TFR in genere

  • Pressante invito al legislatore perché provveda a rimuovere l’incostituzionalità del differimento e della rateazione del TFS.
    Come noto, l’art. 3, co. 2, d.l. n. 79/97, e l’art. 12, co. 7, d.l. n. 78/10 prevedono il differimento e la rateizzazione (graduale e oltre un certo ammontare) del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. La Corte costituzionale, investita della relativa questione di costituzionalità dal TAR Lazio, osserva che: (i) la natura retributiva delle indennità di fine servizio, ribadita in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale, inserisce tali prestazioni nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost, quindi con la garanzia della giusta retribuzione, anche con riguardo alla tempestività dell’erogazione; (ii) dato che il TFS incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale, non è tuttavia da escludersi che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione di tale indennità, purché l’intervento legislativo sia sottoposto a una rigorosa delimitazione temporale e sia conforme ai principi di ragionevolezza e proporzionalità; (iii) il termine dilatorio di dodici mesi previsto per l’erogazione del tfs dall’art. 3, co. 2, d.l. n. 79/97, in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio, non rispetta tali requisiti, essendosi trasformato da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale; (iv) quanto alla previsione del pagamento rateale del TFS, di cui all’art. 12, co. 7, d.l. n. 78/10, sebbene sia strutturata secondo una progressione graduale delle dilazioni, che consente di calibrare il sacrificio economico derivante dalla percezione frazionata dell’indennità in modo tale da renderne esenti i beneficiari dei trattamenti più modesti, essa, tuttavia, combinandosi col meccanismo del differimento, finisce con l’aggravare il vulnus costituzionale evidenziato; (v) a tale vulnus non può tuttavia porre rimedio la Corte costituzionale (che pertanto dichiara inammissibile la questione), ma solo il legislatore, al quale spetta il compito di individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto sia delle esigenze di cassa sia delle peculiari e importanti esigenze del lavoratore, che il TFS mira a soddisfare; (viii) la discrezionalità del legislatore non è temporalmente illimitata: non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n. 159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame. (Corte Cost. 23/6/2023 n. 130, Pres. Sciarra Red. San Giorgio, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  • Spetta di regola al lavoratore chiedere l’insinuazione nel fallimento del datore per le quote di t.f.r. da questi trattenute e non versate al fondo di previdenza complementare.
    In giudizio, i giudici di merito avevano dichiarato la mancanza di legittimazione attiva di un dipendente che aveva chiesto appunto l’insinuazione nel passivo del fallimento del datore di lavoro per le quote di TFR da questi trattenute, ma poi non versate al fondo di previdenza complementare cui il lavoratore aveva aderito. La Cassazione, ripercorrendo nei suoi tratti essenziali la disciplina della materia nonché la giurisprudenza sviluppatasi al riguardo su due filoni diversificati, aderisce motivatamente alla soluzione della normale legittimazione attiva del lavoratore, salvo che risulti che questi, nell’autorizzare il versamento al Fondo delle quote di TFR via via maturate, abbia in realtà inteso operare non una delegazione di pagamento al datore di lavoro, che si estinguer col fallimento, ma una vera e propria cessione di un credito futuro al Fondo, nel qual caso è quest’ultimo il soggetto legittimato. (Cass. 7/6/2023 n. 16116, Pres. Cristiano Rel. Vella, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  • In tema di previdenza per gli impiegati nell’agricoltura, l’eventuale inadempimento datoriale nel versamento degli accantonamenti non riduce la prestazione economica che l’ENPAIA è tenuto ad erogare ai lavoratori, a titolo di trattamento di fine rapporto, nella misura integrale, ben potendo e dovendo l’ente previdenziale azionare, entro congruo tempo, nei confronti del datore di lavoro, il credito per gli accantonamenti non versati. (Cass. 4/3/2021 n. 6080, Pres. Manna Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2021, 662)
