretta all’annullamento del licenziamento disciplinare intimatole, per intervenuta decadenza dal potere di impugnazione entro 60 giorni ai sensi dell’art. 6, l. 604/66, avevano giudicato valida la comunicazione del licenziamento avvenuta per compiuta giacenza della raccomandata inviata al domicilio della lavoratrice, e ciò sebbene la società datrice di lavoro avesse omesso di produrre in giudizio copia dell’avviso immesso nella cassetta. I giudici di merito avevano in particolare ritenuto idonea a dimostrare il perfezionamento del procedimento notificatorio la produzione della ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative di Poste Italiane dalle quali si desumevano la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l’ufficio postale e la sua restituzione al mittente all’esito della compiuta giacenza. La Cassazione, nel rigettare il ricorso della lavoratrice, osserva che: (i) la presunzione legale di conoscenza degli atti unilaterali diretti a un determinato destinatario, di cui all’art. 1335 c.c., opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato nella norma e può essere superata solo allorché sia fornita la prova contraria dell’impossibilità di averne notizia senza colpa da parte del destinatario; (ii) nel caso di specie, la presunzione di conoscenza della lettera di licenziamento non si fonda sulla sola prova della spedizione della raccomandata, avendo la società datrice di lavoro documentato anche le attività svolte dall’agente postale incaricato della consegna e la compiuta giacenza; (iii) la lavoratrice, dal canto suo, non è stata invece in grado di fornire la prova dell’impossibilità di avere notizia della comunicazione senza colpa, essendo la comunicazione pervenuta all’indirizzo che ella stessa aveva fornito al datore di lavoro, e non potendosi ritenere sufficiente a vincere la presunzione la mera allegazione di non avere mai rinvenuto l’avviso di giacenza nella sua casella postale. (Cass. 31/5/2023 n. 15397, Pres. Raimondi Rel. Michelini, in Wikilabour, Newsletter n. 11/23)
  • L’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, ex art. 6, comma 1, della legge n. 604 del 1966, può efficacemente essere eseguita in nome e per conto del lavoratore dal suo difensore previamente munito di apposita procura scritta, senza che il suddetto rappresentante debba comunicarla o documentarla al datore di lavoro nel termine di sessanta giorni, perché, ferma la necessaria anteriorità della procura, è sufficiente che il difensore manifesti di agire in nome e per conto del proprio assistito e dichiari di avere ricevuto apposito mandato; il datore di lavoro convenuto in giudizio può contestare l’idoneità dell’impugnativa stragiudiziale sottoscritta dal solo difensore, anche se in precedenza non si sia avvalso della facoltà a lui concessa dall’art. 1393 c.c. (Cass. 13/4/2021 n. 9650 - Pres. Berrino - Rel. Amendola - P.M. Sanlorenzo (conf.) - D.R.E. c. Poste Italiane S.p.a.)
  • Ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento ex art. 6, c. 2, L. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32, c. 1, L. n. 183 del 2010, deve essere considerato idoneo, dopo la sentenza della Corte cost. n. 212 del 2020, anche il deposito di un ricorso cautelare anteriore alla causa, ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 c.p.c. (Cass. 15/2/2021 n. 3818, Pres. Di Paolantonio Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 549)
  • L’allegazione e prospettazione di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro non vale ad escludere l’applicabilità della decadenza ex art. 32, L. n. 183/2010, in quanto pure in tale ipotesi non si può prescindere dall’accertamento di un rapporto di lavoro anche in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto. (Trib. Reggio Calabria 7/2/2021, ord., Pres. e Rel. Sicari, in Lav. nella giur. 2021, con nota di A. Romeo, (Presunto) unico centro di imputazione del rapporto di lavoro e decadenza dall’impugnazione del licenziamento, 754)
  • È costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), la mancata previsione anche del ricorso per provvedimento d’urgenza ex artt. 669-bis, 669-ter e 700 c.p.c., quale atto idoneo ad impedire l’inefficacia dell’impugnazione del comma 1 dell’art. 6, L. n. 604 del 1966 e a dare accesso alla tutela giurisdizionale, se posta in comparazione con l’idoneità riconosciuta, invece, dalla stessa disposizione censurata alla richiesta di attivazione della procedura conciliativa o arbitrale. Ed è altresì contraria al principio di ragionevolezza (riconducibile anch’esso all’art. 3 Cost.), in riferimento alla finalità sottesa alla previsione del termine di decadenza, essendo la domanda di tutela cautelare idonea a far emergere il contenzioso insito nell’impugnazione dell’atto datoriale. Invero, una volta definita la vicenda cautelare, ben può il datore di lavoro assumere l’iniziativa per far venir meno ogni incertezza sul rapporto giuridico sostanziale - ove ne residui alcuna - promuovendo egli stesso il giudizio di merito (massima non ufficiale). (Corte Cost. 14/10/2020 n. 212, Pres. Morelli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2021, con nota di D. Borghesi, La Consulta inserisce forzosamente il ricorso ex art. 700 c.p.c. tra quelli che impediscono la decadenza dell’impugnazione del licenziamento, 50)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 2, L. 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dall’art. 32, comma 1, L. 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, oltre che dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, anche dal deposito del ricorso cautelare anteriore alla causa ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 c.p.c. (Corte Cost. 14/10/2020 n. 212, Pres. Morelli Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2021, con nota di F. Chietera, Ricorso cautelare ante causam e decadenza ex art. 32, L. n. 183/2010 di Francesca Chietera, 155)
