Sindacati in genere

  • Annullato il Regolamento che aveva istituito l’elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni legittimate a promuovere le azioni di classe: illegittimo escludere la titolarità delle associazioni sindacali.
    Importante pronuncia del TAR Lazio, in accoglimento delle azioni proposte dalla Cgil e da USB. La legge n. 31/2019 aveva riformato la disciplina della c.d. azione di classe, estendendola oltre i confini della tutela dei consumatori e consentendone l’utilizzo per la difesa di tutti i «diritti individuali omogenei». In sede di regolamento attuativo, tuttavia, il Ministero di Giustizia aveva emanato un regolamento che limitava l’iscrizione all’elenco pubblico dei soggetti legittimati alle organizzazioni del terzo settore, tagliando fuori, tra l’altro, le associazioni sindacali. Il Tribunale ha giudicato irragionevole e priva di fondamento legale tale limitazione, in considerazione della portata generale del rinnovato strumento di tutela giurisdizionale: il provvedimento è stato dunque parzialmente annullato, per la parte in cui non consente l’iscrizione dei sindacati. (TAR Lazio 23/6/2023, Pres. Amodio Est. Viggiano, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  • A pochi mesi di distanza da Cassazione 35644/2022, i giudici di legittimità tornano a occuparsi del c.d. volantinaggio elettronico, in un caso relativo a un componente della RSU che era stato sanzionato con l’ammonizione scritta per avere effettuato una comunicazione di natura sindacale utilizzando la mail aziendale durante il normale orario di lavoro. Dando continuità ai principi fissati dall’arresto giurisprudenziale del 2022, la Cassazione, nel confermare la sentenza d’appello, osserva che (i) la distribuzione di comunicati a contenuto sindacale mediante la posta elettronica aziendale, essendo assimilabile ad attività di proselitismo, incontra i limiti previsti dall’art. 26, co. 1, St. Lav., e deve pertanto ritenersi consentita solo se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell’attività aziendale; (ii) nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova che l’invio della e-mail a contenuto sindacale avesse determinato un effettivo pregiudizio all’attività della società, limitandosi ad allegare un danno meramente ipotetico, insufficiente a giustificare l’irrogazione della sanzione nei confronti del lavoratore. (Cass. 17/3/2023 n. 7799, Pres. Tria Rel. Di Paola, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 1475, comma 2, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali, invece di prevedere che i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge e non possono aderire ad altre associazioni sindacali. (Corte Cost. 13/6/2018 n. 120, Pres. Lattanzi Rel. Coraggio, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Lambertucci, “La Corte Costituzionale e il sindacato delle forze armate e della polizia a ordinamento militare tra incertezze interpretative e rinvio alla legge”, 998)
  • Posto che la libertà di aderire al sindacato di cui si condividono le opzioni di politica sindacale implica anche quella di sciogliersi dal vincolo associativo nel momento in cui tali politiche non siano più condivise, l’imposizione della linea di azione da parte della maggioranza, anche qualora comportasse effetti limitativi degli interessi di alcuni, non costituirebbe alcuna violazione dei principi previsti dall’ordinamento in materia di libertà dell’attività sindacale e democraticità dell’organizzazione. (Trib. Roma 9/11/2017, Giud. Cardinali, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di L. Torsello, “Democrazia endosindacale e tutela del dissenso: la maggioranza ha sempre ragione, 218)
  • L’art. 9 del d.P.R. n. 58/1978 – che estende alle associazioni sindacali costituite esclusivamente tra lavoratori dipendenti appartenenti alle minoranze linguistiche tedesca e ladina, aderenti alla confederazione maggiormente rappresentativa fra quelle dei lavoratori stessi, i diritti riconosciuti da norme di legge alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, in ordine alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali e comunque in ordine all’esercizio di tutte le attività sindacali – costituisce un’applicazione all’ambito sindacale del principio costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche, garantito dall’art. 6 della Costituzione. (Tar Trentino Alto Adige, sez. Bolzano, 20/5/2015, Pres. Del Gaudio Est. Dell’Antonio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Luca Nogler, “La fine di una ‘gabbia’ etnico-sindacale”, 1134)