  • In relazione al pagamento del TFR da I.N.P.S., quale gestore del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, né la L. n. 297 del 1982, né il D.Lgs. n. 82 del 1990 prevedono in alcun modo un obbligo di preventiva escussione degli eventuali coobbligati, ma tutelano invece in modo immediato e diretto il diritto previdenziale alla copertura del credito da TFR, che sia sorto, presso il datore di lavoro insolvente, con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro: come è reso palese anche dal fatto che l’art. 2, L. n. 297 cit. stabilisce che “trascorsi quindici giorni” dal deposito dello stato passivo o dalla pronuncia della sentenza in sede di opposizione ad esso - e quindi dopo una dilazione esclusivamente temporale - il lavoratore possa ottenere a domanda il relativo pagamento. (Corte App. Perugia 6/2/2021, Pres. Angeleri Est. Panariello, in Lav. nella giur. 2021, 667)
  • Il conferimento di una quota di TFR ad un fondo di previdenza complementare non altera la causa dell’attribuzione patrimoniale che continua a porsi in relazione sinallagmatica con la prestazione di lavoro e costituisce, quindi, retribuzione. (Trib. Padova 15/12/2020, Giud. Dallacasa, in Lav. nella giur. 2021, 318)
  • Il trattamento di fine rapporto è dovuto (fatte salve le ipotesi di anticipazione espressamente previste dalla norma) solo all’atto della cessazione definitiva del rapporto di lavoro: ne consegue che, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento, ove accompagnata dall’ordine giudiziale di reintegrazione del dipendente nel proprio posto di lavoro, questi non ha diritto a percepire l’ammontare del TFR fino a quel momento maturato. (Cass. 20/5/2020 n. 9303, ord., Pres. Berrino, Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2020, 994)
  • La funzione previdenziale dell’intervento del Fondo di Garanzia dell’I.N.P.S., di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 297 del 1982, non osta all’intervento del Fondo a favore del cessionario a titolo oneroso del credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, in quanto l’intervento è previsto in favore degli “aventi diritto” e, con tale termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c.c., si fa riferimento agli aventi causa in genere del lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto. (Trib. Catania 24/4/2020, Giud. Nicosia, in Lav. nella Giur. 2020, 998)
  • In caso di insolvenza del datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, ai fini dell’accoglimento della domanda di intervento del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, istituito presso l’INPS ex art. 2 della L. n. 297 del 1982, grava sul lavoratore l’onere di dimostrare che le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti a seguito di un serio e adeguato esperimento dell’esecuzione forzata, comportante, in particolare, secondo l’uso della normale diligenza, la ricerca di beni presso i luoghi riconducibili “de iure” alla persona del debitore, come ad esempio quelli della nascita, della residenza, del domicilio o della sede dell’impresa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito fondata sul rilievo che il ricorrente si era limitato all’infruttuosa esecuzione mobiliare senza nulla documentare in ordine alla consistenza del patrimonio immobiliare del debitore). (Cass. 5/9/2016 n. 17593, Pres. D’Antonio Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2017, 96)
  • In caso di recesso del curatore dal contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato dalla società fallita in data antecedente al fallimento e conseguente retrocessione del ramo d’azienda al fallimento, esso non risponde delle quote di tfr maturate in data successiva alla data di efficacia dell’affitto d’azienda. (Trib. Milano 5/5/2015, decr., Pres. Mammone, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Luigi Andrea Cosattini, “Retrocessione al fallimento dell’azienda affidata e licenziamento: il difficile equilibrio fra esigenze della massa e tutela del lavoratore”, 941)
  • Il compenso per lavoro straordinario continuativo deve essere inserito nella base di calcolo del TFR, anche se di ammontare variabile: infatti, si è ritenuto che il carattere continuativo vada riferito all’esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica, purché espletata per organizzazione del lavoro e quindi non imprescindibile e fortuita. (Trib. Bari 13/10/2014, Giud. Isabella Calia, in Lav. nella giur. 2015, 207)
  • Ai fini della tutela prevista dalla legge n. 297 del 1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del T.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per la esiguità del credito azionato, va considerato non soggetto a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, c. 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva. (Cass. 4/7/2014 n. 15369, Pres. Coletti De Cesare Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2014, 1027)