  • In tema di impugnazione del licenziamento, in caso di attivazione del procedimento stragiudiziale di conciliazione, ogniqualvolta esso non abbia esito positivo, per le parti insorge l’onere di depositare il ricorso giudiziario entro i successivi 60 giorni, rimanendo irrilevante la distanza temporale rispetto alla primitiva impugnazione stragiudiziale. (Trib. Venezia 7/3/2020, Giud. Menegazzo, in Lav. nella giur. 2020, 998)
  • In caso di avvenuta impugnazione stragiudiziale di un licenziamento individuale a mezzo fax prima del compimento del 60° giorno, il termine per il deposito del ricorso decorre dalla spedizione dell’atto di impugnazione e non dalla conclusione del predetto periodo di 60 giorni. (Cass. 3/10/2016 n. 19710, Pres. Di Cerbo Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2017, 200)
  • La raccomandata contenente la comunicazione del licenziamento che sia stata inviata a mezzo del servizio postale si presume conosciuta, ex art. 1335 c.c., nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, salvo che questi non provi di non averne avuto notizia; ne deriva che da tale data decorre il termine per impugnare il recesso intimato dal datore di lavoro. (Cass. 11/8/2016 n. 17062, Pres. Di Cerbo Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2016, 1124)
  • L’art. 6, comma 2, L. n. 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1, comma 38, L. n. 92 del 2012, deve essere interpretato, nel caso di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della L. n. 300 del 1970, e successive modifiche, nel senso che, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che, nel termine di centottanta giorni ivi previsto, venga proposto un ricorso secondo il rito di cui ai commi 48 ss. dell’art. 1 della stessa L. n. 92 del 2012 (nella fattispecie la S.C. ha di conseguenza ritenuto inidoneo a evitare l’inefficacia il deposito nel termine di un ricorso ante causam ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (Cass. 14/7/2016 n. 14390, Pres. Macioce Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2016, 1015)
  • Una volta impugnato il licenziamento per mancanza di giusta causa e di giustificato motivo, non è poi possibile dedurre in secondo grado la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio o ritorsivo, non essendo consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, anche quando il bene richiesto rimanga immutato, essendo, nella fase di gravame, precluse le modifiche che comportino anche solo una emendatio libelli, permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e solo ove sussistano i gravi motivi previsti dalla legge ex art. 420 c.p.c. (Cass. 5/7/2016 n. 13674, Pres. Venuti Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2016, 1017)
  • In ipotesi di rifiuto del tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. il termine di decadenza ex art. 6, co. 2, ultimo periodo, della l. 604 del 1966 decorre dal momento in cui il diniego viene portato a conoscenza dell’istante e non trova applicazione la sospensione ex art. 410, co. 2, c.p.c. per la durata della conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, atteso che l’art. 6 legge 604/1966 prevede espressamente l’ipotesi in questione ed è norma speciale. (Trib. Milano 12/11/2014 n. 10790, ord., Est. Colosimo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Frabrizio Ferraro, “Brevi note sulla sospensione della decadenza nel tentativo facoltativo di conciliazione”, 489)
  • La tempestiva proposizione dell’impugnativa del licenziamento con le forme dell’art. 1, co. 48, l. 92/2012 impedisce definitivamente la decadenza di cui all’art. 6, co. 2, l. n. 604/1966, anche qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile per errore sul rito. (Trib. Firenze 7/10/2014, Giud. Rizzo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Angelo Danilo De Santis, “Errore sul rito, inammissibilità dell’impugnativa del licenziamento e impedimento della decadenza”, 478)
  • L’impugnazione del licenziamento può essere fatta anche da un rappresentante del lavoratore a condizione che la procura o la ratifica dell’operato del rappresentante, a opera del lavoratore, avvenga per atto scritto avente data certa anteriore alla scadenza del termine di decadenza. Non può valere quale ratifica la procura ad litem conferita dal lavoratore in vista del giudizio, qualora sia stata rilasciata successivamente alla scadenza del termine di impugnazione del recesso. (Cass. 8/4/2014 n. 8197, Pres. Lamorgese Est. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2014, 709)
  • Il licenziamento si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore, anche se l’efficacia – ossia la risoluzione del rapporto di lavoro – è differita a un momento successivo, con la conseguenza che il termine di decadenza di 60 giorni, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 604 del 1966, decorre dalla comunicazione del licenziamento e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto. (Cass. 24/3/2014 n. 6845, Pres. Stile Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2014, 710)
  • Il decorso del termine previsto a pena di inefficacia va ancorato al momento dell’invio della raccomandata di impugnativa del licenziamento. (Trib. Isernia 3/3/2014, Giud. Ciccarelli, in Lav. nella giur. 2014, 615)
  • Nel caso in cui sia esclusa l’applicabilità della tutela reintegratoria, deve ritenersi rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012 e, conseguentemente, si deve pronunciare il rigetto del ricorso stesso. (Trib. Milano 22/2/2014, Giud. Martello, in Lav. nella giur. 2014, 617)
  • Nel caso in cui sia esclusa l’applicabilità della tutela reintegratoria, deve ritenersi rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012 e, conseguentemente, si deve pronunciare il rigetto del ricorso stesso. (Trib. Milano 22/2/2014, Giud. Martello, in Lav. nella giur. 2014, 617)