  • In caso di costituzione di un’associazione sindacale di sacerdoti e laici senza la necessaria autorizzazione delle gerarchie ecclesiastiche, il mancato riconoscimento da parte delle autorità statali non costituisce violazione dell’art. 11 della Cedu in materia di libertà sindacale, rientrando la scelta di riconoscere o no un’associazione sindacale, le cui finalità potrebbero porre a rischio l’autonomia dell’organizzazione religiosa, nel margine di apprezzamento degli Stati contraenti. (CEDU 9/7/2013, ricorso n. 2330/099, Grande Camera, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di V. Protopapa, “Libertà sindacale e libertà religiosa. Il (non) bilanciamento della Grande Camera”, 471)
  • Gli accordi interconfederali (fra confederazioni sindacali di lavoro e lavoratori) e gli accordi intersindacali (fra sindacati di lavoratori) vincolano solamente le confederazioni stipulanti e non vincolano i sindacati aderenti alle confederazioni, che sono autonomi senza vincoli gerarchici, con autonomia contrattuale equiordinata e paritetica; pertanto le violazioni agli accordi interconfederali e intersindacali hanno rilievo solo politico e di comportamento o endoassociativo, mentre la violazione dell’obbligo di far rispettare gli accordi anche da parte dei sindacati aderenti può essere fatto valere solo dalle confederazioni stipulanti. (Trib. Roma 31/5/2013, Giud. Sennato, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Michele Miscione, 702)
  • Gli accordi interconfederali e intersindacali, nel prevedere criteri selettivi per la partecipazione alla contrattazione collettiva, sono vincolanti per le confederazioni stipulanti e non per i sindacati aderenti; comunque in base agli accordi i sindacati potrebbero avere solo una possibilità e non un diritto di partecipare alla contrattazione, senza che l’esclusione possa comportare invalidità del contratto stipulato dagli altri sindacati. (Trib. Roma 31/5/2013, Giud. Sennato, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Michele Miscione, 702)
  • In considerazione del mutato quadro dei rapporti sindacali, il criterio selettivo di cui all’art. 19, fondato sulla sottoscrizione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, non appare più ragionevole, non potendo costituire adeguato indice della effettiva rappresentatività di un sindacato. Il criterio selettivo scelto dal legislatore attribuisce un potere estremamente incisivo alla parte datoriale, poiché, ove il datore di lavoro decidesse di non firmare alcun accordo collettivo, non vi sarebbe nell’unità produttiva alcuna rappresentanza sindacale. (Trib. Vercelli 25/9/2012, Giud. Aloj, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Paola Bellocchi, “Il ‘caso Fiati’ davanti alla Corte Costituzionale: osservazioni sull’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori”, e Bruno Caruso, “Fiom v. Fiat: hard cases davanti alla Consulta. (A proposito dell’art. 19 dello Statuto)”, 996)
  • È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 lett. b) della legge n. 300 del 1970, che, consentendo la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni che hanno sottoscritto un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, introduce un criterio irragionevole oltre che lesivo della libertà sindacale, in contrasto con gli artt. 3 e 39 della Costituzione. (Trib. Modena 4/6/2012, Giud. Ponterio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Paola Bellocchi, “Il ‘caso Fiati’ davanti alla Corte Costituzionale: osservazioni sull’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori”, e Bruno Caruso, “Fiom v. Fiat: hard cases davanti alla Consulta. (A proposito dell’art. 19 dello Statuto)”, 996, in D&L 2012, con nota di Alberto Vescovini, “Rappresentanze sindacali aziendali e contrattazione separata: l’art. 19 SL è ancora norma adeguata nell’ambito delle nuove relazioni industriali?”, 375, e in Lav. nella giur. 2013, con commento di Barbara de Mozzi, 279)
