Sopravvenuta inidoneità fisica

  • In caso di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica, il mancato assolvimento dell’onere del repêchage comporta, senza alcun margine discrezionale da parte del giudice, lo stesso trattamento riservato al difetto di giurisdizione, vale a dire la reintegrazione del lavoratore e la corresponsione di un risarcimento monetario compreso entro le dodici mensilità in forza dell’art. 18, co. 7, l. n. 300/1970 (come modificato da l. n. 92/2012). (Cass. 12/12/2018 n. 32158, Est. Amendola, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di C. Valenti, “Licenziamento per sopravvenuta inidoneità: la Cassazione conferma l’applicazione della tutela ripristinatoria attenuata anche nei casi di violazione dell’onere del repêchage”, 264)
  • In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi nei luoghi di lavoro – purché comportanti un onere finanziario proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa e nel rispetto delle condizioni di lavoro dei colleghi dell’invalido – ai fini della legittimità del recesso, in applicazione dell’art. 3, co. 3-bis, del d.lgs. n. 216/2003, di recepimento dell’art. 5 della Direttiva 2000/78/Ce, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5. (Cass. 26/10/2018 n. 27243, Pres. Di Cerbo Est. Boghetich, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Aimo, “Inidoneità sopravvenuta alla mansione e licenziamento: l’obbligo di accomodamenti ragionevoli preso sul serio dalla Cassazione”, 145)
  • In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante da una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità di recesso, che discende, pur con riferimento a fattispecie sottratte ratione temporis all’applicazione dell’art. 3, comma 3-bis, del d.lgs. n. 216/2003, di recepimento dell’art. 5 della Dir. 2000/78/Ce, dall’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme agli obiettivi posti dal predetto art. 5. (Cass. 19/3/2018 n. 6798, Pres. Di Cerbo Est. Spena, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Aimo, “Inidoneità sopravvenuta alla mansione e licenziamento: l’obbligo di accomodamenti ragionevoli preso sul serio dalla Cassazione”, 145)
  • Nel caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, ricade sul datore di lavoro l’onere della prova che non gli è possibile impiegarlo in mansioni equivalenti in un ambiente compatibile con il suo stato di salute; sul medesimo datore incombe poi anche l’onere di contrastare eventuali allegazioni del dipendente, nei cui confronti è esigibile una collaborazione nell’accertamento di un possibile repêchage in ordine all’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli possa utilmente essere ricollocato. (Cass. 10/3/2015 n. 4757, Pres. Macioce Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2015, 635)
  • L’inidoneità permanente rileva quale impossibilità della prestazione lavorativa anche se accertata senza ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio (nella specie, relativa a un licenziamento di un infermiere seguito all’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da una forma di permanente inidoneità psico-fisica del lavoratore, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito che non avevano disposto alcuna CTU, atteso che, dalle risultanze probatorie in atti, emergeva con chiarezza che le condizioni di salute del lavoratore erano tali per cui egli avrebbe potuto svolgere solo mansioni aventi determinate caratteristiche, cioè di tipo sedentario, non stressanti e che non comportassero turni di notte; la società datrice di lavoro aveva dimostrato l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in mansioni equivalenti a quelle di appartenenza o anche inferiori, ma compatibili con il suo stato di salute, nell’ambito dell’organizzazione aziendale. In questa situazione la richiesta CTU sarebbe stata una “formalità superflua”, in quanto finalizzata ad accertare dati che già emergevano con evidenza dalle risultanze istruttorie, in quanto non era in discussione l’esistenza di una generica residua capacità lavorativa del lavoratore). (Cass. 26/4/2012 n. 6501, Pres. Lamorgese Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 717)
  • Nel caso in cui il motivo del licenziamento consista nella inidoneità permanente del lavoratore allo svolgimento delle mansioni per sopravvenuta infermità occorre anche fornire la prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, utilizzabili dall’impresa secondo l’assetto organizzativo di essa insindacabilmente stabilito dall’imprenditore. (Trib. Milano 24/1/2012, Giud. Tarantola, in Lav. nella giur. 2012, 412)