  • Va disposta la trasmissione degli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite in relazione alle questioni di massima di particolare importanza relative a) all’ammissibilità nella fase sommaria del c.d. rito Fornero del rilievo e della decisione di questioni di rito; b) all’ammissibilità, proponibilità o fruibilità del medesimo rito da parte del datore di lavoro per l’accertamento della legittimità del licenziamento intimato, questione dalla cui risoluzione dipende anche l’esito dell’ulteriore concernente l’ammissibilità in fase sommaria della domanda riconvenzionale proposta dal lavoratore. (Cass. 18/2/2014 n. 3838, Pres. Mammone Est. Blasutto, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Domenico Dalfino, “Obbligatorietà del c.d. rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisioni di questioni nella fase sommaria”, e di Dino Buoncristiani, “Successivo o anche preventivo controllo di validità di un licenziamento”, 380)
  • Il nuovo rito per l’impugnazione dei licenziamenti non prevede che, in primo grado, il giudice delle due fasi debba essere diverso e a una diversa conclusione non può pervenirsi nemmeno per via interpretativa, trattandosi di un procedimento bifasico (nel quale l’ordinanza opposta costituisce un mero provvedimento interinale non suscettibile di giudicato), al quale non si applica l’obbligo di astensione per aver “conosciuto” la causa “in altro grado”, procedimento che appare privo di affinità con quello ex art. 28 Stat. Lav. (rispetto al quale la Corte Cost. ha affermato l’applicabilità dell’art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c.) e che “nasce ab origine come affidato al medesimo giudice per una scelta precisa del Legislatore”. Ciò nonostante, dalla considerazione che la seconda fase può assumere valore impugnatorio, con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae, deriva il rilevante e non manifestamente infondato sospetto di incostituzionalità di tale disciplina per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Trib. Milano 27/1/2014, ord., Pres. ed Est. Manfredini, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Filippo Maria Giorgi, 577)
  • È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. e 1, comma 51, legge 28 giugno 2012, n. 92 (disposizioni materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), nella parte in cui non prevedono l’obbligo di astensione per l’organo giudicante (persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma 1, l. n. 92/2012 che abbia pronunciato l’ordinanza ex art. 1, comma 49, l. n. 92/2012, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. (Trib. Milano 27/1/2014, Pres. e Rel. Manfredini, in Lav. nella giur. 2014, 293)
  • La legge 28 giugno 2012, n. 92, meglio nota come riforma Fornero, di immediata applicabilità al pubblico impiego privatizzato limitatamente alle norme di azione e di carattere processuale, pur introducendo un rito speciale per l’impugnativa dei licenziamenti individuali, anche disciplinari, non preclude il ricorso all’azione monitoria ordinaria prevista dall’art. 700 c.p.c., soggetta, tuttavia, ad un controllo giudiziale più stringente in ordine all’allegazione dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora). (Trib. Napoli 9/1/2014, G.U. Barbato, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Paola Cosmai, 787)
  • La sentenza emessa nell’ambito del procedimento ex art. 1, comma 51, L. 28 giugno 2012, n. 92 deve essere dichiarata nulla ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c. se emessa dallo stesso giudice che ha giudicato nella prima fase conclusasi con ordinanza ai sensi dell’art. 1, comma 49, legge cit. (Corte app. Milano 13/12/2013, Pres. Sala Rel. Pizzi, in Lav. nella giur. 2014, 190)
  • Oggetto della decadenza di cui all’articolo 6 della legge n. 604/1966 è l’impugnazione del licenziamento dapprima per via extragiudiziale (nel termine di 60 giorni), poi, per via giudiziale (entro il termine di 180 giorni), e ciò a prescindere dal tipo di tutela (ossia di sanzione in caso di illegittimità del recesso) richiesta nelle conclusioni. Si deve, perciò, reputare che, con l’impugnazione del recesso e con la richiesta di tutela processuale ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav., dichiarata tempestiva nell’ordinanza del 12 luglio 2013 il ricorrente avesse già posto in essere il comportamento necessario per impedire la menzionata decadenza, ossia la proposizione dell’azione giudiziaria contro la risoluzione del rapporto (in tale ipotesi, il ricorrente aveva sostenuto la discriminatorietà del licenziamento con esito, però, avverso). Una volta, così, impedita la decadenza, null’altro termine risulta poi decorrere. (Trib. Milano 10/12/2013, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2014, 189)
  • L’articolo 1 della legge n. 92/2012 prevede che con il tiro introdotto dai commi 47 e ss. della medesima legge possano essere affrontate tutte le questioni pregiudiziali rispetto alle domande ex art. 18 della legge n. 300/1970. Poiché tale disposizione parla di “questioni” e non di domande, deve ritenersi che non sia consentito proporre in via principale con il ricorso ex art. 1, comma 48, le domande di accertamento del carattere subordinato del rapporto in generale, né quelle di accertamento della titolarità del rapporto in capo a un datore di lavoro diverso da quello formalmente risultante (NDR nel caso di specie sulla sussistenza di un unico centro di imputazione del rapporto). (Trib. Roma 9/12/2013, Giud. Buconi, in Lav. nella giu. 2014, 191)
  • Nel procedimento disciplinato dal cd. “rito Fornero” non possono essere proposte domande fondate su fatti costitutivi diversi rispetto a quelli rilevanti ai fini della decisione sulla legittimità del licenziamento ex art. 18 l. n. 300/1970; esse devono quindi essere dichiarate improponibili, senza che si possa provvedere alla separazione dei procedimenti ed al mutamento del rito. (Trib. Roma 9/12/2013, ord., in Lav. nella giur. 2014, con commento di Luigi Andrea Cosattini, 799)
  • Non è proponibile con il procedimento di cui all’art. 1, commi 47 e ss., l. n. 92/2012 la domanda con la quale il lavoratore licenziato chiede al Giudice di accertare che il datore di lavoro “sostanziale” è diverso da quello “formale” (nel caso di specie, pluralità di società facenti capo ad un unico centro di imputazione di interessi). La questione può essere invece affrontata incidentalmente e la decisione su di essa va assunta nell’ambito di un provvedimento di merito che statuisca sulla fondatezza o meno della domanda riguardante la legittimità del licenziamento. (Trib. Roma 9/12/2013, ord., in Lav. nella giur. 2014, con commento di Luigi Andrea Cosattini, 799)