  • Il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo. Tuttavia, l’esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro (nella specie, sulla funzionalità del servizio espletato dall’impresa), sebbene garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana. Ne consegue che, ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare. (Cass. 14/5/2012 n. 7471, Pres. Miani Canevari Est. Tria, in Orient. Giur. Lav. 2012, 251, e in Riv. It. Dir. lav. 2013, Sabrina Grivet-Fetà “Presupposti e limiti del diritto di critica del lavoratore”, 81)
  • Il divieto di cessioni parziali di credito di natura retributiva da parte dei lavoratori subordinati pubblici e privati, di cui all’art. 5, DPR 5/1/50 n. 182 come novellato dalle leggi 30/12/04 n. 311 e 14/5/05 n. 80, non ha carattere generale, essendo limitato alla sola estinzione di prestiti contratti con soggetti diversi dagli istituti di credito indicati agli artt. 15 e 53 del TU, sicché sono consentite le cessioni parziali di crediti retributivi al datore di lavoro ai fini di contribuzione sindacale. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
  • Il rifiuto datoriale di eseguire i pagamenti al sindacato delle quote di retribuzione cedute dai lavoratori costituisce inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, si configura anche quale condotta antisindacale ex art. 28 SL, ledendo il diritto del sindacato di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. Tale inadempimento può, tuttavia, essere giustificato – con onere della prova a carico del datore di lavoro – nel caso in cui la cessione comporti, in concreto, un onere aggiuntivo insostenibile per l’azienda, nella specie non configurabile in relazione al solo numero elevato delle cessioni che è proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione sindacale e in mancanza di prova del rifiuto del creditore lavoratore cedente a collaborare per un equo contemperamento di interessi. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
  • Il carattere nazionale (del quale deve essere provvista l’organizzazione sindacale per agire ex art. 28 St. lav., ndr) non può desumersi dai dati meramente formali e quindi non è sufficiente un’articolazione nazionale prevista dallo statuto associativo, ma è necessaria anche una effettiva attività diffusa a tale livello. Azione non significa però, necessariamente, stipulazione di contratti collettivi di livello nazionale. (Cass. 17/2/2012 n. 2314, Pres. Ianniello Est. Curzio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giovanni Spinelli, “Il pagamento dei contributi sindacali mediante ritenuta sulle retribuzioni. Orientamenti ‘consolidati’ e nuove prospettive”, 927)
  • È onere del datore di lavoro, il quale intenda opporsi al pagamento delle quote sindacali da parte dei lavoratori mediante la cessione del credito, dimostrare che tale strumento comporti a proprio carico un nuovo onere, aggiuntivo e insostenibile, in rapporto all’organizzazione aziendale; tale onere probatorio non è assolto ipso facto per la sola circostanza delle grandi dimensioni dell’impresa, posto che maggiori dimensioni occupazionali presuppongono normalmente un’adeguata struttura amministrativa. (Cass. 20/4/2011 n. 9049, Pres. Vidiri Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2011, 738)
  • In assenza di espressa disposizione circa l'immediata caducazione dei contratti collettivi vigenti nel pubblico impiego, e sussistendo per contro l'espressa previsione di un iter temporale scandito per l'adeguamento dei contratti collettivi al D.Lgs. 27/10/09 n. 150, il sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impiego resta disciplinato, anche dopo l'entrata in vigore del suddetto D.Lgs., dai contratti nazionali vigenti sino alla prevista scadenza. (Trib. Trieste 5/10/2010, Est. Rigon, in D&L 2010, con nota di Luca Busico, "Relazioni sindacali e riforma Brunetta: prime questioni applicative", 1008)
  • Qualora il CCNL di categoria stabilisca che il contributo sindacale mensile si calcoli con una determinata percentuale della sola paga base tabellare e il datore di lavoro operi la ritenuta non su tale paga, ma anche su altre voci retributive quali "aumenti di anzianità", "assegno ad personam", "contingenza", "indennità traghetto", si configura un'ipotesi di inesatto inadempimento dell'obbligazione di corresponsione della retribuzione e, pertanto, il datore di lavoro è tenuto a restituire al lavoratore la somma risultante dalla differenza tra quanto trattenuto e quanto avrebbe dovuto trattenere secondo il suddetto criterio. (Trib. Napoli 11/3/2009, Giud. Santulli, in Lav. nella giur. 2009, 633)