  • L’obbligo del Fondo di garanzia per il T.f.r. costituito presso l’Inps ha per oggetto una prestazione di natura previdenziale, diversa dal trattamento dovuto al lavoratore dal datore di lavoro. Ne consegue che una volta che si siano realizzate le condizioni previste dalla legge, e cioè l’ammissione in via definitiva del credito per T.f.r. al passivo fallimentare, il lavoratore ha diritto alla relativa prestazione a carico del Fondo di garanzia, senza che rilevi in contrario l’intervenuta prescrizione del credito stesso verso il datore di lavoro, non rilevata nell’ambito della procedura fallimentare. (Corte app. Milano 4/10/2013 n. 540, Pres. Curcio Est. Vitali, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Rocco Cama, 380)
  • La condizione necessaria perché sorga il diritto nei confronti del Fondo di garanzia presso l’Inps è che l’obbligo di pagare il t.f.r. non sia stato adempiuto e intervenga una situazione di insolvenza del datore di lavoro. (Cass. 15/4/2013 n. 9068, Pres. Coletti De Cesare Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2013, 617)
  • I versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare non hanno natura retributiva, né l’hanno avuta in passato, trattandosi di esborsi non legati da nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa ed esonerati dalla contribuzione AGO, con assoggettamento a contributo di solidarietà, ai sensi della disposizione retroattiva del d.l. n. 103 del 1991, art. 9 bis conv. Dalla l. n. 166 del 1991. Ne consegue che gli accreditamenti per la previdenza integrativa non concorrono a determinare la base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità. (Cass. 18/3/2013 n. 6707, Pres. Stile Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2013, 618)
  • Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare, avendo natura previdenziale e non retributiva, non si computano – quale che sia il soggetto tenuto all’erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti – né nell’indennità di anzianità (maturata sino al 31/5/82) né nel Tfr. (Cass. 4/6/2012 n. 8959, Pres. Canevari, Est. La Terza, in D&L 2012, con nota di Alessandro Premoli, “Responsabilità solidale negli appalti: osservazioni sul termine biennale e sull’ambito applicativo”, 528)
  • In tema di determinazione del trattamento di fine rapporto, il principio secondo il quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio di onnicomprensività della retribuzione di cui all’art. 2120 c.c., nel testo novellato dalla l. n. 297/1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può limitare la base di calcolo anche con modalità indirette, purché la volontà risulti chiara pur senza l’utilizzazione di formule speciali o espressamente derogatorie. (Cass. 7/5/2012 n. 6861, Pres. De Luca Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2012, 722)
  • In materia di indennità di fine rapporto, in caso di stipula di un contratto di assicurazione ai sensi dell’art. 4 del RDL 8/1/42 n. 5, convertito dalla L. 2/10/42 n. 1251 e restato in vigore sino all’introduzione della L. 29/5/82 n. 297, nelle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro possono distinguersi una posta capitale rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità maturata dal dipendente, e un ammontare ulteriore, detto rendimento di polizza, costituente il risultato dell’operazione assicurativa, implicante un’eccedenza rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge, fermo restando, però, la funzione della stipulazione di assicurare ai lavoratori la corresponsione dell’indennità di anzianità in misura legale. Pertanto, l’opzione datoriale per questa forma di provvidenza sostitutiva non comportava automaticamente l’attribuzione ai dipendenti del rendimento di polizza, consistente negli interessi sui versamenti o premi corrisposti, eccedente rispetto all’indennità di anzianità, mentre tale erogazione supplementare può trovare titolo solo in un’eventuale pattuizione aggiuntiva o in specifiche clausole della polizza assicurativa, intese ad assicurare ai dipendenti condizioni di miglior favore rispetto a quelle di legge. (Cass. 28/3/2012 n. 4969, Pres. Roselli Est. Bandini, in D&L 2012, con nota di Caterina Tomba, “Polizze assicurative stipulate in favore dei dipendenti: due recenti pronunce della Suprema Corte”, 523)
  • Il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della legge 29 maggio 1982, n. 297 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’Inps per l’insolvenza o l’inadempimento del datore di lavoro. (Trib. Trapani 10/6/2010, Giud. Antonelli, in Lav. Nella giur. 2010, 1051)
  • Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro con la conseguenza che la prescrizione di tale diritto non decorre in costanza di rapporto. (Cass. 9/3/2010 n. 5707, Pres. De Luca Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Sara Huge, “Quando sorge il diritto al Tfr?”, 559)
  • Nel caso in cui venga proposto ordinario ricorso per cassazione ex art. 360 n. 3, c.p.c., la parte ha l’onere di depositare, a pena di improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il testo integrale del contratto collettivo di diritto privato sul quale il ricorso si fonda, non essendo sufficiente la produzione del mero stralcio del contratto. (Cass. 9/3/2010 n. 5707, Pres. De Luca Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Sara Huge, “Quando sorge il diritto al Tfr?”, 559)

  • I contributi versati a un fondo di previdenza integrativa aziendale, anche per la loro natura contributiva, non devono essere inclusi nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto.(Corte app. Milano 7/4/2009, Pres. Ruitz Est. De Angelis, in D&L 2009, 778)
  • Il DPCM 8 giugno 1946 dispone, all'art. 2, che il CNR provveda al trattamento di quiescenza del personale di ruolo tramite capitalizzazione finanziaria. La ricognizione di tali disposizioni, che si coordinano con la previsione da parte della Giunta amministrativa del CNR di termini di scadenza per i prescritti investimenti, consente di configurare, all'interno del contratto di lavoro, un obbligo dell'ente di procedere all'acquisto di buoni postali fruttiferi, sì che in mancanza dell'investimento, o in caso di investimento non puntuale, al medesimo ente deve essere imputato l'inadempimento, secondo le regole proprie della responsabilità contrattuale (nel caso di specie, poiché è rimasto accertato che il CNR ha effettuato in ritardo l'investimento delle quote accantonate e che da tale ritardo la dipendente ha subito un pregiudizio patrimoniale, pari alla mancata percezione delle somme dovute è da ritenersi conseguentemente configurata la responsabilità dell'ente per il medesimo pregiudizio, rilevando che questi - pur avendo riconosciuto, con delibera del 1989, la legittimità degli investimenti - nulla aveva disposto riguardo agli investimenti effettuati in ritardo). (Cass. Sez. Un. 25/11/2008 n. 28056, Pres. Carbone Rel. Morcavallo, in Lav. nelle P.A. 2008, 1151) 
  • Il giudicato formatosi su una domanda avente a oggetto la computabilità di una determinata voce retributiva nella base di calcolo del t.f.r., proposta nel corso del rapporto di lavoro, non preclude accertamenti successivi che abbiano a oggetto altri elementi idonei a concorrere alla liquidazione finale del trattamento. (Cass. 16/6/2008 n. 16206, Pres. De Luca Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Giuseppe Maria Monda, "Retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto e limiti di estensione del giudicato", 321)
  • L'inutile esperimento di una qualsivoglia procedura esecutiva individuale non è, da solo, idoneo a realizzare la preventiva escussione del debitore principale, per il pagamento di quanto dovuto dal datore di lavoro inadempiente non soggetto a procedure concorsuali. Tuttavia non è imposto al lavoratore l'onere di provare l'insufficienza della garanzia offerta dall'intero patrimonio del datore di lavoro inadempiente, ma soltanto l'onere di dimostrare che le garanzie patrimoniali sono risultate in tutto o in parte insufficienti, a seguito di un esperimento dell'esecuzione forzata serio e adeguato, che comporta, in coerenza con la norma diligenza, la ricerca di beni di proprietà del datore di lavoro inadempiente, quanto meno nei luoghi, comunque, ricollegabili alla sua persona. (Cass. 8/5/2008 n. 11379, Pres. ed Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Franco Focareta, "L'intervento del Fondo di Garanzia nei casi di datori di lavoro non soggetti a procedure concorsuali", 176) 
  • Per la determinazione della retribuzione di riferimento ai fini del calcolo del Tfr (secondo il combinato disposto degli art. 2099 e 2120 c.c.) rilevano anche le somme corrisposte in costanza di rapporto a titolo di indennità di vacanza contrattuale. (Corte app. Milano 9/4/2008, Pres. Castellini, Est.Sbordone, in D&L 2008, con nota di M.G. Alberio, "Riflessioni in merito all'Ivc e alla sua possibile incidenza sul Tfr", 993)
