In genere

  • È ammissibile la domanda di risarcimento extracontrattuale nei confronti della Commissione e della BCE per violazione del diritto dell’Unione, in particolare per violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in relazione al comportamento tenuto da detti organi in ordine alla definizione delle condizioni apposte ai piani di salvataggio deliberati dal Meccanismo europeo di stabilità. (Corte di Giustizia, Gr. Sez., 20/9/2016, cause riunite da C-8715 a C-10/15, Pres. Lenaerts Est. Arabadjiev, in Riv. It. Dir. La. 2016, con nota di G. Bronzini, “Corte di Giustizia: verso la sindacabilità delle misure di austerity?”, 208)
  • L’art. 6, n. 2, lett. a), della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980, deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui il lavoratore svolga le sue attività in più di uno Stato contraente, il paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro, ai sensi di tale disposizione, è quello in cui o a partire dal quale, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano detta attività, il lavoratore adempie la parte sostanziale delle sue obbligazioni nei confronti del suo datore di lavoro. (Corte di Giustizia CE 15/3/2011, Causa C-29/10, Pres. Skouris Est. Toader, in Orient. Giur. Lav. 2011, 2)
  • L'art. 45 TFUE non osta a un sistema che, al fine di realizzare l'obiettivo di incoraggiare l'ingaggio e la formazione di giovani calciatori, garantisca alla società che ha curato la formazione un indennizzo nel caso in cui il giocatore, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro, a condizione che tale sistema sia idoneo a garantire la realizzazione del detto obiettivo e non vada al di là di quanto necessario ai fini del suo conseguimento. (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 16/3/2010, C-325/08, Pres. Skouris Rel. Ilesic, in Riv. it. dir. lav. 2011, con note di Valeria Capuano, "La libera circolazione dei calciatori nell'Unione Europea tra vecchie questioni e nuovi scenari: il caso Bernard", e Federico Siotto, "Giocatori 'promessa' e libera circolazione dei calciatori professionisti: la Corte di Giustizia europea riconosce un indennizzo per la formazione", 181)
  • Per garantire la realizzazione di tale obiettivo non è necessario un regime, come quello oggetto della causa principale, per effetto del quale un giocatore "promessa" il quale, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di un altro Stato membro si espone alla condanna al risarcimento del danno determinato a prescindere dagli effettivi costi della formazione. Corte di Giustizia, Grande Sezione, 16/3/2010, C-325/08, Pres. Skouris Rel. Ilesic, in Riv. it. dir. lav. 2011, con note di Valeria Capuano, "La libera circolazione dei calciatori nell'Unione Europea tra vecchie questioni e nuovi scenari: il caso Bernard", e Federico Siotto, "Giocatori 'promessa' e libera circolazione dei calciatori professionisti: la Corte di Giustizia europea riconosce un indennizzo per la formazione", 181)
  • Dopo le modifiche apportate dal Regolamento Ce 1247/92 al Regolamento 1408/71, la nozione comunitaria di sicurezza sociale deve ritenersi estesa anche alle prestazioni non contributive, ferma la facoltà degli Stati membri di limitare detta estensione includendo determinate prestazioni nell'allegato II (facoltà della quale l'Italia non si è avvalsa) e di limitare determinate prestazioni ai soli residenti, inserendole nell'allegato II bis. Poiché l'Italia ha inserito in tale allegato le prestazioni agli invalidi di cui alla L. 30/3/71 n. 118, ne segue che gli stranieri, ove residenti in Italia, devono godere senza discriminazioni delle prestazioni di assistenza agli invalidi. (Trib. Verona 14/1/2010, Est. Matano, in D&L 2010, 638)
  • Un ricercatore che prepara una tesi di dottorato sulla base di un contratto di borsa di studio deve essere considerato lavoratore, ai sensi dell’art. 39 del Trattato CE, soltanto se esercita la sua attività per un determinato periodo di tempo sotto la direzione di un istituto e se percepisce una retribuzione a titolo di controprestazione per tale attività. (Corte di Giustizia 17/7/2008, causa n. 94/07, Pres. Tizzano Rel. Levits, in Riv. It. Dir. Lav. 2009, con nota di Silvia Borelli, “La nozione di ‘lavoratore’ e l’efficacia dell’art. 39 Trattato CE”, 225) 
  • Non sussiste la competenza della Corte di Giustizia a giudicare di una normativa nazionale (come quella contenuta nell'art. 8 della l. n. 124/1999 e 1, comma 218 della l. n. 266/2005 in tema di trasferimento del personale ATA dagli enti allo Stato) che non si colloca nell'ambito del diritto comunitario e a intervenire in una controversia il cui oggetto non presenta alcun elemento di collegamento con quest'ultimo. (Corte di Giustizia CE 3/10/2008, ord., causa C-287/2008, Pres. Tizzano Rel. Ilesic, in Lav. nelle P.A. 2008, 1128) 