  • Le associazioni sindcali sono legittimate ad agire a tutela dei diritti dei propri iscritti collettivamente considerati: in particolare, la legittimazione a ricorrere avverso un regolamento di riorganizzazione di un Ministero trova conferma nella necessaria partecipazione del sindacato al procedimento di approvazione del regolamento stesso, ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 165 del 2001. (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
  • Sussiste l'interesse a ricorrere in capo al sindacato avverso un atto che, mediante la soppressione e riorganizzazione degli uffici dell'amministrazione, ha un immediato effetto lesivo sulla posizione del personale complessivamente rappresentato dall'associazione sindacale (nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ritenuto che il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, d.p.r. n. 43/2008, fosse immediatamente lesivo per il personale collettivamente rappresentato dal sindacato ricorrente). (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
  • Il diritto di indire assemblee sindacali in orario di servizio spetta alla RSU nel suo complesso, quale organismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, e non anche ai singoli componenti, come previsto dall'art. 8 CCNL Scuola del 2003 anche allorché il componente aderisca a Organizzazione sindacale non firmataria di tale contratto collettivo, a nulla rilevando la diversa previsione contenuta nel regolamento interno della RSU. (Sulla qualificazione giuridica dell'organismo rappresentativo dei lavoratori, si veda la Corte di Cassazione, sezione lavoro, sent. 16 febbraion 2005, n. 3072, in questa Rivista, fasc. 2 del 2005, 387 ss., con nota di Francesca Maria Macioce). (Trib. Bari 20/9/2008, Est. Spagnoletti, in Lav. nelle P.A. 2008, 1135)  
  • L'art. 19 della L. n. 300/1970 si interpreta nel senso che per "associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro stipulati nell'unità produttiva" si devono intendere le associazioni che abbiano stipulato contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, provinciale, aziendale), ma necessariamente di natura normativa, restando esclusi gli accordi gestionali, che non rientrano nella previsione di cui all'art. 39 della Costituzione e non sono, per loro natura, atti a comprovare la rappresentatività richiesta dalla norma. (Cass. 11/7/2008 n. 19275, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Luca Ratti, 45) 
  • L’identità di un soggetto associativo (Federazione, ammesso ai sensi degli artt. 42 e 43, D. Lgs. N. 65/2001 alla contrattazione collettiva nazionale, non viene meno a seguito del recesso di alcune associazioni sindacali già aderenti e all’ingresso di altre, ovvero a seguito della modifica della propria denominazione, ciò in virtù del principio generale secondo cui l’identità giuridica dei soggetti collettivi non muta a causa della risoluzione di alcuni rapporti di adesione né a causa della partecipazione di altri soggetti. Sarebbe infatti del tutto arbitrario sostenere che la permanenza dell’identità del soggetto sindacale sia legata ad un tasso, indeterminato ed indeterminabile, di conservazione quali-quantitativa della propria originaria composizione associativa. (Trib. Roma 9/9/2004, Pres. Fioriolui Banchieri Rel. Conte, in Lav. nella giur. 2005, 188)
  • L’effetto del referendum abrogativo dell’art. 26 dello Statuto e del conseguente decreto del Presidente della Repubblica è stato di eliminare dall’ordinamento il secondo comma di tale articolo; sicchè è venuto meno l’obbligo per il datore di lavoro di operare, su richiesta del dipendente, la trattenuta sindacale in favore dell’organizzazione di appartenenza. In tal modo, tuttavia, non si è affatto posto un divieto e resa illecita la riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro. Molto più semplicemente, deve ritenersi che per effetto del referendum abrogativo e del successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 