  • In tema di accantonamenti utili ai fini del trattamento di fine rapporto, occorre distinguere fra l'azione di mero accertamento dell'entità della quota da accantonare, da quella strumentale intesa a ottenere concreta attuazione di un particolare diritto, quale quello al computo di una determinata voce; per questa seconda fattispecie, non è configurabile la prescrizione dell'azione fino a quando perduri la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l'accertamento giudiziale del diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva rigettato l'eccezione di prescrizione del diritto al computo dello straordinario sulle competenze di fine rapporto). (Cass. 10/10/2007 n. 21239, Pres. Sciarelli Est. Miani Canevari, in Lav. nella giur. 2008, 309)
  • Quanto al parametro di determinazione della base di calcolo per il computo del trattamento di fine rapporto vige il principio dell'omnicomprensività della retribuzione adottato del 2° comma dell'art. 2120 c.c., come novellato dalla L. 297/82, salva la facoltà riconosciuta alle parti sociali di apportare a tale regola eccezioni o desumibili in modo chiaro e univoco ovvero espressamente dichiarate (nel caso di specie la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore che si è visto negata la computabilità della retribuzione percepita a titolo di lavoro straordinario nella base di calcolo per la determinazione del Tfr cassando con rinvio la sentenza per la verifica della sussistenza o meno, per il compenso percepito dal lavoratore, dei connotati necessari per rientrare nella base di calcolo). (Cass. 24/9/2007 n. 19695, Pres. Mattone Est. Amoroso, in D&L 2007, con nota di Roberta Maddalena Paris, "Retribuzione - parametro del Tfr: modalità di deroga del principio della onnicomprensività della retribuzione da parte della contrattazione collettiva, 1169)
  • I contributi versati a favore dei fondi di previdenza integrativa hanno natura retributiva e, nella misura in cui non siano esclusi dalla contrattazione collettiva, vanno computati nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. (Trib. Milano 12/6/2007, Giud. Di Leo, in ADL 2008, con commento di Pasquale Picciariello, "I contributi per la previdenza complementare sono computabili nel trattamento di fine rapporto", 251)
  • Il diritto al Tfr nasce solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, che costituisce elemento costitutivo della fattispecie e non termine di adempimento, sussistendo in precedenza meri accantonamenti contabili. (Trib. Grosseto 17/4/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 98)
  • Nel regime di cui all'art. 2120 c.c. nel testo antecedente le modifiche ex L. 25/5/82 n. 297, i compensi per prestazioni di lavoro straordinario sono compatibili ai fini della determinazione della base di calcolo di trattamento di fine rapporto qualora le predette prestazioni siano state svolte con frequenza e periodicità per un apprezzabile periodo di tempo così da divenire abituali nel quadro dell'organizzazione di lavoro (nella specie, la Corte ha ritenuto congrua la valutazione riferita a 12 mesi antecedenti al 31/5/82). (Cass. 26/9/2006 n. 20867, Pres. Mercurio Est. Lamorgese, in D&L 2007, 151)
  • Devono essere computati nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell'indennità di buonuscita, ai8 sensi dell'art. 2120 c.c., tutti gli emolumenti, percepiti dal lavoratore, di carattere continuativo, a nulla valendo una loro esclusione da tale base di calcolo da parte di clausole collettive. (Trib. Lecce 5/9/2006, Giud. Mainolfi, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Giacomo Fontana, "Sul principio dell'omnicomprensività della retribuzione ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto", 569)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 9, comma 3, d.lgs. C.p.S. 4 aprile 1947 n. 207, nella parte in cui non prevede che l’indennità di fine rapporto spettante al dipendente dello Stato non di ruolo defunto, in mancanza dei soggetti ivi indicati, si devolva secondo le norme che disciplinano la successione mortis causa. (Cost. 23/12/2005 n. 458, Pres. Marini Red. Gazzella, in Giust. Civ. 2006, 259)