  • L’art. 134 c.p.c. non si applica solo alle ordinanze istruttorie ma a qualsiasi tipo di ordinanza emessa in udienza, perché la conoscibilità del provvedimento deriva appunto dalla circostanza della pronunzia in udienza e dell’inserimento nel relativo verbale (tale principio è riferibile anche all’ordinanza che definisce la prima fase del c.d. rito Fornero NDR). (Da ciò discende che l’ordinanza, laddove emessa in udienza, non necessita di comunicazione da parte della Cancelleria, pertanto il termine per l’opposizione decorre dalla data dell’udienza stessa NDR). (Corte app. Roma 21/11/2013, in Lav. nella giur. 2014, 88)
  • La l. n. 92/2012, nei commi 47 e seguenti dell’art. 1, disciplina un modello procedimentale, non certamente nuovo nel processo civile, c.d. bifasico, costituito da una fase preliminare e necessaria, prettamente sommaria, e una fase successiva ed eventuale, non soltanto a cognizione, ma anche a istruttoria piena. Il rapporto tra le due fasi è quello tipico di un momento di cognizione sommaria – previsto dal legislatore principalmente a scopi acceleratori – e una fase successiva, eventuale, a cognizione piena, non sovrapponibile per quanto attiene ai profili soggettivi, oggettivi e procedimentali alla prima, e quindi non comportante la necessità di dover ripercorrere, entro stretti e già delimitati binari, l’itinerario logico già seguito per pervenire all’adozione del provvedimento opposto. (Corte app. Brescia 25/9/2013, Pres. Nuovo Rel. Finazzi, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Filippo Collia, 1066)
  • Non sussiste l’interesse ad agire del datore di lavoro, il quale, con le forme del cd. rito Forneo, proponga domanda di accertamento della legittimità del licenziamento intimato al lavoratore. (Trib. Palermo 10/6/2013, ord., in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Domenico Dalfino, “Obbligatorietà del c.d. rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisioni di questioni nella fase sommaria”, e di Dino Buoncristiani, “Successivo o anche preventivo controllo di validità di un licenziamento”, 380)
  • Nella fase sommaria del cd. rito Fornero è inammissibile la domanda riconvenzionale (nella specie, relativa alla legittimità del licenziamento, alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni, proposta dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, che, a sua volta, aveva chiesto accertarsi la legittimità del licenziamento intimato. (Trib. Palermo 10/6/2013, ord., in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Domenico Dalfino, “Obbligatorietà del c.d. rito Fornero (anche per il datore di lavoro) e decisioni di questioni nella fase sommaria”, e di Dino Buoncristiani, “Successivo o anche preventivo controllo di validità di un licenziamento”, 380)
  • Il lavoratore che impugna il licenziamento, in presenza di un periculum qualificato, può agire col procedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in ragione della sua differenza rispetto al nuovo rito previsto dalla l. n. 92/2012 che, invece, si profila come rito sommario. (Trib. Ravenna 18/3/2013, ord., Giud. Riverso, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Giorgio Bolego, “Il licenziamento disciplinare nel prisma della disciplina introdotta dalla l. n. 92/2012”, 549)
  • La norma intervenuta a prorogare il termine previsto dal primo comma dell’art. 6, l. n. 604 del 1966 pare riguardare il differimento del termine di 60 giorni unicamente riferito all’impugnazione del licenziamento, con esclusione di tutte le altre fattispecie per le quali il collegato lavoro ha pure imposto il nuovo regime di decadenze, in coerenza con lo scopo della norma che è quello di far emergere tutto il contenzioso entro i termini fissati dalla legge. (Trib. Milano 12/11/2012, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2013, 203)
  • I commi 49 e 57 dell’art. 1 l. n. 92 del 2012 (c.d. “Riforma Fornero”) distinguono una prima fase sommaria dal successivo giudizio di opposizione. Le regole istruttorie che presiedono alle due fasi sono nettamente differenti: nella prima fase vengono ammessi i mezzi istruttori indispensabili laddove, solo in sede di opposizione, valgono le ordinarie regole della cognizione piena. Lo stesso giudice persona fisica può definire (oltre che la prima fase) anche la fase eventuale di opposizione perché qualitativamente diverso è l’oggetto della cognizione: il fumus di fondatezza della domanda nella fase sommaria, sulla base di una istruttoria ridotta; il merito pieno nella eventuale fase di opposizione, sulla base di una istruttoria totale. La fase eventuale di opposizione nel c.d. “rito Fornero”, infatti, non ha carattere impugnatorio. (Trib. Piacenza, 12/11/2012, ord., Est. Picciau, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Mara Congeduti, 158)
  • Il Tribunale di Milano è stato chiamato a pronunciarsi circa l’ambito di applicabilità della proroga disposta dal comma 1 bis aggiunto all’art. 32 del c.d. Collegato Lavoro; in particolare se questa concerna il solo licenziamento oppure anche le altre ipotesi diverse da questo previste dall’art. 32, commi 3 e 4, l. 4 novembre 2010, n. 183. (Trib. Milano 29/9/2011 n. 4404, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Claudio Menicagli, 489)
  • In tema di impugnazione del licenziamento, per impedire il termine decadenziale basta depositare (entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento) la richiesta di procedura obbligatoria di conciliazione presso la Commissione di conciliazione. Il termine di sessanta giorni si sospende dal deposito di tale istanza perché è irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di contratto del lavoratore, il momento in cui l’ufficio provinciale del lavoro provvede a comunicare al datore la convocazione per il tentativo di conciliazione. Non è necessario, pertanto, che l’atto di impugnazione del licenziamento pervenga all’indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall’art. 6, l. n. 604/66 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare. (Cass. 2/12/2010 n. 24434, Pres. Roselli Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2011, 207)
