In genere

  • Le somme percepite dal lavoratore a titolo di risarcimento del danno da demansionamento, senza distinzione tra danno emergente e lucro cessante, sono escluse dalla base imponibile contributiva (Fattispecie riguardante un giornalista nella sua veste di inviato speciale per mancato incremento delle proprie professionalità). (Cass. 4/7/2016 n. 13578, Pres. Napoletano Est. De Gregorio, in Lav. nella giur. 2016, con commento di S. Rossi, 1092)
  • La richiesta di risarcimento del danno da dequalificazione richiede inderogabilmente l’allegazione di un danno biologico ovvero, sotto il profilo patrimoniale, di circostanze idonee a comprovare, anche per presunzioni, la perdita della professinalità acquisita e di chance di miglioramento professionale derivanti dalle nuove mansioni. (Trib. Milano 26/7/2012, Est. Scarzella, in D&L 2012, con nota di Davide Bonsignorio, “Sul potere di controllo del datore di lavoro”, 738)
  • Il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del lamentato pregiudizio, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombe sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (confermata, nella specie, la decisione dei giudici di merito, che avevano rigettato la domanda di risarcimento del danno per demansionamento avanzata da un medico direttore del reparto di psichiatria, atteso che il ricorrente aveva omesso di allegare circostanze concrete, dalle quali poter desumere che la riduzione strutturale del servizio di psichiatria territoriale e l’annessa riduzione qualitativa dell’incarico direttivo avesse deteriorato la specifica professionalità del lavoratore e ne avessero compromesso l’evoluzione di carriera). (Cass. 15/6/2012 n. 9860, Pres. Roselli Est. Berrino, in Orient. Giur. Lav. 2012, 276)
  • La perdita di alcuni tratti qualificanti la professionalità di un lavoratore, rilevante sia sul piano dell’autonomia e delle proprie incombenze, sia del potere di coordinamento nel caso di mansioni di secondo livello, può essere valutata come elemento presuntivo al fine del riconoscimento del risarcimento del danno da demansionamento. (Cass. 16/2/2012 n. 2257, Pres. Amoroso Rel. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Silvia Foffano, “Sulla prova del danno da demansionamento”, 811)
  • Il danno patrimoniale non può ritenersi immancabilmente e implicitamente ravvisabile a causa della potenzialità lesiva dell’atto illegittimo (il demansionamento) dovendo necessariamente prodursi una lesione aggiuntiva e per certi versi autonoma, potendo tale lesione consistere sia nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno. Questo pregiudizio non può essere riconosciuto, in concreto, se non in presenza di un’adeguata allegazione con riferimento al pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, sia in punto di effettività del danno che di accertamento del nesso causale con l’evento. (Trib. Milano 15/6/2011, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2011, 1062)
  • Posto che il divieto di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori stabilito dall’art. 2103 c.c. non è derogabile neppure su accordo delle parti, spetta al lavoratore, che abbia richiesto l’assegnazione a un ufficio presso il quale abbia espletato mansioni inferiori a quelle in precedenza svolte, il danno subito, da determinare anche in via equitativa, in base agli elementi desumibili dalla quantità e dalla qualità dell’esperienza lavorativa pregressa, dal tipo di professionalità colpita, dalla durata del demansionamento, dall’esito finale della dequalificazione e dalle altre circostanze del caso concreto. (Cass. 14/4/2011 n. 8527, Pres. Roselli Est. Stile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Ilaria Scanni, “Il danno non patrimoniale da lesione della dignità personale e del prestigio professionale”, 98)
  • Il lavoratore che si assuma danneggiato dalla dequalificazione professionale con svolgimento di conseguente domanda di risarcimento del danno subito deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento. Da ciò ne consegue come il danno patrimoniale non possa ritenersi immancabilmente e implicitamente ravvisabile a causa della potenzialità lesiva dell’atto illegittimo (nel caso di specie il demansionamento) dovendo necessariamente prodursi una lesione aggiuntiva e per certi versi autonoma, potendo tale lesione consistere sia nel pregiudizio derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ovvero nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno. E questo pregiudizio non può essere riconosciuto in concreto se non in presenza di adeguata allegazione con riferimento al pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, sia in punto di effettività del danno che di accertamento del nesso causale con l’evento. (Trib. Milano 24/1/2011, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2011, 420)