  • I contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro in relazione all’art. 4 r.d.l. 8 gennaio 1942 n. 5 (sul fondo per l’indennità agli impiegati) per garantire ai singoli dipendenti un sistema di liquidazione dell’indennità di anzianità superiore al minimo legale hanno natura di contratti a favore di terzi, rispetto ai quali, però, la facoltà, attribuita dall’art. 1411 c.c. allo stipulante, di revocare o modificare la stipulazione prima che il terzo dichiari nei confronti di entrambe le parti del contratto, di volere profittare, è preclusa dal fatto che, nei modi suddetti, si introduce una variazione migliorativa del trattamento economico che, una volta accettata, sia pure tacitamente dai lavoratori, impegna alla sua osservanza ambedue le parti dei singoli contratti di lavoro, senza che su tale impegno influisca la proroga o la riapertura dei termini stabiliti, ai fini delle provvidenze in questione, dall’art. 8 r.d.l. n. 5 del 1942. Pertanto, fino all’abrogazione delle norme relative al sistema del Fondo suddetto, operata dall’art. 4 l. 29 maggio 1982 n. 297, l’attuazione di tali provvidenze con contratti di assicurazione corrispondenti, nell’intento delle parti, ai requisiti posti dall’art. 4 r.d.l. n. 5 del 1942 implica il persistente assoggettamento dei relativi rapporti a questa disposizione, con la conseguenza – atteso il richiamo ivi formulato all’art. 2 r.d.l. n. 5 del 1942 – della sussistenza dell’obbligo legale del datore di lavoro di adeguare i premi dell’assicurazione ai successivi aumenti delle retribuzioni, indipendentemente dalla circostanza che un obbligo siffatto discenda o meno dallo stesso contratto di assicurazione; mentre è escluso che il datore di lavoro possa revocare la rinuncia agli interessi o rendimenti su detti premi, una volta che essa sia stata da lui effettuata e accettata dai dipendenti. (Cass. 22/7/2005 n. 15533, Pres. Ciciretti Est. Roselli, in Giust. Civ. 2006, 293)
  • Atteso che la domanda di riliquidazione dell’indennità di buonuscita ha ad oggetto un diritto di natura diversa rispetto al diritto al trattamento di fine rapporto, se la prima è formulata per la prima volta in appello deve dichiararsi inammissibile non potendo ritenersi implicita in quella relativa al trattamento di fine rapporto, ritualmente proposta con l’atto introduttivo. (Cass. 4/3/2005 n. 4712, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Orient. Giur. Lav. 2005, 201)
  • Allorchè le prestazioni di lavoro straordinario siano svolte con notevole frequenza e in misura sempre rilevante, le stesse hanno il carattere della continuità e i relativi emolumenti devono considerarsi erogati a titolo non occasionale con conseguente necessaria inclusione degli stessi nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. (Trib. Milano 23/10/2004, Est. Martello, in Lav. nella giur. 2005, 491)  
  • L'art. 14, comma 3, d.P.R. n. 597 del 1973 (nel testo come sostituito dall'art. 2 l. n. 482 del 1985, applicabile ratione temporis) secondo cui in tema di Irpef e con riguardo ai redditi di lavoro dipendente "se per il lavoro prestato anteriormente alla data di entrata in vigore della l. 29 maggio 1982 n. 297, il trattamento di fine rapporto risulta calcolato in misura superiore a una mensilità della retribuzione annua per ogni anno preso a base di commisurazione, ai fini della determinazione dell'aliquota ai sensi del comma 1 non si tiene conto dell'eccedenza", va interpretato nel senso che, con la locuzione "mensilità della retribuzione annua", il legislatore si è riferito a una quota pari a una mensilità, vale a dire a un dodicesimo dell'intera retribuzione globale di fatto percepita nell'anno, comprensiva, quindi, delle quote di tredicesima e quattordicesima mensilità e non semplicemente a una mensilità della paga base riferita a un mese di prestazione. (Cass. 29/7/2004 n. 14522, Pres. Riggio Est. Monaci, in Giust. civ. 2005, 366)
  • Non è valida la pattuizione, individuale o collettiva, che disponga l'anticipazione mese per mese del trattamento di fine rapporto nella retribuzione corrente. (Cass. 11/11/2002, n. 15813, Pres. Ciciretti, Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2003, 439, con nota di Marco Novella, Sulla legittimità del trasferimento nella retribuzione mensile del trattamento di fine rapporto)
  • L'art. 2120 c.c. (nel testo di cui all'art. 1, l. 29 maggio 1982, n. 297), nel prevedere che il trattamento di fine rapporto è dovuto in "ogni caso" di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, fissa il principio dell'arrotondamento al mese delle frazioni di mese uguali o superiori ai quindici giorni, ma non quello della irrilevanza delle frazioni di mese inferiori a quindici giorni. Pertanto tale norma non abroga il secondo comma dell'art.5, l. 18 aprile 1962, n. 230, che prevede, per tutti i lavoratori a tempo determinato, il diritto ad una indennità di fine lavoro, da calcolarsi in base al principio di proporzionalità alle frazioni di anno di attività lavorativa prestata. (Cass. 25/9/2002, n. 13934, Pres. Sciarelli, Est. Lupi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 320, con nota di Enrico M. Rossi, Rapporti di lavoro di durata inferiore a quindici giorni e t.f.r.).
