In genere

  • L’esonero dal lavoro notturno, previsto dall’art. 53 d.lgs. 151/01 per i lavoratori con carichi di cura di figli in tenera età o soggetti disabili, trova applicazione anche nei confronti del personale di volo dell’aviazione civile. Da un’interpretazione sistematica è, infatti, da escludere tanto che l’art. 53 d.lgs. 151/01 sia derogato dal d.lgs. 185/05, che disciplina l’orario di lavoro per il personale di volo, giusta la diversa ratio essendi, quanto che esso sia stato abrogato dal d.lgs. 66/03, considerato il circoscritto campo di applicazione di quest’ultimo. (Trib. Verona 19/12/2018 n. 696, Giud. Angeletti, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Peruzzi, “Personale di volo ed esenzione dal lavoro notturno nel groviglio delle fonti”, 204)
  • È illegittima la comunicazione dei turni di lavoro con un preavviso inferiore alle quarantotto ore, in quanto lesiva della dignità dei lavoratori, che non possono ragionevolmente programmare il proprio tempo libero. Tale modalità è pertanto produttiva di un danno non patrimoniale alla vita di relazione (cd. danno esistenziale), che deve essere risarcito. (Corte app. Torino 12/4/2017, Pres. ed Est. Grillo Pasquarelli, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di M. Russo, “Mancato preavviso nella comunicazione dei turni di lavoro e danno esistenziale”, 45)
  • La clausola di preventiva disponibilità a effettuare la prestazione di lavoro nelle festività infrasettimanali, inserita in un contratto di lavoro individuale stipulato prima della liberalizzazione delle aperture nel settore terziario, non vincola i lavoratori a prestare il lavoro in quei giorni ma ha la sola funzione di dare evidenza a un’organizzazione aziendale nell’ambito della quale può manifestarsi l’esigenza di lavoro nelle giornate di festività, ferma restando la necessità di un accordo da concludere di volta in volta secondo i criteri di correttezza e buona fede, che tenga conto delle esigenze personali e familiari sopravvenute dei lavoratori. (Corte app. Trento 31/1/2017, Pres. ed Est. Maione, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di M. Lozito, “Sul ‘lavoro concordato’ nelle festività infrasettimanali”, 281)
  • Nel caso di lavoratori che non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce “orario di lavoro”, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della Direttiva n. 2003/88/Ce, il tempo che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio e i luoghi in cui si trovano il primo e l’ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro. (Corte di Giustizia 10/9/2015, C-266/14, Giud. Terza, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Serena Zitti, “Orario di lavoro e tempo di spostamento domicilio-clienti”, 3)
  • Il lavoratore ha il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose con la conseguenza che la rinunciabilità al relativo riposo è rimessa al solo accordo delle parti individuali. (Cass. 7/8/2015 n. 16592, Pres. Macioce Est. Blasutto, in Riv. It. dir. lav. 2016, con nota di Lorenzo Scarano, “Assolutezza e derogabilità del diritto di astenersi dal lavoro festivo, 138)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 18 bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f, del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213, riguardante le sanzioni per le violazioni sull’orario di lavoro, in quanto in contrasto con l’art. 76 della Costituzione, per mancato rispetto dei criteri direttivi contenuti nell’art. 2, comma 1, lettera c, della legge delega 1 marzo 2002, n. 39. (Corte Cost. 4/6/2014 n. 153, Pres. Silvestri Rel. Mattarella, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Vittoria Amato, 772)
  • Ai sensi di quanto previsto dall’art. 17 del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, per poter considerare come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato dal lavoratore dipendente di una società di pubblici servizi di trasporto in concessione per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto, è necessario che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale. (Cass. 24/4/2014 n. 9301, Pres. Vidiri Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 819)
  • Nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo alla fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. (Cass. 15/1/2014 n. 692, Pres. ed Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2014, 405)