  • Ai sensi dell’art. 2103 c.c., il risarcimento del danno da demansionamento presuppone l’effettivo svolgimento da parte del lavoratore delle nuove mansioni o quantomeno la disponibilità a verificare in concreto il contenuto delle stesse. (Trib. Monza 3/5/2010, Est. Pipponzi, in D&L 2010, con nota di Renato Scorcelli, “Sulla tutela del Ccnl di settore per il caso di mutamento della posizione del dirigente”, 859)
  • Costituisce “credito di lavoro”, nella sua ampia accezione, con conseguente applicabilità dell’art. 429 c.p.c. in tema di rivalutazione monetaria e interessi, non solo quello retributivo, ma ogni credito che sia in diretta relazione causale con il rapporto di lavoro e, quindi, il risarcimento dei danni cagionati al lavoratore dall’inadempimento della società datrice di lavoro, fra i quali deve essere ricompreso anche quello derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 2103 c.c. (Cass. 14/4/2010 n. 8893, Pres. Vidiri Est. Bandini, in D&L 2010, con nota di Mirella Morandi, “Sulla maturazione degli interessi e della rivalutazione alle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno da demansionamento”, 845)
  • In caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e alla quantità dell'esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. (Cass. 14/4/2010 n. 8893, Pres. Vidiri Est. Bandini, in Orient. giur. lav. 2010, 359)

     

  • Il danno conseguente al demansionamento va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, frustrazione professionale) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove. (Cass. Sez. Un. 22/2/2010 n. 4063, Pres. Papa Est. Morcavallo, in D&L 2010, con nota di Vania Scalambrieri, “Le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno da demansionamento non sono tassabili”, 502, e in Orient. giur. lav. 2010, 67)

  • Nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, il danno non patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, tali diritti: questi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici) dovrà discriminare i meri pregiudizi – concretizzatisi in disagi o lezioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili, dai danni che vanno risarciti (nella fattispecie il danno risarcibile è stato identificato negli aspetti di vissuta e credibile mortificazione derivanti all’A. dalla situazione lavorativa in cui si trovò a operare). (Cass. Sez. Un. 22/2/2010 n. 4063, Pres. Papa Est. Morcavallo, in D&L 2010, con nota di Vania Scalambrieri, “Le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno da demansionamento non sono tassabili”, 502)

  • La tutela della professionalità involge un duplice profilo: da un lato la necessità di salvaguardare l'aspetto oggettivo della stessa professionalità di modo che il mutamento delle mansioni non determini un impoverimento delle capacità di lavoro o un mancato accrescimento di competenze, con conseguente perdita di chances in sede di ricerca di nuove occupazioni; dall'altro lato l'esigenza di tutelare sotto il profilo soggettivo la dignità dell'essere umano e del lavoratore la cui lesione può comportare sofferenze di vario genere, un pregiudizio sul piano psico-fisico ed effetti negativi nell'ambito delle relazioni interpersonali sia nell'ambiente lavorativo, sia all'esterno. (Trib. Monza 23/7/2009, Est. Dani, in D&L 2009, con nota di Sara Huge, "Ancora in tema di danni da demansionamento", 697)
  • Nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (artt. 32 e 37 Cost.), il danno non patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti della persona del lavoratore, concretizzando un "vulnus" a interessi oggetto di copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo regolati "ex ante" da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale senza duplicare il risarcimento (con l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili - dai danni che vanno risarciti, mediante una valutazione supportata da una motivazione congrua, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia, sotrtatta, come tale, anche quanto alla quantificazione del danno, a qualsiasi censura in sede di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che, in controversia in tema di demansionamento, accertato il nesso di causa tra la condotta illecita datoriale e lo stato depressivo del lavoratore, aveva riconosciuto il danno biologico e il danno morale nell'ambito del danno non patrimoniale, applicando correttamente - al di là delle singole espressioni utilizzate - il sistema bipolare introdotto nel sistema ordinamentale in materia risarcitoria e, quindi, fondando la liquidazione dei danni di cui erano risultati provati l'esistenza e il collegamento causale con l'illegittima condotta datoriale). (Cass. 12/5/2009 n. 10864, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2009, 949)

  • Il Tribunale Amministrativo della Campania, ritenuta la propria giurisdizione in ordine alle questioni risarcitorie inerenti il danno da demansionamento subito da un professore universitario, con funzioni assistenziali oltre che didattiche presso una struttura sanitaria, ritiene quest'ultima responsabile dei postulati danni perché, avendolo privato delle risorse umane e strumentali necessarie, gli ha impedito l'esercizio delle sue funzioni. (TAR Campania 8/5/2009 n. 2480, Pres. D'Alessandro Rel. Pappalardo, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Paola Cosmai, 934) 
  • Con specifico riguardo al danno da demansionamento, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida, non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit, in virtù della regola dell'inferenza pubblica. (Cass. 26/11/2008 n. 28274, Pres. De Luca Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 1149) 
  • Il danno alla professionalità è un danno squisitamente patrimoniale: ai fini del riconoscimento della sua risarcibilità in caso di illegittimo demansionamento, non è possibile prescindere dalla prova effettiva del danno subito. (Trib. Milano 14/8/2008, Est. Mascarello, in Orient. della giur. del lav. 2008, 603)
  • In relazione al danno alla professionalità, va affermata preliminarmente la sua ammissibilità, posto che non si può dubitare del carattere patrimoniale del pregiudizio connesso al mancato svolgimento del lavoro e delle proprie mansioni; né vi è necessità di una prova rigorosa dell'esistenza del danno. In proposito si osserva che - anche a voler escludere che il danno sia in re ipsa - il pregiudizio connesso all'impossibilità di svolgere le proprie mansioni rientra fra le nozioni di comune esperienza; e che la valutazione di tale circostanza può essere fatta valere in base al c.d. "fatto notorio", costituente canone legale di prova, ai sensi dell'art. 115 c.p.c. (Trib. Milano 3/7/2008, Dott. Martello, in Lav. nella giur. 2009, 90) 
  • In tema di danno esistenziale da dequalificazione professionale del lavoratore per fatto ascrivibile al datore di lavoro, incombe al lavoratore non solo dimostrare il fatto dell demansionamento, ma anche allegare e provare l'esistenza del conseguente pregiudizio. Non è sufficiente, pertanto, prospettare l'esistenza della dequalificazione e chiederne genericamente il risarcimento. (Cass. 7/3/2007 n. 5221, Pres. Sciarelli Rel. Lamorgese, in Lav. e prev. oggi 2007, con nota di Roberto Borlè Gioppi, 1649) 
  • La lesione del diritto allo svolgimento di mansioni proprie della qualifica rivestita comporta, secondo un orientamento della sezione lavoro della Cassazione, un danno ex se risarcibile, in via equitativa, mentre secondo altro orientamento della stessa Sezione il lavoratore deve comunque dedurre di avere subito un danno risarcibile ed offrire la relativa prova. (Cass. 4/8/2004, ord., Pres. Ciciretti Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Fabio Massimo Gallo, 335)
  • La negazione o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato (vedasi anche le sentenze della Sezione lavoro, n. 8835/1991, n. 13299/1992, n. 11727/1999, n. 14443/2000, n. 12553/2003): affermazioni dalle quali la stessa Corte ha talora tratto che il danno cagionato dalla lesione di tale diritto è risarcibile anche se esso è di natura non patrimoniale (Cassazione n. 1026/1997; n. 10/2002 già citata, ha precisato che l’affermazione di un valore superiore della professionalità direttamente collegato a un diritto fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente un bene a carattere immateriale in qualche modo supera e integra la precedente affermazione che la mortificazione della professionalità del lavoratore potesse dar luogo a risarcimento solo ove fosse stata fornita la prova dell’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale). (Cass. sez. III civ. 27/4/2004 n. 7980, Pres. Carbone Rel. Sabatini, in Lav. e prev. oggi 2004, 1086)