  • Il riconoscimento da parte della Corte di Giustizia del valore non più soltanto assiologico e politico dei principi e dei diritti sociali individuali e collettivi della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, c.d. Carta di Nizza, giunge a conferire a questa un ruolo molto prossimo a fonte sovraordinata omologa a un testo costituzionale. (Corte app. Firenze 3/4/2007, Pres. Pieri Est. Amato, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di P. Albi, "Il patromonio costituzionale europeo e il diritto alle ferie come diritto fondamentale", 106) 
  • Non avendo assicurato, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato, il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori ed esperti lingua madre, mentre tale riconoscimento era garantito alla generalità dei lavoratori nazionali, la Repubblica italiana non ha attuato tutti i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza 26 giugno 2001, causa C-212/99, Commissione/Italia, comportava, ed è pertanto venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 228 CE. (Corte Giustizia CE 26/7/2006, Causa C-119/04, Pres. Skouris, Rel Cunha Rodrigues, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Raffaele Garofalo, 1099)
  • La libera prestazione di servizi può essere limitata dalle legislazioni nazionali solo per ragioni imperative di interesse generale, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. (Corte di Giustizia CE 15/6/2006 n. C-255/04, Pres. Jann Rel. Poiares Maduro, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Arianna Avondola, 238)
  • L’art. 43 CE osta a che una normativa nazionale di un primo Stato membro, quale quella controversa nelle cause principali, obblighi un lavoratore non subordinato residente in tale Stato membro a ivi immatricolare un veicolo aziendale messo a sua disposizione dalla società presso cui lavora, società stabilita in un secondo Stato membro, qualora il veicolo aziendale non sia destinato a essere essenzialmente utilizzato nel territorio del primo Stato membro in via permanente né venga di fatto utilizzato in tal modo. (Corte di Giustizia CE 15/12/2005, Cause C-151/04 e C-152/04, Pres. Jann Est. Colneric, in Orient. Giur. Lav. 2005, 114)
  • Non è conforme al diritto comunitario la norma italiana che consente, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, il beneficio della tassazione ad aliquota ridotta alla metà delle somme erogate all’interruzione del rapporto alle donne che hanno superato i 50 anni e gli uomini che hanno superato i 55. (Corte di giustizia CE 21/7/2005 n. C-207/04, Pres. Jann Rel. Colneric, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Matteo Marsano, 1053)
  • Né i principi espressi dall’ordinamento comunitario che impongono la parità di trattamento dei lavoratori senza discriminazioni fondate sul sesso, né il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno, né la direttiva n. 93/104 CE sull’orario di lavoro, devono essere interpretati nel senso di escludere l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo parziale in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinano caso per caso, restando il lavoratore libero di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto. E ciò anche se tutti i contratti di lavoro degli altri dipendenti dell’impresa fissano la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro. (Corte di giustizia CE 12/10/2004 n. C-313/02, Pres. Skouris Rel. Macken, in Giur. It. 2005, con nota di Emilio Bagianti “Il lavoro intermittente e l’ordinamento comunitario”, 1377)
  • Ove la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia già accertato che il ritardo non giustificato nella definizione di un processo, in violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno del ricorrente, e abbia quindi riconosciuto in suo favore un’equiparazione “ex” art. 41 della Convenzione, da tale pronuncia deriva che il giudice nazionale adito ai sensi della (sopravvenuta) legge 24 marzo 2001 n. 89 – una volta che abbia accertato, con riferimento allo stesso processo presupposto, il protrarsi della medesima violazione nel periodo successivo a quello considerato dai giudici di Strasburgo – non può non indennizzare, in applicazione della citata legge, l’ulteriore danno non patrimoniale subito dalla medesima parte istante, e liquidarlo prendendo come punto di riferimento la liquidazione già effettuata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (dalla quale è peraltro consentito differenziarsi, sia pure in misura ragionevole). Né detta indennizzabilità può essere esclusa sul rilievo dell’esiguità della posta in gioco nel processo presupposto; sia perché trattasi di ragione resa, nel caso, non rilevante dal fatto che la Corte europea ha ritenuto sussistente il danno non patrimoniale per il ritardo nello stesso processo; sia perché, più in generale, l’entità della posta in gioco nel processo ove si è mancato il rispetto del tempo ragionevole non è suscettibile di impedire il riconoscimento del danno non patrimoniale, dato che l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi cui sia esigua la posta in gioco, onde tale aspetto può avere un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento ma non totalmente escludente dello stesso. (Cass. 26/1/2004 n. 1339, Pres. Ianniruberto Rel. Lupo, in Lav. e prev. oggi 2004, 537)
