Normativa comunitaria

  • Gli articoli 3, 5 e 6 della direttiva 2003/88/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, letti alla luce dell’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e dell’articolo 4, paragrafo 1, dell’articolo 11, paragrafo 3, e dell’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 89/391/Ce del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa di uno Stato membro che, secondo l’interpretazione che ne è data dalla giurisprudenza nazionale, non impone ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore. Corte di Giustizia 14/5/2019 C-55/18, Pres. Lenaerts Rel. Regan, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di F. Siotto, “Orario di lavoro e obbligo di registrazione con sistema ‘oggettivo, affidabile e accessibile’”, 688)
  • La direttiva del Consiglio 23/11/93 n. 93/104/Ce (concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro) come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22/06/00 n. 2000/34/Ce e la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4/11/03 n. 2003/88/Ce devono essere interpretate nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro in base alla quale non è considerato orario di lavoro il tempo dedicato ai servizi di guardia che un medico svolge secondo un regime di presenza fisica nel luogo stesso di lavoro, ma nel corso del quale non svolge alcuna attività effettiva. (Corte di Giustizia CE 11/1/2007 n. 437/05, Pres. e Rel. Schintgen, in D&L 2007, con nota di Giovanni Paganuzzi, ""Orario di lavoro, lavoro discontinuo e retribuzione", 369)
  • La direttiva del Consiglio 23/11/93 n. 93/104/Ce (concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro) come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22/06/00 n. 2000/34/Ce e la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4/11/03 n. 2003/88/Ce devono essere interpretate nel senso che non ostano all'applicazione da parte di uno Stato membro di una normativa che - ai fini del compenso per il lavoratore e con riguardo al servizio di guardia effettuato da quest'ultimo nel luogo di lavoro - prende in considerazione in modo diverso i periodi nel corso dei quali sono realmente effettuate prestazioni di lavoro e quelle durante i quali non è svolta alcuna attività lavorativa effettiva, purchè siffatto regime garantisca integralmente l'effetto utile dei diritti conferiti ai lavoratori dalle stesse direttive per la protezione effettiva della salute e della sicurezza di questi ultimi. (Corte di Giustizia CE 11/1/2007 n. 437/05, Pres. e Rel. Schintgen, in D&L 2007, con nota di Giovanni Paganuzzi, ""Orario di lavoro, lavoro discontinuo e retribuzione", 369)
  • La direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve essere interpretata nel senso che essa osta alla normativa di uno Stato membro che, per quanto attiene ai servizi di guardia effettuati dai lavoratori di taluni centri sociali e medico-sociali secondo il regime della presenza fisica sul luogo stesso di lavoro, preveda, ai fini del computo dell’orario di lavoro effettivo, un sistema di equivalenza come quello oggetto della causa principale, qualora il rispetto integrale delle prescrizioni minime stabilite dalla direttiva stessa ai fini di un’efficace tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori non sia garantito. (Corte di Giustizia CE 1/12/2005, Causa C-14/04, Pres. Timmermans, in Orient. Giur. Lav. 2005, 84)
  • Nell’ipotesi in cui la normativa nazionale preveda, segnatamente, ai fini della durata massima del lavoro settimanale, un tetto più favorevole ai lavoratori, i limiti massimi o tetti pertinenti nella verifica dell’osservanza delle norme di tutela previste dalla detta direttiva sono esclusivamente quelli previsti nella direttiva medesima. (Corte di Giustizia CE 1/12/2005, Causa C-14/04, Pres. Timmermans, in Orient. Giur. Lav. 2005, 84)
  • La norma prevista nella direttiva 93/103/CE che stabilisce la durata massima dell’orario di lavoro non può essere derogata da un contratto collettivo perché è necessario verificare l’effettivo consenso del singolo lavoratore, esplicitamente e liberamente espresso. Nel calcolo dell’orario di lavoro devono essere considerati integralmente i periodi lavorativi, incluse le fasi di inattività durante la permanenza in servizio. Le disposizioni di una direttiva comunitaria, che hanno un effetto diretto, possono essere invocate in un giudizio dinanzi ai tribunali nazionali solo nei confronti dello Stato. Malgrado le disposizioni non producano effetti orizzontali e non possano essere azionate nel caso di controversie tra privati, i giudici nazionali sono in ogni caso tenuti ad applicare il principio dell’interpretazione conforme e a considerare le norme di diritto interno tenendo conto del testo e delle finalità della direttiva per raggiungere il risultato perseguito nel testo comunitario. (Corte di Giustizia CE 5/10/2004, Cause riunite C-397/01 a C-403/01, Pres. Skouris Rel. Schintgen, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Annalisa Grieco, 617)
  • La Direttiva 93/104/Ce in tema di orario di lavoro va interpretata nel senso che il servizio di guardia che un medico svolge secondo il regime della presenza fisica in ospedale va considerato come rientrante interamente nell'orario di lavoro anche qualora all'interessato sia consentito di riposare sul luogo di lavoro durante i periodi in cui è richiesta la sua opera. La citata direttiva osta quindi alla normativa di uno Stato membro che qualifichi come periodi di riposo i periodi di inattività del lavoratore durante un servizio di guardia di tal genere. (Corte di Giustizia CE 9/9/2003, causa C-151/02, Pres. Rodriguez Iglesias, Rel. Schintgen, in D&L 2003, 582)
  • La direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, n. 93/104, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, va interpretata nel senso che un servizio di guardia che un medico svolge secondo il regime della presenza fisica in ospedale va considerato come rientrante interamente nell'orario di lavoro a norma della detta direttiva, anche qualora all'interessato sia consentito riposare sul luogo di lavoro durante i periodi in cui non è richiesta la sua opera, sicchè la medesima direttiva osta alla normativa di uno Stato membro che qualifichi come periodi di riposo i periodi di inattività del lavoratore durante un tale servizio di guardia. (Corte di Giustizia UE 9/9/2003 n. C 151/02, Pres. Rodriguez Iglesias Est. Grass, in Lav. nella giur. 2003, 1126, con commento di Andrea Allamprese)
  • È illegittima l'assegnazione di un orario di lavoro che non garantisce un periodo di riposo di almeno undici ore consecutive tra due turni di lavoro successivi, come stabilito dalla Direttiva 93/104/Ce,che, benchè non ancora attuata nell'ordinamento interno, costituisce certamente un importante criterio interpretativo del diritto interno per il Giudice chiamato a riempire di contenuto il diritto al riposo. (Trib. Lodi 22/11/2002, Est. Giuppi, in D&L 2003, 125, con nota di Giovanni Paganuzzi, "Collocazione dell'orario di lavoro nel full-time: esistenza e limiti dello ius variandi del datore di lavoro")
  • La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi comunitari derivanti dalla direttiva 23/11/93, 93/104/CE in materia di orario di lavoro, non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a detta direttiva (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. II, 9 marzo 2000, causa C-386/98, pres. Schintgen, rel. Skouris, in D&L 2000, 906)