  • In tema di sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni assegnate, il licenziamento disposto dal datore di lavoro va ricondotto, ove il lavoratore possa essere astrattamente impiegato in mansioni diverse, al giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 l. n. 604 del 1966, con diritto al termine e all’indennità di preavviso, diversamente dall’ipotesi in cui la prestazione sia divenuta totalmente e definitivamente impossibile, senza possibilità di svolgere mansioni alternative, nel qual caso va ravvisata una causa di risoluzione del rapporto che non ne consente la prosecuzione, neppure provvisoria ai sensi dell’art. 2119 c.c., ed esclusa l’applicabilità dell’istituto del preavviso; ne consegue, con riguardo allo speciale rapporto di lavoro di lavoro dei piloti, che in caso di inidoneità permanente al volo resta preclusa al datore di lavoro la possibilità di disporre l’esecuzione di una prestazione lavorativa diversa – prevedendo il contratto collettivo di settore (art. 11), a favore del pilota dichiarato inidoneo, solamente un diritto di preferenza per le “nuove” assunzioni del personale di terra – con conseguente immediata risoluzione del rapporto di lavoro senza attribuzione, in mancanza di un diverso riconoscimento nel contratto collettivo, dell’indennità di preavviso (nella specie, la Suprema Corte, in applicazione dell’anzidetto principio, ha cassato con rinvio la decisione impugnata, dovendosi accertare se, nel caso concreto, il contratto collettivo attribuisse l’indennità di mancato preavviso anche nell’ipotesi di risoluzione del rapporto per inidoneità permanente al volo). (Cass. 29/3/2010 n. 7531, Pres. Roselli Est. Picone, in Orient. Giur. Lav. 2010, 474, e in in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Federico D'Aiuto, "Impossibilità sopravvenuta assoluta nella prestazione nel settore della navigazione: risoluzione di diritto o recesso unilaterale", 3)
  • L'esercizio dell'iniziativa economica privata, garantita dall'art. 41 Cost., non è sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall'autorità giurisdizionale, ma deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro (artt. 4, 35, 36 Cost.) e alla salute (art. 32 Cost., 2087 c.c.), con la conseguenza che non viola l'art. 41 cit. il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell'organigramma aziendale. (Cass. 13/10/2009 n. 21710, Pres. ed est. Roselli, in D&L 2009, 1058)
  • In caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore alle mansioni, quand’anche il ricorso ai mezzi offerti dalle avanzate tecnologie sia in grado di eliminare i gravosi sforzi fisici nell’esecuzione di determinati lavori, non è configurabile un obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposto dalla legge. (Cass. 19/8/2009 n. 18387, Pres. Ianniruberto Est. Picone, in Orient. Giur. Lav. 2010, con nota di Benedetto Fratello, “Limiti all’obbligo di cooperazione del datore di lavoro in caso di sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore”, 441)

  • Il datore di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso anche con l’impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua disponibilità ad accettarle. (Cass. 19/8/2009 n. 18387, Pres. Ianniruberto Est. Picone, in Orient. Giur. Lav. 2010, con nota di Benedetto Fratello, “Limiti all’obbligo di cooperazione del datore di lavoro in caso di sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore”, 441)

  • La sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore può giustificare il licenziamento solo se il datore di lavoro offre documentazione specifica che attesti la inidoneità stessa e dia prova di aver valutato correttamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili. (Trib. Ravenna 29/10/2007, ord., Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Stefano Tortini, 938)
  • In caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l'impossibilità di assegnare al lavoratore mansioni anche non equivalenti, a condizione che il lavoratore abbia, anche senza forme rituali, manifestato la propria disponibilità ad accettarle. (Cass. 6/3/2007 n. 5112, Pres. Mattone Est. Monaci, in D&L 2007, con nota di Andrea Bordone, "Inidoneità sopravvenuta della prestazione e repechage", 504)
  • È illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a seguito di sopravvenuta inidoneità fisica o psichica a svolgere le mansioni affidategli, allorchè il datore di lavoro, cui incombe il relativo onere, non provi l'impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, semprechè il rinvenimento di idonee mansioni non debba comportare una modifica dell'assetto organizzativo aziendale. (Trib. Firenze 4/7/2003, Est. Nuvoli, in D&L 2004, con nota di Irene Romoli "Sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni affidategli: un giustificato motivo oggettivo di licenziamento", 170)