  • I diritti corrispondenti ai c.d. "salarios de tramitaciòn" devono essere considerati come diritti di lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione, ai sensi degli art. 1, n.1, e 3, n.1, della direttiva del consiglio 20 ottobre 1980 n. 80/987/Cee, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso d'insolvenza del datore di lavoro, indipendentemente dal procedimento in forza del quale sono stabiliti, se, in base alla normativa nazionale considerata, siffatti diritti, riconosciuti mediante decisione giudiziaria, fanno sorgere la responsabilità dell'istituto di garanzia e se un diverso trattamento di diritti identici, stabiliti in una procedura di conciliazione, non è obiettivamente giustificato. Il giudice nazionale deve disapplicare una normativa interna che escluda-in violazione del principio d'uguaglianza- dalla nozione di "retribuzione" ai sensi dell'art.2, n.2, della direttiva 80/987/Cee, diritti corrispondenti ai c.d. "salarios de tramitaciòn", convenuti in una procedura di conciliazione svoltasi in presenza di un organo giurisdizionale e da questo approvata; esso deve applicare ai componenti del gruppo sfavorito da talse discriminazione il regime in vigore per i lavoratori subordinati i cui diritti dello stesso tipo rientrano, in forza della definizione nazionale della nozione di "retribuzione", nell'ambito di applicazione della suddetta direttiva. (Corte di Giustizia CE 12/12/2002, causa C-442/00, Pres. Puissochet, in Foro it. 2003 parte quarta, 1)
  • La Reppublica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti, a norma dell'art. 9, n. 3, della direttiva del Consiglio 29 maggio 1990, n. 90/270/CEE, non definendo le condizioni alle quali devono essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta. In relazione alla trasposizione di una direttiva che stabilisce condizioni minime di tutela nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro, è indispensabile che l'ordinamento nazionale garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturante da tale diritto sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti. (Corte di Giustzia, 24/10/2002, causa n. C-455/00, Pres. Schingten, Rel. Colneric, in Riv. it. dir. lav. 2003, 463, con nota di Silvia Bertocco, Videoterminali: la Corte di Giustzia condanna nuovamente l'Italia per la non corretta trasposizione della direttiva nell'ordinamento nazionale)
  • Non definendo le condizioni alle quali devono essere forniti ai lavoratori interessati dispositivi speciali di correzione in funzione dell'attività svolta, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art.9, n. 3, della direttiva del consiglio 29 maggio 1990 n. 90/270/Cee, relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e di salute per le attività lavorative svolte su attrezzature munite di videoterminali (quinta direttiva particolare ai sensi dell'art.16, par.1, della direttiva 89/391/Cee). (Corte di Giustizia CE, 24/10/2002, causa C-455/00, Pres. Schintgen, in Foro it. 2003 parte quarta, 22)
  • La nozione di impresa, ai sensi degli artt. 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 81 CE e 82 CE), non comprende un ente che è incaricato dalla legge della gestione di un regime di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quale l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). (Corte di giustizia delle Comunità Europee 22/1/2002, n. C-218/00, Pres. S. Von Bahr, Rel. M. Wathelet, in Argomenti dir. lav. 2003, 343)
  • L'art.11, nn. 1 e 2, della direttiva del Consiglio 22/9/94, 94/45/CE, riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, va interpretato nel senso che esso impone ad una impresa che fa parte di un gruppo di imprese l'obbligo di fornire agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori informazioni, anche qualora non sia stato accertato che vi sia un'impresa che esercita il controllo all'interno di un gruppo di imprese. Se i dati sulla struttura o sull'organizzazione di un gruppo di imprese fanno parte delle informazioni indispensabili all'avvio delle trattative per l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura di informazione e di consultazione transnazionale dei lavoratori, tocca ad un'impresa di tale gruppo fornire detti dati che essa possiede o che è in grado di ottenere agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori che ne fanno richiesta. La trasmissione di documenti che precisino e chiariscano informazioni indispensabili allo stesso scopo può parimenti essere richiesta, purché tale trasmissione sia necessaria perché i lavoratori interessati o i loro rappresentanti possano accedere alle informazioni necessarie per poter valutare se essi abbiano il diritto di richiedere l'avvio di trattative (Corte Giustizia 29/3/01, n. C-62/99, in Dir. Lav. 2001, pag. 125, con nota di Guarriello)
