Responsabilità del lavoratore

  • La violazione da parte del lavoratore degli obblighi di fedeltà e diligenza comporta, oltre all'applicabilità di sanzioni disciplinari, l'insorgere del diritto al risarcimento del danno; tuttavia, l'inadempimento colposo delle obbligazioni contrattuali non può essere presunto sulla base della prova del venir meno dell'elemento fiduciario, ma deve essere autonomamente e concretamente dimostrato (Cass. 26/6/00, n. 8702, pres. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 292, con nota di Conte, Licenziamento disciplinare e obblighi risarcitori: poteri del giudice e oneri delle parti)
  • Il lavoratore che abbia avuto in consegna dal datore di lavoro, per l'espletamento della prestazione lavorativa, una cosa di proprietà del datore di lavoro risponde del danneggiamento della cosa stessa a titolo di responsabilità contrattuale e, precisamente, a titolo di inadempimento dell'obbligo di diligenza nell'esecuzione della prestazione di lavoro. Ai fini della affermazione della relativa responsabilità normalmente incombe sul datore di lavoro l'onere di fornire la prova che l'evento dannoso che ha pregiudicato la cosa consegnata sia da riconnettere ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza e sia in rapporto di derivazione causale da tale condotta. Peraltro le parti, sia individualmente sia collettivamente, possono disciplinare la ripartizione dell'onere della prova diversamente (fattispecie relativa all'art. 67 c.c.n.l. autoferrotranvieri - t.u. 23/7/76) (Cass. 11/12/99 n. 13891, pres. D'Angelo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 413)
  • Pur non potendosi escludere in linea di principio che le parti, sia individualmente che collettivamente, possano autonomamente disciplinare la ripartizione dell'onere della prova in riferimento ai danni cagionati dal lavoratore alle cose di proprietà del datore di lavoro e da questo consegnategli per lo svolgimento della prestazione lavorativa, va cassata con rinvio la sentenza del giudice di merito che abbia disposto il risarcimento dei danni causati dal conducente di autolinee all'autobus della società datrice di lavoro ritenendolo custode consegnatario del bene, senza accertare l'effettiva sussistenza della volontà delle parti di derogare ai principi del codice di procedura civile in materia di ripartizione dell'onere della prova nel rapporto di lavoro e di obbligo di diligenza nell'esecuzione della prestazione, in relazione alle clausole del contratto collettivo di categoria (Cass. 11/12/99, n. 13891, pres. D'Angelo, est. Capitanio, in Dir. lav. 2001, pag. 16, con nota di D'Aponte, Violazione dei doveri di diligenza, responsabilità del lavoratore e ripartizione dell'onere della prova)
  • In tema di risarcimento del danno il lucro cessante deve essere risarcito tenendo nella dovuta considerazione anche la qualità professionale del creditore (nel caso di specie, posto che l'avente diritto al risarcimento era un istituto bancario, la Suprema Corte ha ritenuto che - a fronte dell'illegittima concessione di un fido da parte di un proprio dipendente - la perdita subita per il mancato guadagno dovesse tenere conto dell'impiego che la banca avrebbe fatto del denaro ove non fosse stato illegittimamente sottratto) (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
  • Ai fini della richiesta di risarcimento del danno fondata sulla responsabilità contrattuale per inadempimento proposta nei confronti di un proprio dipendente, il datore di lavoro non deve rispettare le procedure richieste dall'art. 7 SL, posto che le garanzie previste da detto articolo sono intese a delimitare l'unilaterale esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, e che pertanto non hanno ragione di essere invocate quando - come nell'ipotesi di ordinaria azione di responsabilità per inadempimento ai sensi dell'art 1218 c.c. - l'accertamento della responsabilità e gli strumenti di decisione e irrogazione delle sanzioni sono sottratti al potere unilaterale del privato e affidati al giudice (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
  • La costituzione di società concorrente del datore di lavoro, attuata da dipendenti in costanza di rapporto, non dà luogo a violazione dell’art. 2105 c.c. qualora – per le circostanze di tempo della costituzione (quasi contemporanea alla cessazione dei rapporti) e per l’oggetto dell’attività sociale (concernente un settore che il datore aveva sostanzialmente smantellato) – non risultino all’epoca programmati atti ulteriori rispetto al solo inserimento dei dipendenti nella nuova società (Trib. Milano 17/4/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 588)