  • Il danno da demansionamento deriva dalla lesione della professionalità e dell'immagine del dipendente e deve essere liquidato in via equitativa, tenendo anche conto delle difficoltà finanziarie in cui versa il datore di lavoro (nella fattispecie è stata presa a base la metà della retribuzione mensile, rapportata al numero dei mesi presi in considerazione). (Corte d'Appello Firenze 4/2/2003, Pres. Bartolomei Est. Amato, in D&L 2003, 354, con nota di Marco Orsenigo, "Ripartizione dell'onere della prova e criteri per il risarcimento del danno in ipotesi di demansionamento: esame della giurisprudenza")
  • La violazione dell'art. 2103, attraverso dequalificazione o forzata inattività del lavoratore, costituisce un atto illecito - anche quando si continui a corrispondergli, come di norma avviene, la retribuzione - perché il lavoro costituisce non soltanto un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del lavoratore stesso. Il danno da dequalificazione professionale, difatti, non si identifica con il danno derivante dalla mancata corresponsione del trattamento retributivo ma può consistere semplicemente nel mancato aggiornamento e nella mancata pratica della propria professione. Giacché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste un diritto del lavoratore all'effettivo svolgimento della propria prestazione di lavoro (Cass. 15/6/83, n. 4106; Cass. 6/6/85, n. 3372; Cass. 10/2/88, n. 1437; Cass. 13/11/91, n. 12088; Cass. 15/7/95, n. 7708; Cass. 4/10/95, n. 10405), un diritto la cui lesione da parte del datore di lavoro costituisce un inadempimento contrattuale e determina, oltre all'obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, l'obbligo del risarcimento del danno da dequalificazione professionale o, piu' sinteticamente, del danno professionale. Questo danno può assumere aspetti diversi. Innanzitutto può consistere nel danno patrimoniale derivante, in via diretta ed automatica, dalla dequalificazione, dall'impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità (un danno molto evidente e grave nell'esercizio di alcune particolari professioni, soggette ad una continua evoluzione e quindi bisognose di continui aggiornamenti), così come può consistere nella perdita addizionale, a seguito della minor qualificazione (conseguente a dequalificazione), di un maggior guadagno per privazione della possibilità per il lavoratore di sfruttare particolari occasioni di lavoro o, come preferiscono esprimersi alcune decisioni, nella perdita di chance. Peraltro il danno professionale potrebbe assumere anche aspetti non patrimoniali. Potrebbe, ad esempio, costituire una lesione del diritto del lavoratore all'integrità fisica (art. 2087 c.c.) o, più in generale, alla salute (art. 32 Cost.), quando la forzosa inattività, o l'esercizio di mansioni inferiori, ha determinato nel lavoratore non soltanto un dispiacere, una afflizione dello spirito rientrante tra i danni morali, ma una vera e propria patologia psichica, come uno stato ansioso o una sindrome da esaurimento (Cass. 16/12/92, n. 13299) e, secondo alcune decisioni, potrebbe anche costituire una lesione del diritto all'immagine o del diritto alla vita di relazione (Cass. 10/4/96, n. 3341). L'accertamento della sussistenza e dell'ammontare del danno professionale o, meglio, delle varie specie di danni, patrimoniali o personali, compresi in questa ampia denominazione, è compito del giudice di merito e si risolve in una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Cass. 14/11/01, n. 14199, pres. Amirante, est. Giannantonio, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 156)
  • Dall'illegittimo demansionamento può derivare un danno alla capacità professionale che deve essere provato utilizzando criteri di esperienza comune, quali la quantità e qualità dell'esperienza lavorativa pregressa, il tipo di professionalità colpito, la durata del demansionamento e l'esito finale della dequalificazione (Trib. Milano 12/3/01, est. Vitali, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 43)