  • Nel procedimento di impugnazione del licenziamento, il lavoratore, dinanzi all’esistenza di un gruppo più o meno articolato e complesso, può cautelarsi formulando diverse ipotesi di reintegrazione, a seconda di quale sia l’effettivo datore di lavoro individuato dal giudice. Non è precluso alla parte formulare domande alternative o tra loro subordinate. Ma una volta accertato in fatto, con adeguata motivazione, che l’effettivo datore di lavoro ovvero il “dominus” del rapporto di lavoro è la società capogruppo, correttamente il giudice di merito dispone la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nei confronti di tale società. (Cass. 21/9/2010 n. 19931, Pres. Vidiri Est. Di Nubila, in Orient. Giur. Lav. 2011, 130)
  • L'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6, L. n. 604/66, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre il termine menzionato, atteso che - in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte Costituzionale - l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato a un servizio - idoneo a garantire un adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta tra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa (art. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole equilibrio degli interessi coinvolti. (Cass. 14/4/2010 n. 8830, Pres. Carbone Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2010, 729, e in D&L 2010, con nota di Stefano Muggia, "Impugnazione del licenziamento: rileva la data di spedizione", 574, e in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di D. Buoncristiani, "Tempestiva l'impugnazione se è avviato nei termini il procedimento di comunicazione", 899) 
  • Al lavoratore che non abbia tempestivamente impugnato il licenziamento è precluso l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del recesso e, conseguentemente, la tutela risarcitoria in base alle leggi speciali, né il giudice può conoscere dell'illegittimità del licenziamento per ricollegare al recesso illegittimo le conseguenze risarcitorie di diritto comune, in quanto l'ordinamento prevede, per la risoluzione del rapporto di lavoro, una disciplina speciale, con un termine breve di decadenza (sessante giorni) all'evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici. (Cass. 3/3/2010 n. 5107, Pres. Roselli Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Daniele Iarussi, 1123)
  • La decadenza dall'impugnativa del licenziamento impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, poiché non consente di far accertare in sede giudiziale l'illegittimità del recesso. L'azione di diritto comune può essere esercitata, anche in caso di decadenza, soltanto in via residuale per far valere profili di illegittimità del recesso che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti, individuali o collettivi. (Cass. 5/2/2010 n. 2676, Pres. Roselli Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Daniele Iarussi, 1123, e in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Dario Scimè, "Per la Cassazione il diritto del lavoro, almeno per la fattispecie del licenziamento, è ancora un hortus conclusus", 80)
  • Il lavoratore che decade dall'impugnativa del licenziamento non può, in un secondo momento, chiedere il risarcimento dei danni derivanti dal recesso illegittimo secondo l'azione ordinaria. Se l'onere di impugnare nel termine di sessanta giorni non viene assolto, infatti, il giudice non può conoscere dell'illegittimità del licenziamento nemmeno per ricollegare, di per sé, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune. (Cass. 5/2/2010 n. 2676, Pres. Roselli Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Daniele Iarussi, 1123)
  • Il lavoratore che decada dal termine per impugnare il licenziamento non può farne accertare l’illegittimità in giudizio e, pertanto, non potrà invocare né le tutele previste dalle leggi speciali, né il risarcimento del danno ai sensi della disciplina di diritto civile, poiché la decadenza preclude la possibilità di accertare il fatto costitutivo del diritto. Resta, tuttavia, salva la possibilità di esercitare l’azione risarcitoria di diritto comune per far valere i motivi di illegittimità del licenziamento che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale, come nei casi di licenziamento ingiurioso o del licenziamento pubblicizzato con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore. (Cass. 4/5/2009 n. 10235, Pres. Ianniruberto Rel. Stile, in Riv. It. Dir. Lav. 2010, con nota di Paolo Emilio Rossi, “La formazione del consenso nel contratto estintivo del rapporto di lavoro subordinato”, 824)

  • La decadenza dall'impugnativa del licenziamento preclude non solo l'azione reintegratoria ex art. 18 SL, ma anche la tutela risarcitoria di diritto comune, salvo che non sia dedotto un comportamento illecito diverso e ulteriore rispetto alla mera illiceità del recesso per difetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e alla perdita della retribuzione.  (Trib. Bolzano 30/1/2009, Est. Puccetti, in D&L 2009, con nota di Peter Michaeler, "La doppia vita del 'padroncino', vero trasportatore e vero subordinato", 719)
  • Con riguardo all'impugnazione stragiudiziale del licenziamento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 6 l. n. 604/1966, nel caso di dichiarazione a mezzo telegramma ex adverso contestata, il giudice, dopo aver accertato che il lavoratore non ha dato prova di aver sottoscritto l'originale consegnato all'ufficio postale di partenza, deve compiere indagini circa la sussistenza delle ulteriori due ipotesi dall'art. 2705 c.c. (aver consegnato personalmente o fatto consegnare l'originale del telegramma all'ufficio di partenza), che comunque legittimerebbero l'efficacia probatoria del telegramma e impedirebbero la decadenza dall'impugnazione. (Cass. 6/10/2008 n. 24660, Pres. Celentano Est. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Andrea Rondo, "Impugnazione del licenziamento a mezzo di telegramma, onere della prova e poteri del giudice", 355)