28 luglio 1995, la materia è stata restituita all’autonomia privata, individuale e collettiva (corte Cost. n. 13 del 12 gennaio 1995). Come ha rilevato il giudice delle leggi, l’intento dei promotori del referendum era quello di “restituire la materia all’autonomia privata, facendo venir meno l’obbligo legale di cooperazione gravante sul datore di lavoro. Tale obbligo giuridico scaturente dalle abrogande disposizioni, avrebbe in concreto determinato un vincolo contributivo a tempo indeterminato a carico del lavoratore, indipendentemente dalla permanenza del vincolo associativo”. In altre parole, l’obiettivo del referendum non era quello di evitare che attraverso altri strumenti riconducibili all’autonomia negoziale privata o a quella collettiva, il datore di lavoro fosse tenuto ad accreditare i contributi in favore delle associazioni sindacali. Tanto è vero che gli stessi promotori menzionavano, tra gli istituti utilizzabili ai “medesimi fini”, proprio la cessione di credito, accanto alla delegazione di pagamento, dimostrando così di non ritenere contrario allo spirito della consultazione popolare un meccanismo di accredito dei contributi realizzato, sul piano dell’autonomia negoziale, anche a prescindere dalla volontà del datore di lavoro. In precedenti occasioni, questa Corte ha avuto modo di sottolineare come il rifiuto dell’azienda di effettuare le trattenute sindacali – laddove i lavoratori abbiano rilasciato autorizzazione al datore di lavoro di trattenere sulle retribuzioni i contributi sindacali e di versarli ad associazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda – concreti un comportamento che lede non solo i diritti del singolo lavoratore ma anche quelli del sindacato destinatario dei contributi e perciò costituisce un ostacolo all’esercizio ed allo sviluppo dell’attività, configurando così un’ipotesi di condotta sindacale (Cass. 16/3/2001 n. 3813; Cass. 5/2/2000 n. 1312; Cass. 9/9/1191 n. 9470) e, pertanto, a tale giurisprudenza si ritiene di aderire. (Cass. 26/2/2004 n. 3917, Pres. Mattone Rel. Filadoro, in Lav. e prev. oggi 2004, 1248)
  • L'attività di volantinaggio, non implicando interruzioni dell'attività lavorativa, non fa parte delle prerogative del solo membro della Rsu, ma appartiene alla "agibilità sindacale" che rientra nella libertà sindacale riconosciuta ad ogni lavoratore. (Trib. Milano 17/2/2004, decr., Est. Frattin, in D&L 2004, 312)
  • È legittima – e costituisce condotta antisindacale il diniego datoriale al riguardo – la richiesta del lavoratore di cedere con delega (contenente facoltà di revoca) al proprio sindacato una quota di retribuzione a titolo di contributo sindacale di affiliazione. Osserva infatti il giudicante a fronte delle eccezioni datoriali: perché non dovrebbe essere consentito al sindacato, ente portatore di valori ritenuti dal Costituente e dal legislatore meritevoli di speciale tutela, di ottenere ciò che una qualunque società finanziaria automaticamente ottiene? E perché il cittadino lavoratore potrebbe cedere parte del suo salario a tutti ma non ad un’organizzazione sindacale, subendo così una riduzione dei suoi diritti civili senza ben pregnanti ragioni e anzi venendo limitato proprio nell’esercizio del suo diritto di sostenere nel modo ritenuto più opportuno il sindacato di sua fiducia soltanto perché lo stesso non ha stipulato contratti collettivi? Quest’ultima condizione discriminante, se può giustificare un trattamento preferenziali dei sindacati stipulanti sul piano dei diritti strettamente sindacali, in nessun modo può rilevare nel rapporto lavoratore-sindacato da un lato e nello status del cittadino lavoratore dall’altro, entrambi regolati dalle norme del diritto civile. (Trib. Milano 3/2/2004, Giud. Frattin, in Lav. e prev. oggi 2004, 1256)
  • Deve essere esclusa la possibilità per il sindacato di agire insieme al singolo lavoratore (nella forma di intervento ad adiuvandum) per contrastare un comportamento datoriale offensivo anche delle ragioni collettive del sindacato, dal momento che esso sindacato ha a disposizione rimedi processuali azionabili direttamente contro il datore di lavoro ex art. 28, L. n. 300/1970, piuttosto che la minorata difesa dell’intervento ad adiuvandum, ammissibile viceversa da parte del singolo lavoratore in appoggio all’azione sindacale ogniqualvolta egli possa dirsi titolare di un interesse individuale, ma compreso e dipendente dall’interesse collettivo dedotto in giudizio dal sindacato. (Trib. Bari 26/11/2003, ord., Est. Caso, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Alessia Muratorio, 1185)