  • Ove l’operazione di indossare la divisa e i dispositivi di protezione individuale sia eterodiretta dal datore di lavoro, che ne disciplini il tempo e il luogo di esecuzione, essa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo a essa necessario deve essere retribuito. (Cass. 8/2/2012 n. 1817, Pres. Roselli Est. Curzio, in D&L 2012, 543)
  • Rientra nell’orario di lavoro il tempo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni (nella specie la Corte Suprema, confermando sul punto la decisione della Corte territoriale, ha affermato che va considerato tempo di lavoro quello che il lavoratore utilizza per indossare la tuta e i dispositivi di protezione individuale, nonché il tempo di percorrenza dallo spogliatoio al reparto e viceversa). (Cass. 7/2/2012 n. 1697, Pres. Roselli Est. Curzio, in Lav. nella giur. 2012, 404)
  • Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa, anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro, la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa e, come tale, non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo a essa necessario deve essere retribuito. (Cass. 10/9/2010 n. 19358, Pres. Roselli Est. Di Nubia, in D&L 2010, 1139, e in Lav. nella giur. 2010, 1137)
  • Poiché nell’orario di lavoro rientra il tempo in cui il lavoratore sia comunque al lavoro a disposizione del datore di lavoro, in esso deve comprendersi anche quello destinato a indossare, in luogo e tempi fissati dal datore di lavoro, divise aziendali, con conseguente diritto alla retribuzione a titolo di compenso per lavoro ordinario, senza che in contrario rilevi l’essere previsto tale obbligo da disposizioni di legge tese a garantire la salute pubblica, il cui onere si scarica sul rischio di impresa. (Trib. Napoli 6/8/2010, Est. Mazzocca, in D&L 2010, 856)
  • Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va, quindi, sommata al normale orario di lavoro come straordinario), allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa. (Trib. Milano 23/6/2010, Giud. Pattumelli, in Lav. nella giur. 2010, 953)
  • Rientra nell’orario di lavoro – e come tale va retribuito a titolo di compenso di orario ordinario – anche il tempo impiegato a indossare, in luogo e tempo fissati dal datore di lavoro, indumenti (nella specie, indumenti intimi, tuta, scarpe antinfortunistiche e copricapo) finalizzati alla tutela dell’igiene nella produzione di prodotti alimentari, senza che in contrario rilevi l’essere previsto tale obbligo da disposizioni di legge, il cui onere economico va compreso nel rischio di impresa. (Corte app. Napoli 29/4/2010, Pres. Del Bene, in D&L 2010, 856)

  • Rientra nell’orario di lavoro – e come tale va retribuito a titolo di compenso di orario ordinario – anche il tempo impiegato a indossare, in luogo e tempo fissati dal datore di lavoro, indumenti (nella specie, indumenti intimi, tuta, scarpe antinfortunistiche e copricapo) finalizzati alla tutela dell’igiene nella produzione di prodotti alimentari, senza che in contrario rilevi l’essere previsto tale obbligo da disposizioni di legge, il cui onere economico va compreso nel rischio di impresa. (Corte app.Napoli 10/4/2010, Pres. ed Est. Del Bene, in D&L 2010, 855)

  • Il tempo utilizzato dai lavoratori per indossare e togliere abiti da lavoro rientra nella nozione di lavoro effettivo e come tale deve essere retribuito, se c’è il datore di lavoro che esige che la divisa sia indossata secondo tempistiche e modalità dallo stesso predeterminate. (Trib. Busto Arsizio 11/2/2010, Est. La Russa, in D&L 2010, con nota di Marcella Mensi, Profili retributivi afferenti il c.d. ‘tempo tuta’”, 838)

  • L'art. 53, 1° e 2° comma, D.Lgs. 26/03/01 n. 151, contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che stabilisce che non è obbligata a prestare il lavoro notturno la lavoratrice madre di un figlio in età inferiore a tre anni si applica anche al personale di volo dell'aviazione civile, considerato che il D.Lgs. 8/4/03 n. 66, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro, non ha abrogato le disposizioni in materia di orario di lavoro contenute nella previgente normativa di legge a tutela della maternità e della paternità e che il D.Lgs. 19/8/05 n. 185, di attuazione della Direttiva 2000/79/Ce relativa all'Accordo europeo sull'organizzazione dell'orario di lavoro del personale di volo dell'aviazione civile non ha inteso derogare alle disposizioni sull'orario di lavoro a tutela della maternità e della paternità contenute nel D.Lgs. 26/03/01 n. 151. (Trib. Busto Arsizio 16/9/2009, ord., Est. La Russa, in D&L 2009, 994)