  • L'impugnazione del licenziamento individuale è tempestiva, ossia impedisce la decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, qualora la lettera raccomandata sia, entro il termine di sessanta giorni ivi previsto, consegnata all'ufficio postale e ancorché essa venga recapitata dopo la scadenza di quel termine. (Cass. 4/9/2008 n. 22287, Pres. Mattone Est. Roselli, in Orient. giur. lav. 2008, 728, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Marina Garattoni, "La Corte di Cassazione estende anche all'impugnazione stragiudiziale del licenziamento i principi della notifica di atti giudiziari", 412) 
  • Una volta osservato il termine previsto dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 con l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 1442 c.c., decorrente dalla comunicazione del recesso, senza che tale termine possa restare interrotto dal compimento di una divesra attività, quale l'istanza per il tentativo di conciliazione stragiudiziale. (Cass. 1/12/2008 n. 28514, Pres. ed Est. Mattone, in Lav. nella giur. 2009, 412) 
  • L'impugnazione del licenziamento individuale è tempestiv, ossia impedisce la decadenza di cui all'art. 6, L. n. 604/1966, qualora la lettera raccomandata sia, entro il termine di sessanta giorni ivi previsto, consegnata all'ufficio postale e ancorché essa venga recapitata dopo la scadenza di quel termine. (Cass. 4/9/2008 n. 22287, Pres. Mattone Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Orsola Razzolini, 1245) 
  • Poiché la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche, devolute al giudice, dei fatti che il datore di lavoro ha posto a base del recesso, la impugnazione della sentenza di primo grado che ha dichiarato la legittimità o illegittimità del licenziamento per sussistenza o insussistenza della giusta causa comprende la minor domanda relativa alla declaratoria della legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, e abilita il giudice di appello a pronunciarsi in tal senso anche in mancanza di espressa richiesta della parte, senza che vi sia lesione dell'art. 112 c.p.c. (Cass. 17/1/2008 n. 837, Pres. Mercurio Rel. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 520)
  • La mancata impugnazione del licenziamento nel termine di decadenza legale preclude l'accertamento dell'illegittimità del recesso ai fini della tutela sia reale che risarcitoria di diritto speciale (art. 18 St. Lav.) e di diritto comune (art. 1218 e art. 1453 c.c.), in quanto viene a mancre il presupposto necessario consistente proprio e soltanto nella dedotta illegittimità (nel caso di specie, il lavoratore non aveva fatto alcun cenno a qualche fatto illecito extracontrattuale da cui potesse derivare un'azione risarcitoria diversa da quella derivante dal licenziamento inteso come atto negoziale unilaterale del datore di lavoro incidente sul contratto. (Cass. 14/5/2007 n. 11035, Pres. Mattone Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Alessio Muratorio, 879)
  • Qualora, dopo aver già promosso un giudizio per l'impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore proponga nuovo giudizio contenente impugnazione del medesimo licenziamento per violazione della L. 223/91, lo stesso deve ritenersi ammissibile in quanto il divieto di proporre nuove domande opera solo all'interno dello stesso giudizio e non ne preclude uno nuovo, basato su una diversa causa petendi. (Trib. Parma 13/4/2007 Est. Brusati, in D&L 2007, con nota di Alba Civitelli, "Sull'impugnazione dello stesso licenziamento per due distinti ricorsi", 923)
  • La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento ai sensi dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970. Ne consegue che, nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata la decadenza dall'impugnazione è concesso al lavoratore di esperire la normale azione risarcitoria in base ai principi generali della responsabilità contrattuale o extracontrattuale, facendo valere i relativi presupposti, diversi da quelli previsti dalla normativa sui licenziamenti e tali da configurare l'atto di recesso come idoneo a determinare un danno risarcibile. (Cass. 10/1/2007 n. 245, Pres. De Luca Est. Figurelli, in Lav. nella giur. 2007, 826)
  • Il licenziamento del dipendente che abbia già rassegnato le dimissioni è da considerarsi tamquam non esset e non può essere oggetto di impugnazione nemmeno quando detta impugnazione sia proposta al fine di rimuovere conseguenze ulteriori, diverse dalla cessazione del rapporto, che la legge riconnette all'esistenza o meno di un licenziamento (nella specie, l'impossibilità per il pubblico dipendente di accedere nuovamente a un pubblico concorso per l'assunzione ex art. 2, 2° comma, DPR 27/3/01 n. 220). (Trib. Milano 28/12/2006, Est. Peragallo, in D&L 2007, 266)
  • La mancata impugnazione del licenziamento (nel termine fissato, a pena di decadenza, dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604) preclude al lavoratore licenziato l'azione diretta a ottenere l'accertamento della sua illegittimità, presupposto per conseguire il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ovvero dell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ma non preclude l'azione risarcitoria da fatto illecito, per la quale è comunque richiesta la ricorrenza di un fatto ingiusto che sia accompagnato al licenziamento, quale, per esempio, un licenziamento ingiurioso, un licenziamento come atto finale di una azione di "mobbing", un licenziamento pubblicizzato al di fuori dell'azeinda con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore. (Cass. 12/10/2006 n. 21833, in ADL 2007, con nota di Luca Zaccarelli, "Ancora sulle conseguenze della tardiva impugnazione del licenziamento illegittimo", 517)