  • Relativamente all'epoca di corresponsione del Tfr va affermato il principio secondo cui l'erogazione deve essere contestuale all'atto della cessazione del rapporto non essendo giustificato per il datore di lavoro trattenere l'intero importo fino alla determinazione di una parte di esso in attesa della pubblicazione degli indici di rivalutazione Istat; egli può infatti cautelarsi in ordine alla "mora debendi" mediante il pagamento degli accantonamenti rivalutati, con differimento del rateo il cui esatto conteggio è impedito dal ritardo nella pubblicazione dell'ultimo indice Istat, senza peraltro subire alcuna conseguenza, atteso che tale limitato differimento è dovuto a fatto del terzo. Manifestamente infondata si rivela l'obiezione della società ricorrente secondo cui sarebbe ingiustificato porre a carico del datore di lavoro l'onere di effettuare un duplice conteggio e prospetta una questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120 c.c., nel testo modificato dalla l. 29/5/82, n. 297, per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., che risulta manifestamente infondata. Non si chiariscono invero le ragioni per cui il sacrificio del datore di lavoro, consistente nell'effettuazione di un duplice conteggio, dovrebbe essere piu' grave - al punto di determinare una ingiustificata disparità di trattamento - rispetto a quello del lavoratore costretto ad attendere il pagamento di un importo frutto di anni di lavoro, sovente già destinato a far fronte a pressanti necessità. Neppure si spiega per quale motivo la libertà di iniziativa economica, tutelata dall'art. 41 Cost., dovrebbe essere meglio protetta del diritto del lavoratore, anch'esso garantito all'art. 36 Cost., a conseguire la giusta mercede per l'opera prestata e soprattutto non si considera che il contemperamento di tali contrapposte esigenze avviene proprio in sede di contrattazione collettiva (mentre nel CCNL applicabile nella fattispecie niente si dice della possibile dilazione di pagamento dell'intero Tfr) (Cass. 28/1/02, n. 1040, pres. Saggio, est. Spanò, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 567, con nota di Canali De Rossi, Esigibilità del Tfr e lavoro straordinario non occasionale)
  • Il diritto del dipendente a ricevere il Tfr sorge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, sicchè il datore di lavoro non può procrastinarne il pagamento neppure in relazione all'esigenza di determinarne l'importo complessivo sulla base dell'ultimo indice Istat; deve pertanto provvedere al pagamento della parte già determinabile e differire il rateo il cui esatto conteggio è impedito dal ritardo nella pubblicazione dell'ultimo indice Istat. (Cass. 28/1/2002 n. 1040, Pres. Saggio, in D&L 2002, 407, con nota di Roberto Muggia, "Il diritto al Tfr: alla cessazione del rapporto o al momento della pubblicazione dell'indice Istat?")
  • Il pubblico dipendente (che avendo anzianità di servizio inferiore ad un anno non ha maturato il diritto all'indennità di buonuscita a carico dell'Inpdap) ha diritto - in applicazione dell'art. 2 L. 8/8/95 n. 335, norma di immediata applicazione - alla corresponsione del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'art. 2120 c.c., anche in difetto della prevista disciplina contrattuale attuativa. (Corte d'Appello Milano 18/9/2001, Est. Mannacio Est. Ruiz, in D&L 2002, 178)
  • L'azione promossa dal lavoratore, in corso di rapporto, al fine di determinare il corretto accantonamento, da parte del datore di lavoro, delle quote annuali di TFR maturato, ha natura di azione di accertamento, in relazione alla quale va ritenuto l'interesse ad agire del lavoratore, in presenza di una situazione di incertezza, e va escluso il decorso della prescrizione in costanza di rapporto (Pret. Napoli 16/6/95, est. Ingala, in D&L 1996, 186)
  • Posto che l'art. 2120 c.c. nulla espressamente dispone in ordine al termine di pagamento del Tfr, e considerato che l'art. 2099 c.c. fa riferimento, in ordine al termine di pagamento della retribuzione, all'uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito, deve ritenersi legittima, e non contrastante con norme imperative di legge, la clausola del contratto collettivo che preveda, per il pagamento del Tfr, il termine di sessanta giorni dalla data di cessazione del rapporto, stabilendo la decorrenza degli interessi legali, solo a partire dal sessantunesimo giorno successivo alla cessazione del rapporto (Trib. Torino 23/11/94, pres. Gamba, est. Rossi, in D&L 1995, 669)
  • Con riferimento ad un contratto collettivo che non comprende tra gli elementi retributivi da includere nel Tfr il compenso per lavoro straordinario (nella specie Ccnl Guardie Giurate) è infondata la richiesta di includere nel Tfr stesso quantomeno gli elementi retributivi base volti a compensare l'ora di lavoro straordinaria, al netto della maggiorazione, non potendosi attribuire ai contraenti collettivi la volontà di scomporre il compenso per lavoro straordinario tra compenso base e maggiorazione. (Trib. Milano 5/6/2004, Est. Ianniello, in D&L 2004, 386)