  • Ai fini della responsabilità ex art. 2087 c.c., il datore di lavoro, che abbia acquisito conoscenza della malattia del lavoratore, suscettibile, con valutazione prognostica, di probabile od anche solo possibile ingravescenza oltre i limiti della sua naturale evoluzione negativa, e perciò tendente all'inidoneità alla mansioni affidategli, in ragione delle modalità di espletamento delle stesse, è legittimato al licenziamento solo previo accertamento di fatto, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ove congruamente e logicamente motivato, della sopraggiunta incompatibilità del dipendente alle mansioni e quindi dell'impossibilità di mantenimento del posto di lavoro in relazione al pregiudizio, da valutarsi in termini di certezza o anche di rilevante probabilità di aggravamento delle sue condizioni di salute per effetto dell'attività lavorativa in concreto svolta (Cass. 13/12/00, n. 15688, pres. Ianniruberto, est. Mazzarella, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 145)
  • In caso di impossibilità sopravvenuta parziale allo svolgimento della prestazione, sussiste il diritto del lavoratore ad essere assegnato a mansioni diverse ed equivalenti (semprechè sussistenti in azienda) ed anche inferiori, dietro manifestazione di consenso del lavoratore alla dequalificazione finalizzata alla salvaguardia del superiore interesse all'occupazione, per le cui richieste al datore di lavoro il lavoratore deve attivarsi precisando le residue attitudini professionali tali da rendergli possibile una diversa collocazione in azienda (nella fattispecie è stato anche ritenuto che il lavoratore certificato inidoneo alla mansione di operatore unico aeroportuale - caratterizzata intrinsecamente dall'attività di carico e scarico bagagli e zavorra - non può pretendere di permanere nella stessa mansione venendo esonerato dal compito principale e gravoso del carico e scarico, eliminabile eventualmente non già con mezzi e strumenti in dotazione dell'azienda ma con l'acquisto di mezzi ad hoc offerti dalle nuove tecnologie, non essendo configurabile un obbligo dell'imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all'accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposta dal decreto legislativo n. 626/94) (Cass. 5/8/00, n. 10339, pres. Genghini, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2083)
  • Nel caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore e di conseguente impossibilità della prestazione lavorativa - che è un'ipotesi nettamente distinta dalla malattia del dipendente (anche essa causa di impossibilità della prestazione lavorativa) in quanto ha natura e disciplina giuridica diverse, atteso che, a differenza della malattia ( avente carattere temporaneo), essa ha, invece, carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata e indeterminabile - è ravvisabile un giustificato motivo di recesso del datore di lavoro ex artt. 3 L. n. 604/66, 1463 e 1464 c.c., indipendentemente dal superamento del periodo di comporto, soltanto quando la sopravvenuta incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future prestazioni lavorative (ridotte) del dipendente (Cass. 14/12/99 n. 10465, est. Castiglione, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 439, con nota di Valente, Lavoro a tempo parziale e periodo di comporto tra vecchia disciplina e nuove disposizioni; in D&L 2000, 359, n. Veraldi, Rapporto di lavoro a tempo parziale e periodo di comporto)
  • Non è legittimo il licenziamento di una lavoratrice che abbia perso una parte della capacità lavorativa qualora risulti possibile al datore di lavoro modificare la propria organizzazione aziendale compatibilmente con le sopravvenute limitazioni della lavoratrice medesima; infatti, non può ritenersi onere eccessivo e sproporzionato per l'azienda, tale da escludere l'obbligo del cd. repêchage, il sopraggiunto forzato minore rendimento della lavoratrice - dipendente da oltre vent'anni - e la conseguente necessità di sopperirvi con altra forza lavoro (Trib. Milano 26 ottobre 1999, est. Frattin, in D&L 2000, 219)
  • La sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni alle quali è addetto non integra una causa di risoluzione per sopravvenuta impossibilità della prestazione ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., se non nei limiti della configurabilità del giustificato motivo ex art. 3, L. 15/7/66 n. 604, e quindi a fronte dell’onere gravante sul datore di lavoro di allegare e dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altra attività riconducibile alle mansioni già svolte o ad altre equivalenti o, se ciò è impossibile, ad altre inferiori, compatibilmente con l’assetto organizzativo dell’impresa (Cass. 7/8/98 n. 7755, pres. La Torre , est. Roselli, in D&L 1998, 1029)
  • Deve ritenersi illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore per presunta inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni, nel caso in cui il datore di lavoro, in violazione degli artt. 2087 c.c. e 48 D. Lgs. 19/9/94 n. 626, abbia omesso di introdurre mezzi meccanici atti ad alleviare gli sforzi fisici del lavoratore (nella fattispecie il lavoratore non è stato reintegrato nel posto di lavoro ex art. 18 SL, per intervenuto secondo licenziamento intimato per dichiarato superamento del periodo di comporto) (Pret. Monza, sez. Desio 15/12/97, est. Di Lauro, in D&L 1998, 765)