  • La manxcata impugnazione del licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo (nel termine fissato, a pena di decadenza, dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e, per i licenziamenti collettivi, dal terzo comman dell'art. 5 della legge 23 luglio 1991, n. 223) preclude al lavoratore licenziato non solo l'azione diretta a conseguire il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, ovvero dell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ma anche l'azione risarcitoria di diritto comune ai sensi degli artt. 1218 e 1453 c.c. Se l'onere della tempestiva impugnazione non è assolto, il giudice non può conoscere dell'illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare al recesso datoriale conseguenze risarcitorie di diritto comune. (Cass. 21/8/2006 n. 18216, Pres. Mileo Est. D'Agostino, in ADL 2007, con nota di Luca Zaccarelli, "Le conseguenze della tardiva impugnazione del licenziamento illegittimo", 245)
  • Il comportamento di un'infermiera di casa di cura privata che, nello svolgimento di attività di proselitismo religioso presso i parenti, tenta recidivamente di dissuadere i medesimi dallo svolgere le terapie, asserendo la natura demoniaca dei loro sintomi, e sostenendo che il datore, ben consapevole dell'inutilità delle cure, li trattiene in degenza per ragioni di profitto economico, può integrare gli estremi della giusta causa di recesso e costituisce quindi, a maggior ragione, esigenza obiettiva idonea a giustificare l'allontanamento definitivo del lavoratore dal contesto nel quale tali fatti si sono verificati; conseguentemente il dipendente che sia idoneo alle mansioni successivamente attribuitegli a seguito di tale allontanamento, non può impugnare il licenziamento invocando la sua idoneità a quelle precedenti. (Trib. Firenze 31/7/2006, Est. Taiti, in D&L 2007, con nota di Lisa Amoriello, "I provvedimenti datoriali alla luce del complicato intreccio fra oggettivo e soggettivo", 527)
  • Per evitare la decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento, è sufficiente che il lavoratore comunichi, entro il termine di decadenza previsto dall'art. 6 della L. 15/7/66 n. 604, all'organo amministrativo la richiesta di conciliazione prevista dall'art. 410, 2° comma, c.p.c., mentre la comunicazione di tale richiesta al datore di lavoro da parte dell'amministrazione può avvenire anche dopo la scadenza del termine di decadenza. (Cass. 19/6/2006 n. 14087, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in D&L 2006, con nota di Sara Vinciguerra e Giuseppe Bulgarini D'Elci, "Licenziamento: per evitare la decadenza dall'impugnazione basta l'avvio del tentativo di conciliazione", 891)
  • Il dovere di fedeltà, sancito dall'art. 2105 c.c., si sostanzia nell'obbligo del lavoratore di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro e di tutelarne in ogni modo gli interessi; pertanto, rientra nella sfera di tale dovere il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore-datore di lavoro nel medesimo settore produttivo o commerciale, senza che sia necessaria, allo scopo, la configurazione di una vera e propria condotta di concorrenza sleale, in una delle forme stabilite dall'art. 2598 c.c. Nell'ipotesi di impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore per assunta violazione del suddetto dovere di fedeltà, incombe al datore di lavoro l'onere di riscontrare rigorosamente i comportamenti attraverso i quali si sarebbe realizzata l'infedeltà del dipendente e, pertanto, la gravità della condotta di inaffidabilità tale da legittimare la sanzione del licenziamento. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stata accolta l'impugnativa del licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un medico dipendente di una struttura medesima presso altri laboratori per indagini soprattutto sugli allergeni, senza che, però, fosse emersa un'idonea prova, incombente sulla datrice di lavoro, sui singoli casi comportanti la violazione ripetuta  dell'obbligo di fedeltà, anche in considerazione della circostanza che l'avviamento di pazienti presso altri istituti privati poteva essere in ipotesi giustificato dalla inidoneità del laboratorio appartenente all'azienda da cui dipendeva il lavoratore a effettuare particolari complessi tipi di analisi e dalla necessità di osservare tempi più brevi per lo sviluppo di altre indagini). (Cass. 19/4/2006 n. 9056, Pres. Mattone Est. Lupi, in Lav. nella giur. 2006, 1019)
  • Una volta osservato il termine previsto dall’art. 6, L. n. 604/1966 con l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 1442 c.c., senza che tale termine possa restare idoneamente interrotto dal compimento di una diversa attività, come nel caso in cui, nel corso del suddetto termine, sia intervenuta la costituzione di P.C. del datore di lavoro nel processo penale instaurato nei confronti del lavoratore, siccome l’azione risarcitoria fatta valere in sede penale non equivale alla predetta azione di annullamento, differenziandosene sia con riguardo al petitum sia che alla causa pretendi. (Cass. 13/12/2005 n. 27428, Pres.Sciarelli Rel. Di Cerbo, in Lav. Nella giur. 2006, 602)
  • Con riguardo all’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604, nel caso di dichiarazione a mezzo di telegramma, incombe a colui che assume esserne il mittente la dimostrazione dell'esistenza delle condizioni richieste dall'art. 2705 c.c. perché il documento abbia l’efficacia probatoria della scrittura privata, che dall’altra parte sia stata contestata, fornendo la prova dell’incarico a consegnare, o dell’avvenuta consegna e anche mediante presunzioni. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto idoneamente provata la provenienza del telegramma contenente l’impugnativa di licenziamento da parte della lavoratrice sulla base del possesso della copia conforme del telegramma stesso). (Cass. 23/12/2003 n. 19689, Pres. Prestipino Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Mauro Dallacasa, 1169)
  • Per provare l'avvenuto recapito all'indirizzo del datore di lavoro dell'impugnativa di licenziamento (quale atto recettizio ex art. 1335 c.c.) il lavoratore può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, e quindi anche di presunzioni. (Cass. 30/7/2002, n. 11302, in Riv. it. dir. lav.2003, 400, con nota di Gilda Del Borrello, Sulla sede datoriale competente a ricevere l'atto d'impugnazione del licenziamento).
