In genere

  • Va disposta la condanna della Repubblica Italiana la quale, avendo escluso, mediante l’articolo 4, paragrafo 2, della legge del 23 luglio 1991, n. 223, la categoria dei “dirigenti” dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’articolo 2 della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. (Corte di Giustizia 13/2/2014, C-596/12, Pres. Silva de Lapuerta Rel. Bonichot, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Donini, “Estensione della procedura di licenziamento collettivo ai dirigenti: un vuoto di tutela colmato?”, 366)
  • Dopo l’entrata in vigore della l. n. 223/1991, il licenziamento collettivo costituisce un istituto autonomo che si distingue dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, essendo specificatamente caratterizzato in base alle dimensioni occupazionali dell’impresa, al numero dei licenziamenti, all’arco temporale entro cui gli stessi sono effettuati, ed essendo inderogabilmente collegato al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell’operazione imprenditoriale di ridimensionamento dell’azienda. Ne deriva che, qualora il datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti intenda effettuare, in conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività di lavoro, almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni è tenuto all’osservanza delle procedure previste dalla legge stessa, mentre resta irrilevante che il numero dei licenziamenti attuati a conclusione delle procedure medesime sia eventualmente inferiore, così com’è inammissibile la “conversione” del licenziamento collettivo in licenziamento individuale. (Cass. 22/11/2011 n. 24566, Pres. Vidiri Rel. Meliadò, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Roberto Cosio, 476)
  • Ai fini dell'integrazione del presupposto quantitativo e temporale per la configurabilità di una riduzione di personale assoggettata alla disciplina sui licenziamenti collettivi di cui alla l. n. 223/91, rileva il giorno in cui si sia perfezionato ogni licenziamento, con la sua comunicazione al destinatario, e non quello di conseguimento dell'efficacia dopo il decorso del preavviso, mentre l'arco temporale di centoventi giorni si computa con inclusione del giorno iniziale (cioè del primo licenziamento), stante il chiaro tenore dell'art. 24, primo comma, l. n. 223/91 (da interpretarsi sulla base della direttiva comunitaria n. 75/117, 17/2/75) e la non pertinenza della regola sull'esclusione dal computo del "dies a quo", dettata dall'art. 155 c.p.c. allo scopo di mantenere integri i termini prescritti per il compimento degli atti del processo (Cass. 30/10/00, n. 14322, pres. De Musis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1019, con nota di Patanè, Licenziamenti collettivi e sanatoria degli atti viziati)
  • Sono illegittimi i licenziamenti collettivi comminati, in assenza della procedura di cui all’art. 4 L. 23/7/91 n. 223, in esecuzione di un accordo sindacale che individua come eccedentari tutti i dipendenti che hanno raggiunto la massima contribuzione utile per la pensione di anzianità, non avendo l’art. 59, 6° comma, L. 27/12/97 n. 449 efficacia derogatoria della normativa generale (Trib. Milano 14/9/99, est. Martello, in D&L 1999, 828, n. Franceschinis, Ferrovie dello Stato e licenziamenti collettivi. In senso conforme, v. Pret. Torino 16/4/99, est. Fierro, in D&L 1999, 829; Pret. Torino 20/5/99, est. Peyron, in D&L 1999, 829; Trib. Busto Arsizio 18 ottobre 1999, est. Guadagnino, in D&L 2000, 130; Trib. Genova 24 settembre 1999, est. Scotto, in D&L 2000, 131; Trib. Milano 28 dicembre 1999, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 2000, 347; Trib. Milano 28 gennaio 2000, pres. Mannacio, est. Sbordone, in D&L 2000, 347; Trib. Genova 26 gennaio 2000, pres. Russo, est. De Matteis, in D&L 2000, 348)
  • È manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 24 L. 23/7/91 n. 223, nella parte in cui escluderebbe dal suo campo di applicazione i dirigenti e funzionari, laddove non venga esplicitato in base a quale assunto dovrebbe giustificarsi la piena equiparazione tra le due categorie (Corte Cost. 18/7/97 n. 258, pres. Granata, rel. Ruperto, in D&L 1998, 64, n. PAGANUZZI)