  • Rientra nell’orario di lavoro – e pertanto va retribuito – qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività, compreso il tempo destinato a indossare all’interno del luogo di lavoro (e poi a dismettere a fine giornata lavorativa) una divisa aziendale. (Trib. Napoli 2/7/2009, Est. Ingrassia, in D&L 2010, 855)
  • L’art. 53, 1° e 2° comma, D.Lgs. 26/3/01 n. 151, contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, che stabilisce che non è obbligata a prestare lavoro notturno la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni è applicabile, a prescindere dal settore di appartenenza, alla generalità dei lavoratori e quindi anche al personale di volo dell’aviazione civile, senza che al riguardo possa assumere rilevanza alcuna né la normativa contenuta nel D.Lgs. 8/4/03 n. 66m, che ha modificato la previgente disciplina soltanto in materia di orario di lavoro e non anche di tutela della maternità e paternità, né la disciplina speciale del D.Lgs. 19/8/05 n. 185, sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile che nulla ha disposto in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità. (Trib. Busto Arsizio 18/5/2009, ord., Est. Molinari, in D&L 2009, con nota di Renato Scorcelli, “Tutela della maternità e della paternità ed esonero dal lavoro notturno per il personale di volo dell’aviazione civile”, 994)
  • Il tempo impiegato per indossare la divisa è da considerarsi lavoro effettivo, che deve pertanto essere retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario e obbligatorio per lo svolgimento dell'attività lavorativa. (Cass. 25/6/2009 n. 14919, Pres. Mattone Est. Vidiri, in D&L 2009, 693)
  • Il lavoratore che sia chiamato a svolgere servizi di reperibilità o pronta disponibilità in misura eccedente il limite massimo previsto dal Ccnl (nella specie il Ccnl comparto sanità) ha diritto al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per l'intervenuta limitazione alla possibilità di pieno riposo e di distacco dal lavoro; ciò indipendentemente dal fatto che nei predetti periodi di pronta disponibilità eccedenti il limite contrattuale sia poi stata effettivamente resa o meno la prestazione lavorativa (nella specie il Giudice ha liquidato un importo pari al doppio di quanto previsto dal Ccnl per la pronta dispinibilità, detratto quanto già percepito). (Trib. Milano 1/4/2009, Est. Gasparini, in D&L 2009, 767)
  • Il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità (nella specie si è escluso che fossero periodi di riposo intermedi quelli durante i quali, nel corso di un viaggio, l’autista di un autotreno, sprovvisto di cabina, lascia la guida al compagno, trattandosi, in tal caso, non di un riposo intermedio vero e proprio, bensì di semplice temporanea inattività). (Cass. 2/3/2009 n. 5023, Pres. Mannone Est. Monaci, in Orient. Giur. Lav. 2009, 151)
  • Nel caso in cui, per l'organizzazione e le esigenze aziendali (e, segnatamente, per compensare improvvise assenze), sussista la necessità di costituire una riserva di dipendenti che, in turnazione di disponibilità, svolgano la prestazione in orari non rigidamente predeterminati, la precostituzione da parte del datore di lavoro di un criterio di turnazione avente natura oggettiva generale e astratta (come può essere il criterio dell'anzianità di servizio) - peraltro, desunto da un accordo sindacale aziendale - non è viziata da arbitrarietà e, dunque, non viola gli obblighi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto lavorativo. (Cass. 28/5/2008 n. 13697, Pres. De Luca Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Federico Maria Putaturo Donati, "Sulla 'turnazione in disponibilità' e sulla precostituzione dei relativi criteri di riparto", 347)
  • Le esigenze di programmabilità del tempo libero, ravvisate espressamente dal legislatore nell'ambito del rapporto di lavoro part-time, sussistono, pur se in maniera meno pressante, anche nel contratto di lavoro a tempo pieno. Pertanto, l'art. 10 della l. 14 febbraio 1958, n. 138, che impone alle aziende esercenti autoservizi pubblici di linea extraurbani di affiggere i turni di servizio negli uffici, nelle autostazioni, nei depositi e nelle officine in modo che il personale ne possa prendere conoscenza, essendo rivolto a consentire ai lavoratori una ragionevole programmazione del proprio tempo in relazione agli impegni lavorativi, non deve essere interpretato nel senso che l'affissione possa avvenire a ridosso dell'inizio della prestazione lavorativa. (Cass. 23/5/2008 n. 12692, Pres. Senese Est. Stile, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Giorgio Bolego, "Sul potere del datore di lavoro di variare la collocazione dell'orario nel full-time", 825, e in Lav. nella giur. 2008, con commento di Chiara Gazzetta, 1147)