  • Per indirizzo del datore di lavoro si intende un luogo che, per collegamento ordinario, o normale frequenza, o preventiva indicazione, appartenga alla sfera di dominio del destinatario. Pertanto, quando non sia contestato che il licenziamento provenga dalla sede regionale della società datrice di lavoro, è sufficiente, per escludere la decadenza ex art. 6, l. n. 604/1966, il tempestivo invio della impugnazione del licenziamento presso detta sede. (Cass. 30/7/2002, n. 11302, in Riv. it. dir. lav.2003, 400, con nota di Gilda Del Borrello, Sulla sede datoriale competente a ricevere l'atto d'impugnazione del licenziamento).
  • La comunicazione al datore di lavoro, da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro, della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento da parte del lavoratore, avvenuta nel termine di cui all'art. 6, l. 15/7/66, n. 604, impedisce la decadenza sancita nella medesima norma (Cass. 13/7/01, n. 9554, pres. Trezza, est. De Matteis, in Dir. lav. 2001, pag. 321)
  • L'impugnativa per iscritto del licenziamento a norma dell'art. 6, l. n. 604/66 può essere validamente effettuata mediante telegramma inoltrato tramite l'apposito servizio di dettatura telefonica, sempreché l'invio del telegramma, anche se compiuto materialmente da parte di un altro soggetto e da un'utenza telefonica non intestata al lavoratore, avvenga per incarico ed a nome di quest'ultimo, il quale appaia autore della dichiarazione; in caso di contestazione in giudizio, l'interessato è onerato della prova dell'incarico anzidetto, che può essere fornita a mezzo di testimoni e per presunzioni (Cass. 5/6/01, n. 7620, pres. Santojanni, est. Toffoli, in Dir. lav. 2001, pag. 317)
  • Costituisce atto scritto idoneo a impugnare il licenziamento, secondo il combinato disposto degli artt. 6, l. n. 604/66 e 2705 c.c., il telegramma inviato mediante dettatura telefonica del testo, rimanendo a carico del mittente, in caso di contestazioni, l'onere della prova della provenienza del telegramma, che potrà essere offerta anche mediante elementi indiziari, precisi e concordanti (Cass. 30/10/00, n. 14297, pres. De Musis, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 371, con nota di Palla, Revirement della S.C. sulla legittimità dell'impugnazione del licenziamento mediante telegramma telefonico)
  • La mera accettazione del trattamento di fine rapporto ancorché non accompagnata da alcuna riserva non può essere interpretata, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dall'illegittimità del licenziamento, non sussistendo alcuna incompatibiltà logica e giuridica tra l'accettazione di detto trattamento e la volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, al fine di conseguire l'ulteriore diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta anche la concorrente motivazione della sentenza di merito circa l'irrilevanza della rinuncia a precedente impugnazione stragiudiziale in6, l. 604/66) (Cass. 21/3/00 n. 3345, pres. Genghini, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 467) riferimento ad un licenziamento orale, non soggetto all'onere di impugnativa a pena di decadenza previsto dall'art.
  • In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l'onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dall'art. 6 L. 15/7/66 n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l'apparente operatività del termine stesso in ragione dell'esecuzione che le parti danno alla clausola nulla. Si applica quindi la disciplina della nullità sicché in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l'illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l'accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all'estromissione dall'azienda ed il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del lavoro esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto stesso e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all'art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo (Cass. 8/3/00 n. 2647, pres. Lanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 452)
  • Il licenziamento privo della forma scritta non è soggetto al termine di decadenza di 60 giorni per la sua impugnazione (Cass. 27/7/99 n. 508, pres. Grossi, est. Ianniruberto, in D&L 1999, 889, n. Muggia, Violazioni gravi, tutela maggiore)
  • Il licenziamento irrogato per giusta causa può essere impugnato dal lavoratore anche mediante telegramma dettato per telefono, che ha efficacia di scrittura privata e costituisce ipotesi simile alla consegna di un atto scritto (Trib. Messina 15/7/99, pres. Savoca, est. Conti, in Riv. It. Dir. Lav. 2000, pag. 533, con nota di Cattani, sull'impugnazione del licenziamento mediante telegramma telefonico)
  • Non è necessaria l’impugnazione del licenziamento nel termine stabilito dall’art. 6 L. 15/7/66 n. 604 quando la domanda del lavoratore sia finalizzata unicamente al percepimento dell’indennità di preavviso ex art. 2118 c.c. (Trib. Milano 3/3/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 673)
  • L’acquiescenza alla risoluzione del rapporto e la rinuncia a impugnare il licenziamento non possono essere desunte dal fatto che il lavoratore abbia rilasciato quietanza a saldo di ogni diritto conseguente alla risoluzione del rapporto di lavoro, risolvendosi tale atto in una dichiarazione di scienza priva di qualsiasi valore negoziale (Cass. 26/7/96 n.6759, pres. Martinelli, est. Miani Canevari, in D&L 1997, 289, n. Muggia)
  • E' pienamente valida l'impugnazione del licenziamento da parte del solo sindacato anche qualora il lavoratore interessato non risulti iscritto all'associazione impugnante (Pret. Prato 20/7/95, est. Rizzo, in D&L 1995, 1026, nota CASAGNI, Note in tema di impugnazione del licenziamento di lavoratore non iscritto da parte del sindacato e di trasformazione del rapporto formalmente di apprendistato)
  • Il licenziamento orale esclude l'onere per il lavoratore di impugnare, a pena di decadenza, il licenziamento stesso nel termine dei sessanta giorni, in quanto la carenza di forma scritta – prevista quale requisito sostanziale dell'atto di recesso – comporta l'assoluta inidoneità ad avviare la procedura di licenziamento nei termini di legge; il provvedimento in questione può essere impugnato nel termine di prescrizione quinquennale (Trib. Napoli 8/9/94, pres. Baccari, est. De Luca, in D&L 1995, 201)