  • Il demansionamento professionale di un lavoratore non solo viola lo specifico divieto di cui all'art. 2103 c.c. ma ridonda in lesione del diritto fondamentale, da riconoscere al lavoratore anche in quanto cittadino, alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro con la conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, secondo quanto previsto dall'art. 1226 c.c. (così Cass. 18/10/99, n. 11727, che ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore demansionato sull'assunto del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un danno patrimoniale in qualche modo risarcibile; nonché Cass. 6/11/00, n. 14443). Il giudice del merito, accertata l'esistenza di una dequalificazione, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva (sufficiente di per sé sola a sorreggere la decisione: Cass. 18/1/00, n. 491), in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione, e alle altre circostanze relative al caso concreto (In fattispecie sulla base di risultanze testimoniali favorevoli alla sussistenza dei presupposti per il risarcimento danni alla professionalità a causa della riduzione dei poteri del dirigente ed in relazione alla durata dell'inoperosità - per 18 mesi -, è stata confermata la decisione di merito che aveva stabilito la liquidazione equitativa di lire 98 milioni a tale titolo) (Cass. 2/11/01, n. 13580, pres. Saggio, est. De Matteis, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 1623)
  • Dall'illegittimo demansionamento consegue il diritto del lavoratore al risarcimento del danno alla professionalità, inteso in senso lato, con tutte le possibili prospettazioni specifiche (Trib. Milano 17/3/01, est. Chiavassa, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 47)
  • Il demansionamento professionale di un lavoratore dà luogo ad una pluralità di pregiudizi, solo in parte incidenti sulla potenzialità economica del lavoratore; esso infatti non solo viola lo specifico divieto di cui all'art. 2103 c.c., ma costituisce offesa del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro, con la conseguenza che al pregiudizio correlato a tale lesione - che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato - va riconosciuta una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa pure nell'ipotesi in cui sia mancata la dimostrazione dell'effettivo pregiudizio patrimoniale (Cass. 6/11/00, n. 14443, pres. Trezza, est. Mammone, in Dir. lav. 2001, pag. 300, con nota di Salvatori, Dequalificazione professionale, lesione di diritti della personalità e prova del danno)
  • In ipotesi di accertata lesione della professionalità, vanno risarciti al lavoratore sia il danno patrimoniale da perdita di chances sul mercato del lavoro, sia il danno alla dignità, costituente bene protetto da norme di rilievo costituzionale, mentre, va esclusa, nella fattispecie, la risarcibilità del danno biologico, mancando la prova del collegamento causale fra l'inadempimento e il dedotto danno, nonché della imputabilità del danno a dolo o colpa del datore di lavoro (Trib. Milano 22 febbraio 2000, est. Ianniello, in D&L 2000, 446)
  • La mancata ottemperanza, da parte datoriale, alla sentenza di reintegrazione del lavoratore licenziato, anche se risulti l’avvenuto pagamento delle retribuzioni, costituisce comportamento illecito, che obbliga il datore di lavoro all’ulteriore risarcimento del danno alla professionalità subito dal lavoratore, a cagione della forzata inattività (nella fattispecie, e ai fini della liquidazione del danno professionale, è stato ritenuto che il parametro della retribuzione mensile può essere utilizzato come termine di riferimento, ma non integralmente accolto, considerato che la retribuzione compensa, oltre alla professionalità, vari altri elementi, quali il tempo della prestazione e la sua penosità) (Pret. Milano 20/7/99, est. Martello, in D&L 1999, 885)
  • La completa inattività del dipendente produce danni alla personalità, concernenti la vita di relazione e la dignità del lavoratore, nonché alla professionalità intesa con sviluppo di carriera o possibilità di ulteriori ricollocazioni (Pret. Milano 11/3/96, est. Curcio, in D&L 1996, 677)
  • Dall'illegittima esclusione di un lavoratore da un concorso bandito dal datore di lavoro per l'assegnazione di una qualifica superiore discende il diritto del lavoratore al risarcimento del danno sofferto, consistente nella perdita di chances o probabilità di promozione da liquidarsi in via equitativa, non essendo possibile una stima precisa in merito a tali probabilità (Pret. Lucca 26/10/94, est. Bartolomei, in D&L 1995, 648, nota SCORCELLI)