  • E' del tutto legittima perchè non si pone in contrasto né con l'art. 36 Cost., né con l'art. 2108 c.c. la condotta del datore di lavoro che - in presenza della contrattazione che predetermini, nell'esercizio dell'autonomia delle organizzazioni sindacali, un orario normale inferiore rispetto a quello massimo fissato per legge (ora individuato dall'art. 2 del D.Lgs. 66 del 2003) - corrisponda ai propri dipendenti, che abbiano superato il limite convenzionale senza superare quello (massimo) legale, un corrispettivo per il suddetto lavoro inferiore a quello prescritto dall'art. 2108 c.c. per l'orario straordinario (disciplinato attualmente dagli artt. 1, comma 2, lett. c), e 5 del citato D.Lgs. n. 66 del 2003), atteso che il dettato costituzionale deve essere letto non in relazione ai singoli elementi retributivi, ma al complessivo trattamento economico riconosciuto al lavoratore subordinato e, inoltre, perchè l'inderogabilità del menzionato art. 2108 c.c. opera soltanto in presenza di violazioni dei tetti massimi di "orario normale", previsti da norme legislative. (Cass. 16/7/2007 n. 15781, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2008, 193)
  • La variazione della collocazione temporale e l'aumento dell'orario di lavoro giornaliero disposti unilateralmente dal datore di lavoro - in mancanza, dunque del consenso del prestatore - intercorsa in un rapporto di lavoro part-time di tipo orizzontale è illegittima; neppure è possibile tale variazione al di là delle condizioni e delle modalità (preavviso e maggiorazione retributiva) prescritte a riguardo dal contratto collettivo applicato. (App. Bologna 17/5/2007, Pres. Castiglione Rel. Variale, in ADL 2008, con commento di Paola Primaverile, 1505)
  • Non è valida la sola intesa tra le parti sociali quale fonte derogatrice delle norme speciali in materia di orario di lavoro della gente di mare. Per questo scopo infatti è previsto un sistema più rigido rispetto alla normale disciplina in materia di orario, richiedendosi anche l'autorizzazione ministeriale. (TAR Liguria 2/4/2007 n. 722/06, Rel. Caputo, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Chiara Gazzetta, 1017)
  • E' giustificato - e non può pertanto essere sanzionato sul piano disciplinare - il rifiuto da parte del lavoratore di svolgere lavoro di sabato quando tale collocazione temporale del lavoro sia subordinata dal contratto collettivo a una procedura di controllo sindacale preventivo, che nel caso specifico non sia stata esperita. ass. 21/2/2007 n. 4011, Pres. Mattone Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Federico Maria Putaturo Donati, "Lavoro supplementare di sabato: inderogabilità del contratto collettivo e legittimità del rifiuto di rendere la prestazione indebitamente richiesta", 877)
  • L'istituzione del giornale di presenza degli insegnanti presso la scuola dell'infanzia nonchè l'individuazione di un docente con il compito di controllare le presenze e le assenze degli insegnanti sono atti illegittimi, perchè non fondato su di una fonte normativa specifica (di legge o contrattuale). (Trib. Grosseto 30/12/2006 Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2007, 837)
  • Il criterio per stabilire se il tempo necessario per indossare la divisa o uno specifico abbigliamento deve essere retribuito perchè da considerarsi parte del lavoro effettivo, è rappresentato dall'esistenza, o meno, in capo al prestatore di lavoro, della facoltà di scegliere tempo, luogo, modalità dell'indossare detta divisa, facendo parte degli atti di diligenza preparatoria rientranti nel lavoro effettivo solo quelle operazioni eterodirette e regolamentate dal datore. (Trib. Milano 5/4/2006, Est. Bianchini, in D&L 2006, con nota di Roberta Maddalena Paris, "Eterodeterminazione datoriale e libertà di scelta del prestatore di lavoro nelle attività c.d. preparatorie", 855)