  • L'art. 2, n. 2, lett. i), della direttiva del Consiglio 14/10/91, 91/533/CEE, relativa all'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione non riguarda lo svolgimento di lavoro straordinario. Tuttavia, risulta dall'art. 2, n. 1, della direttiva che il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore dipendente una clausola avente la natura di elemento essenziale del contratto o del rapporto di lavoro in forza della quale quest'ultimo è obbligato a prestare lavoro straordinario dietro semplice richiesta del datore di lavoro. Questa informazione deve essere comunicata alle stesse condizioni previste dalla direttiva per gli elementi espressamente menzionati al suo art. 2, n. 2. Essa può eventualmente risultare, per analogia con la norma che, ai sensi dell'art. 2, n. 3, della detta direttiva, trova applicazione, segnatamente, al normale orario di lavoro, da un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano le materie ivi considerate. Nessuna disposizione della direttiva 91/533 impone di considerare inapplicabile un elemento essenziale del contratto o del rapporto di lavoro che non è stato menzionato in un documento scritto consegnato al lavoratore dipendente, o non vi sia stato menzionato con sufficiente precisione. La direttiva 91/533 non impone al giudice nazionale, né gli vieta, di applicare i principi di diritto nazionale che presumono un ostacolo probatorio quando una delle parti non ha adempiuto i propri obblighi legali di informazione nel caso in cui il datore di lavoro sia venuto meno all'obbligo di informazione previsto dalla direttiva (Corte Giustizia 8/2/01, n. C-350/99, in Dir. Lav. 2001, pag. 138, con nota di Bellomo, Obbligo di informazione sul contenuto del contratto di lavoro, richiamo alle fonti collettive e conseguenze dell'inadempimento alla luce del diritto comunitario; in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 583, con nota di Dalmasso, Elementi essenziali del rapporto di lavoro e obbligo di informativa)
  • Viene meno agli obblighi imposti dagli articoli 48 e 52 del Trattato CE (divenuti 39 CE e 43 CE) lo Stato membro il quale, per i dentisti stabiliti in un altro Stato membro, autorizzi l'iscrizione all'ordine, alla quale è subordinato nel suo territorio l'esercizio della loro attività, tanto come lavoratore subordinato quanto come titolare di uno studio, unicamente previa rinunzia all'iscrizione o registrazione nel loro Stato d'origine. Questa condizione, che impedisce ai dentisti residenti in uno Stato membro di aprire un secondo gabinetto dentistico nel territorio di un altro Stato membro o di esercitarvi l'attività come lavoratore dipendente, non può essere giustificata dall'esigenza di garantire la continuità delle cure agli ammalati o di far osservare le norme deontologiche del luogo in cui viene svolta l'attività (Corte Giustizia 18/1/01, n. C-162/99, in Dir. Lav. 2001, pag. 145, con nota di Pozzaglia, Restrizioni all'esercizio della professione di dentista: una condanna per l'Italia)
  • Gli artt. 85, 86 e 90, n. 1 (divenuti 81, 82, e 86, n. 1) del trattato Cee non ostano ad una normativa nazionale (nella specie, il regio decreto 21/4/77 del Regno del Belgio relativo al riconoscimento dei lavoratori portuali del porto di Gand) che obblighi le imprese, nell'esercizio delle operazioni portuali, ad avvalersi esclusivamente di lavoratori portuali riconosciuti ed imponga loro di corrispondere ad essi una retribuzione ampiamente superiore a quella dei propri dipendenti (Corte di Giustizia CE 16/9/99, n. C-22/98, in Foro it. 2000, pag. 525 parte quarta, con nota di Brusco, La corte di giustizia cambia opinione sul lavoro portuale?)
  • Lo Stato Italiano inadempiente per il mancato adeguamento della sua legislazione alla direttiva comunitaria, è responsabile nei confronti dei privati e può essere chiamato a rispondere del danni dagli stessi conseguentemente sofferti (Trib. Brescia 18 ottobre 1999, est. Onni, in D&L 2000, 765, n. Pirelli)
  • Le direttive comunitarie rimaste inattuate che presentino un contenuto incondizionato e sufficientemente preciso sono direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, con conseguente disapplicazione della norma interna in conflitto, solo qualora tale norma riguardi un rapporto tra Stato (ovvero Pubblica Amministrazione) e privati, e non anche se si limiti a regolare rapporti tra privati; ai fini di tale disapplicazione, deve considerarsi irrilevante la qualità delle parti in causa, dovendo invece attribuirsi rilevanza decisiva alla natura degli interessi tutelati dalla norma interna, con la conseguenza che, ove questa sia esclusivamente finalizzata alla realizzazione di interessi pubblici, dovrà essere disapplicata dal giudice nazionale anche in caso di controversia intervenuta tra soggetti privati (Cass. 18/5/99 n. 4817, pres. Rapone, est. Stile, in D&L 1999, n. Scorcelli, Un caso di applicazione diretta delle direttive comunitarie e la fine del cd. "agente abusivo")