  • Anche in assenza di un accordo tra le parti che ne definisca le modalità d'esercizio, gli istituti di patronato hanno diritto, ai sensi dell'art. 12 SL, di accedere nei locali aziendali e di usufruire di un locale e di spazi di affissione. (Corte d'Appello Napoli 15/3/2002, Pres. Buonajuto, Est. Villari, in D&L 2002, 769)
  • E' da considerarsi attività sindacale - non condizionata, per le R.s.a., allo spiegamento esclusivamente all'interno dell'azienda da alcuna disposizione di legge - l'iniziativa di redazione e di volantinaggio anche all'esterno di un pamphlet a cura dei membri della stessa R.s.a., riconducibile alla libera manifestazione del pensiero. I sindacalisti interni, nell'esercizio del loro ruolo, si sottraggono ai vincoli della subordinazione tipica degli altri dipendenti e si pongono su di un piano paritetico con il datore di lavoro nei cui confronti assumono l'iniziativa dialetticamente antagonista. Tuttavia l'attività di critica o di satira che essi esercitano - per quanto colorita ed aggressiva - non si sottrae ai limiti del criterio della continenza formale (ossia non può essere sganciata da ogni limite di forma espositiva), con la conseguenza del divieto di attribuzione alle controparti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari ed infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo ed il dileggio (Cass. 24/5/01, n. 7091, pres. Ianniruberto, est. La Terza , in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1208)
  • L'art. 11, nn. 1 e 2 , della direttiva del Consiglio 22/9/94, 94/45/CE, riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, va interpretato nel senso che esso impone ad un'impresa che fa parte di un gruppo di imprese l'obbligo di fornire agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori informazioni, anche qualora non sia stato ancora accertato che vi sia una impresa che esercita il controllo all'interno di un gruppo di imprese (Corte Giustizia Europea 29/3/01, C-62/99, in Lavoro giur. 2002, pag. 147, con nota di Menegatti, Le informazioni sulla struttura del gruppo di imprese comunitarie)
  • Se i dati sulla struttura o l'organizzazione di un gruppo di imprese fanno parte delle informazioni indispensabili all'avvio delle trattative per l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura di informazione e di consultazione transnazionale dei lavoratori, tocca ad una impresa di tale gruppo fornire detti dati che essa possiede o che è in grado di ottenere agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori che ne fanno richiesta. La trasmissione di documenti che precisino e che chiariscano informazioni indispensabili allo stesso scopo può parimenti essere richiesta, purché tale trasmissione sia necessaria perché i lavoratori interessati o i loro rappresentanti possano accedere alle informazioni necessarie per poter valutare se essi abbiano il diritto di richiedere l'avvio di trattative (Corte Giustizia Europea 29/3/01, C-62/99, in Lavoro giur. 2002, pag. 147, con nota di Menegatti, Le informazioni sulla struttura del gruppo di imprese comunitarie)
  • Rientra nell'autonomia privata individuale - della quale l'adesione ad organizzazioni sindacali è espressione in base ai principi costituzionali (al riguardo: cfr. artt. 18 e 39 Cost.) - lo stabilire la decorrenza, e, più in generale, la durata (iniziale e finale) del vincolo associativo (Cons. Stato 22/5/00, parere n. 451, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 1099, con nota di Antonini, Scissione di organizzazioni sindacali e rilevanza delle nuove deleghe ai fini dell'accertamento della rappresentatività)
  • Le 00.SS., quando svolgono la procedura di informazione e consultazione sindacale, eventualmente stipulando un accordo, agiscono nella veste di soggetti istituzionalmente portatori di interessi diffusi e riferibili a tutti i lavoratori coinvolti nella procedura (Cass. sez. un. 11 maggio 2000 n. 302, pres. Vela, est. Prestipino, in D&L 2000, 691, n. Muggia)