  • Il tempo necessario al lavoratore per raggiungere, una volta cambiato, il reparto dove, timbrato l'orologio marcatempo, inizia a svolgere di fatto la prestazione lavorativa, deve essere retribuito poichè parte del lavoro effettivo, allorquando il dipendente sia tenuto a un tempo di percorrenza funzionale soltanto alle esigenze organizzative dell'azienda e sia assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare della medesima, mentre il tempo impiegato dal lavoratore dipendente dal varco di accesso dello stabilimento di grandi dimensioni allo spogliatoio assegnato è lavoro effettivo e come tale retribuito solo se una volta varcato il cancello d'ingresso dell'area aziendale il dipendente è assoggettato al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro senza la libertà di autodeterminazione. (Trib. Milano 5/4/2006, Est. Bianchini, in D&L 2006, con nota di Roberta Maddalena Paris, "Eterodeterminazione datoriale e libertà di scelta del prestatore di lavoro nelle attività c.d. preparatorie", 855)
  • In assenza di accordi collettivi o individuali, ovvero di particolari norme di legge, il datore di lavoro ha il potere di modificare unilateralmente l’orario di lavoro in quanto ciò fa parte del suo potere di organizzazione dell’attività lavorativa. I limiti del datore di lavoro di modificare l’orario lavorativo riguardano, infatti, esclusivamente i contratti a tempo parziale nei quali vi è l’esigenza imprescindibile di salvaguardare il diritto del lavoratore di usare come crede il tempo libero, esigenza questa che ovviamente è assente nei contratti di lavoro a tempo pieno, nel quale il tempo libero è quantitativamente assai minore ed è pertanto esclusivamente finalizzato al recupero delle energie psicofisiche. (Trib. Milano n 22/8/2005 n. 3266/05, Est. Tanara, in Lav. Nella giur. 2006, 7)
  • La violazione di cui all’art. 5, bis, r.d.l. n. 692 del 1923 e successive modificazioni, consistente nella omessa comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro, entro il termine delle ventiquattro ore, del ripetuto superamento del limite settimanale fissato per le ore di straordinario, è sanzionato, qualora l’infrazione si riferisca a più di cinque lavoratori e/o a più di cinquanta giorni in un anno, con la sanzione unica di cui all’art. 9, seconda parte, del citato r.d.l. 692 del 1923, venendosi a configurare un unico illecito cui deve applicarsi un’unica sanzione. (Cass. 7/6/2005 n. 11775, Pres. Mileo Est. Lamorgese, in Orient. Giur. Lav. 2005, 293)
  • L’art. 13, comma 1, L. n. 196/1997 ha operato un abbassamento del limite legale dell’orario normale di lavoro da 48 a 40 ore settimanali con contestuale attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di stabilire limiti di durata inferiore e di riferire l’orario normale di lavoro alla durata media in periodi ultrasettimanali. Il campo di applicazione della norma è tendenzialmente omnicomprensivo e il limite di durata fissato nella stessa trova applicazione al lavoro tout court indipendentemente dalla sua effettività e quindi anche nei confronti dei lavoratori discontinui quali ad esempio i conducenti di automezzi. Tale interpretazione è conforme alla disciplina comunitaria dell’orario di lavoro ed alla giurisprudenza della Corte di giustizia della CE. (Trib. Bolzano 9/8/2004, Est. Michaeler, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Daniele Simonato, 245)
  • Ove il datore di lavoro, nell'esercizio del proprio potere gerarchico ed organizzativo, imponga ai dipendenti di svolgere la prestazione indossando particolari indumenti (nella fattispecie, maglietta, pantaloni o gonna, grembiule, cappellino, pullover e collant per le donne), il tempo di vestizione e svestizione devono essere inclusi nell'orario di lavoro. (Trib. Milano 13/2/2004, Est. Porcelli, in D&L 2004, 371)
  • Rientra nell'orario di lavoro effettivo il tempo impiegato per spostarsi dalla sede aziendale al luogo della prestazione lavorativa allorchè si richieda al lavoratore di recarsi in azienda per conoscere la destinazione di volta in volta assegnata e, in tal modo, gli si preclude la possibilità di raggiungere la sede di lavoro direttamente dalla propria abitazione. (Trib. Firenze 10/3/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2003, 955, con nota di Lisa Giometti, "In tema di rapporti tra tempo di viaggio e tempo di lavoro, un nuovo contributo della giurisprudenza")
