In genere

  • L'uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del datore di lavoro, non incide direttamente sul contratto individuale di lavoro, modificandone il contenuto, ma opera come fonte eteronoma di regolamento, con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale; pertanto, in caso di trasferimento di azienda, l'uso aziendale subisce la stessa sorte del contratto collettivo aziendale applicato dal cedente ed è sostituito dal contratto collettivo aziendale del cessionario, anche se più sfavorevole. (Cass. 17/3/2010 n. 6453, Pres. De Luca Est. D'Agostino, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Giulio Quadri, "Uso aziendale e trasferimento d'azienda", 814)
  • In presenza di un uso aziendale relativo a benefici per i "dipendenti meritevoli, il giudizio di meritevolezza non può essere mai assolutamente discrezionale e insindacabile, in quanto esistono dei parametri oggettivi, desumibili dal principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.), oltre che da norme interne e dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che l'apprezzamento di meritevolezza del datore di lavoro è sempre suscettibile di censura e di controllo in sede giudiziale. (Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insindacabile il diniego di Alitalia alla concessione di biglietti aerei agevolati a un proprio dipendente, in presenza di un uso aziendale già accertato giudizialmente). (Cass. 14/5/2009 n. 11213, Pres. Battimiello Est. Nobile, in D&L 2009, 739)
  • Quanto ai requisiti necessari per la formazione di un uso aziendale e, quindi, la sua vincolatività, la Corte di Cassazione ha da tempo stabilito che non è sufficiente la mera reiterazione di comportamenti spontanei e migliorativi applicati alla generalità dei rapporti giuridici in cui sussiste la specifica situazione disciplinata, bensì occorre lo specifico intento negoziale di regolare per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo, specifico intento negoziale il cui onere probatorio è a carico di chi lo invoca. (Trib. Milano 24/12/2008, Est. Vitali, in Lav,. nella giur. 2009, 424) 
  • Gli usi aziendali - che rappresentano un reiterato comportamento del datore di lavoro il quale riconosce spontaneamente e in via continuativa a tutti i dipendenti, ovvero a ristrette e omogenee categorie di lavoratori, un trattamento non previsto né dalla contrattazione collettiva né dai contratti individuali di lavoro - vanno inclusi tra le c.d. fonti sociali eteronome del rapporto di lavoro, tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi aziendali sia i regolamenti aziendali, essendo diretti a conseguire una disciplina uniforme dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori dell'azienda; detti usi possono essere modificati unilateralmente solamente in melius. (Cass. 27/5/2008 n. 13816, Pres. Sciarelli Est. Ianniello, in D&L 2008, con nota di Angelo Beretta, "Natura e qualificazione dell'uso aziendale", 966)
  • La reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell'uso aziendale. Esso, in ragione dell'appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda, e che sono definite tali perché, non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda - agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. (Cass. Sez. Un. 20/11/2007 n. 26107, Pres. Carbone Rel. Amoroso, in ADL 2008, 1239, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1693)
  • L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo. Nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se non per violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva escluso il diritto dei lavoratori a percepire una integrazione al premio di rendimento corrisposto da un istituto di credito ritenendo insussistente l'uso negoziale per difetto dell'elemento soggettivo. (Rigetta, App. Palerm, 2 agosto 2004). (Cass. 11/7/2007 n. 15489, Pres. De Luca Est. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2008, 1152)
  • L’uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo che agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, presuppone non già una semplice reiterazione di comportamenti ma uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto lavorativo. Nella individuazione di tale intento negoziale non può prescindersi dalla rilevanza dell’assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se non per violazione di criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva escluso il diritto di lavoratori prepensionati ai sensi della legge n. 257 del 1992 a percepire il “completamento aggiuntivo di liquidazione”, sul presupposto che tale incentivo era stato corrisposto dall’azienda solo in occasione di prepensionamenti non agevolati da altri benefici di natura previdenziale). (Cass. 20/5/2004 n. 9262, Pres. Ravagnani Est. Morcavallo, in Orient. Giur. Lav. 2005, con nota di Claudio Mazza, “Usi aziendali ed elemento volontaristico”, 5)

  • La decisione unilaterale aziendale di sospendere la prassi di erogare incentivi ai lavoratori che optano per il prepensionamento è inidonea a far venir meno un uso aziendale che, secondo il più recente orientamento, agisce sul piano dei rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali collettive in vigore quelle più favorevoli dell'uso aziendale. Ai fini dei giudicare della legittimità della cessazione non può prescindersi dalla valutazione della rilevanza dell'assetto normativo positivo in cui esso si è manifestato e che inevitabilmente ne ha costituito la premessa, onde verificare se sussisteva uno specifico intento negoziale di regolare anche per il futuro determinati aspetti del rapporto di lavoro (il cui imprescindibile accertamento è demandato al giudice del rinvio) (Cass. 10/11/00, n. 14606, pres. Santojanni, est. Lamorgese, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 142)
  • Il trattamento di miglior favore riservato alla collettività dei dipendenti è espressione del potere di iniziativa economica del datore di lavoro, attuata con atti volontari che costituiscono una fonte di obbligazione quando integrano la fattispecie di uso aziendale, che si risolve in un nuovo assetto di regolamentazione collettiva nei rapporti di lavoro modificabile anche in peius sia dalle fonti sovraordinate (contratti collettivi nazionali e aziendali) sia dagli accordi individuali, limitatamente alle parti stipulanti (nella specie , la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come uso aziendale l'applicazione a tutti gli impiegati, a partire dal 1995, di un orario di lavoro ridotto rispetto a quello previsto dal contratto collettivo nazionale, e come tale vincolante per la società datrice verso tutti gli impiegati) (Cass. 17/2/00 n. 1773, pres. Grieco, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 598, con nota di Castelvetri, Ma l'uso aziendale esiste?)
  • Ove il sindacato deduca l’esistenza di una prassi modificativa in senso di maggiore elasticità delle prescrizioni espresse di un accordo aziendale, la prova relativa deve avere ad oggetto comportamenti chiaramente concludenti, e non può essere desunta dalla mera tolleranza costantemente dimostrata dall’azienda (Cass. 1/12/99, n. 13383, pres. Sommella, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 340, con nota di Papaleoni, Prassi e condotta antisindacale)
  • Poiché l'uso (o prassi) aziendale non si esaurisce nella mera reiterazione di un comportamento, ma deve rivelare l'intento negoziale di regolare anche per il futuro aspetti di lavoro, non si può prescindere dall'influenza che su di esso abbia esercitato, costituendone la premessa, l'assetto normativo positivo esistente al tempo in cui esso si è manifestato (nella specie, la società datrice di lavoro, nel periodo 1983-1985, aveva corrisposto un incentivo ai lavoratori disposti al prepensionamento, oltre alle somme dovute; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto tale prassi aziendale collegata alla specifica situazione normativa successivamente modificata) (Cass. 27/11/99 n. 13294, pres. D'Angelo, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 598, con nota di Castelvetri, Ma l'uso aziendale esiste?)