  • Il potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente l'orario di lavoro non è assoluto, ma trova un limite nei diritti e nei principi dell'ordinamento giuridico, quali tra gli altri il diritto al riposo, il diritto alla salute ed il principio di ragionevolezza. (Trib. Lodi 22/11/2002, Est. Giuppi, in D&L 2003, 125, con nota di Giovanni Paganuzzi, "Collocazione dell'orario di lavoro nel full-time: esistenza e limiti dello ius variandi del datore di lavoro")
  • I limiti disposti dal R.D.L. n. 692/23 all'orario giornaliero e a quello settimanale (non derogati dalla l. n. 196/97) sono autonomi e non alternativi (Cass. 4/12/00, n. 15419, pres. Ianniruberto, in Lavoro giur. 2001, pag. 431, con nota di Martinucci, Il lavoro straordinario nell'orario multiperiodale)
  • L'art. 4 R.D.L. n. 692/23 concede alla contrattazione collettiva la possibilità di ripartire l'orario massimo normale su periodi ultrasettimanali, disancorando così il computo dell'orario massimo normale dall'abituale parametro della settimana del calendario; tuttavia, prima dell'entrata in vigore della nuova regolamentazione dell'orario di lavoro, la legittimità delle disposizioni della contrattazione collettiva trova i suoi limiti nel rispetto continuo e costante (e cioè in ogni singola giornata di esecuzione dell'attività lavorativa ed in ogni periodo di 7 giorni lavorativi) dei tetti di 8 ore giornaliere e 48 settimanali, la cui osservanza è stata posta dal legislatore a garanzia della salute del lavoratore (Cass. 4/12/00, n. 15419, pres. Ianniruberto, in Lavoro giur. 2001, pag. 431, con nota di Martinucci, Il lavoro straordinario nell'orario multiperiodale)
  • L'art. 5 R.D. n. 1955/23 (non modificato sul punto dall'art. 13, l. n. 196/97), secondo il quale sono esclusi dal computo del lavoro effettivo i riposi intermedi, in via di principio è applicabile solo al lavoro continuo, ma può trovare estensivamente applicazione anche in caso di lavoro discontinuo del quale sia stata fissata una durata massima giornaliera; in questa ipotesi il criterio distintivo tra riposo intermedio e periodo di inattività va individuato nella condizione in cui versa il lavoratore che fruisce della pausa, che, se deve tenersi pronto ad una nuova prestazione, ha uno stato di disponibilità equivalente al lavoro effettivo, mentre, se può disporre a sua discrezione del relativo tempo libero, ancorché obbligato a rimanere nell'azienda e nei luoghi di lavoro, ha uno stato per cui l'interruzione deve essere intesa come riposo intermedio ed esclusa dal compimento dell'orario effettivo (Corte Appello Genova 27/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro giur. 2001, pag. 753, con nota di Piovesana, Prestazioni discontinue e riposi intermedi)
  • Non rientra nella nozione di orario di lavoro effettivo il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione della divisa di lavoro, allorché si tratti - come nella specie - di attività direttamente gestita dal lavoratore e sottratta, per contro, al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro (Trib. Torino 27/9/00, pres. Mancuso, est. Lanza, in Foro it. 2001, pag. 360)
  • Il contratto di lavoro stipulato per far fronte alle non programmabili esigenze del datore di lavoro per un numero di ore variabile a comando nell'arco di otto ore giornaliere e svoltosi di fatto per un orario inferiore a quello stabilito dal CCNL di categoria non costituisce una ipotesi di contratto a part-time e non è dunque soggetto ai relativi oneri di forma (nella specie, trattandosi di materia disciplinata dall'art. 5, l. n. 863/84, quella scritta ab substantiam). In tal caso il lavoratore ha diritto anche alle retribuzioni corrispondenti alle ore non lavorate, attesa la costante disponibilità di fatto impostagli (Cass. 7/7/00, n. 9134, pres. Sciarelli, est. Putaturo Donati, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 491, con nota di Marra, Le clausole del part-time elastico, tra incertezze giurisprudenziali e nuova disciplina legislativa)
  • Rientra nella nozione di personale direttivo di cui all'art. 1, r.d.l. n. 692/23, come chiarito dall'art. 3, n. 2, r.d.l. n. 1955/23, escluso dalla disciplina limitativa dell'orario di lavoro, l'intermediario responsabile della manutenzione degli impianti di un reparto rilevante dell'impresa (nella fattispecie, impianto di bicottura rapida di una fabbrica di ceramiche), il quale svolga mansioni che possono essere espletate soltanto al di fuori dell'orario di lavoro (Cass. 10/2/00 n. 1491, pres. Grieco, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 680, con nota di Marinelli, Intermedi e orari di lavoro)
  • E' illegittima la riduzione dell'orario di lavoro disposta in esecuzione di un accordo sindacale aziendale (cui non possa riconoscersi la natura di contratto di solidarietà, in difetto dei previsti requisiti di forma e di sostanza) ove manchi l'accettazione dei singoli lavoratori interessati (Trib. Roma 31 gennaio 2000, est. Sannite, in D&L 2000, 761)
  • In adesione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 170 del 1984, n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, deve ritenersi che il requisito della immediata applicabilità della normativa comunitaria nel territorio dello Stato sussista non solo per i regolamenti ma anche per le situazioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di giustizia delle comunità europee e per le direttive rivolte agli Stati membri qualora queste siano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise. In presenza di tali requisiti, le direttive possono essere fatte valere dai singoli davanti al giudice italiano nei confronti dello Stato (sia che quest’ultimo non le abbia tempestivamente recepite, sia che le abbia recepite in modo inadeguato), al fine di ottenere la disapplicazione della norma di diritto interno ad esse non conforme. Il giudice, a fronte di una tale istanza di disapplicazione, può provvedere direttamente ovvero rimettere la questione alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 117,2° comma, del trattato istitutivo della CEE, soluzione, quest’ultima, che è peraltro obbligatoria, ai sensi del 3° comma del citato art. 117, per la corte di Cassazione, sempre che il precetto recato dalla norma comunitaria non sia così chiaro da non lasciare alcun ragionevole dubbio sulla sua interpretazione (Alla stregua di tali principi la Suprema corte ha ritenuto fosse da disapplicare l’art. 5, L. 9/12/77, n. 903 nella parte in cui, in contrasto con la direttiva europea 9/2/76, n. 207 - la quale stabilisce il principio della parità fra uomo e donna anche nelle condizioni di lavoro, facendo salve solo le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità - imponeva, prima della riformulazione introdotta dall’art.17 L. 5/2/99, n. 25, il divieto assoluto di adibire le donne al lavoro notturno in aziende manifatturiere) (Cass. 6/8/99, n. 9983, pres. Tridico, in Dir. Lav. 2000, pag. 277, con nota di Monaco, Divieto di lavoro notturno femminile ed efficacia delle direttive comunitarie)
  • Il lavoratore entrando nello stabilimento si sottopone al potere direttivo dell’imprenditore ed è da tale momento che inizia la prestazione lavorativa. Se l’imprenditore ha prescritto l’uso del camice, il tempo per indossarlo rientra nell’orario di lavoro poiché l’obbligo di indossare una divisa imposta dall’imprenditore rappresenta manifestazione di soggezione al potere imprenditoriale (Cass.14/4/98 n. 3763, pres. Mileo, est. D’Angelo, in D&L 1998, 701)
  • L'orario di lavoro inizia quando il dipendente, entrando nell'impresa, si assoggetta alle disposizioni dell'imprenditore; il tempo impiegato, all'interno dell'unità produttiva, per indossare le divise rientra quindi nell'orario di lavoro, trattandosi peraltro dell'adempimento di un dovere che il datore di lavoro ha valutato come attinente alla posizione lavorativa (Trib. Milano 10/6/95, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1995, 973)
  • Qualora il CCNL applicato preveda che gli orari di lavoro debbano essere fissati dal datore di lavoro armonizzando le istanze del personale con le esigenze dell'azienda e sia configurabile in capo alla lavoratrice un interesse apprezzabile (e, comunque, prevalente su quello del datore di lavoro) al mantenimento di un determinato orario di lavoro in considerazione di particolari esigenze familiari, deve ritenersi illegittima la decisione del datore di lavoro di assegnare alla lavoratrice un nuovo orario di lavoro che non le consenta di far fronte a tali esigenze familiari (Pret. Milano 20/1/95, est. Frattin, in D&L 1995, 618)
  • La determinazione dell'orario di lavoro spetta al datore, in funzione delle esigenze produttive; è pertanto illegittimo un mutamento dell'orario di lavoro che, tenuto conto delle dette esigenze, risulti irragionevole e sia in contrasto con l'esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede; in tal caso deve ordinarsi il ripristino del precedente orario di lavoro (Pret. Milano 29/11/94, est. Atansio, in D&L 1995, 378)