In genere

  • Nelle procedure di arbitrato irrituale in materia di lavoro privato, il lodo non è impugnabile nelle forme e nei modi ordinari ma, ai sensi dell’art. 412-quater c.p.c., in unico grado innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro, la cui sentenza è ricorribile in cassazione; ne consegue l’inammissibilità dell’eventuale impugnazione in appello e, trattandosi di incompetenza per grado, la non operatività del principio in forza del quale la decadenza dalla impugnazione è impedita dalla proposizione del gravame ad un giudice incompetente. (Cass. 9/6/2020 n. 10988, Pres. Berrino Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2020, 1097)
  • Poiché il lodo arbitrale irrituale previsto dal CCNQ 23 gennaio 2001 per il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ha natura negoziale, esso non è impugnabile per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono vulnerare le manifestazioni della volontà negoziale. (Trib. Bologna 5/11/2008 n. 551, in Lav. nelle P.A. 2009, 139) 
  • La richiesta di impugnazione, dinanzi all'arbitro unico, in base al CCNQ 23 gennaio 2001, di sanzione disciplinare non risolutiva del rapporto di lavoro, formulata oltre il termine di 20 giorni dalla applicazione della sanzione stessa, non vincola l'amministrazione, la quale, tuttavia, pur non avendone l'obbligo, può aderirvi, esercitando la capacità e i poteri del privato datore di lavoro conferitile dall'art. 5 del d.lgs. 165/2001; pertanto, se a fronte di siffatta richiesta l'amministrazione accetta che venga avviato e si concluda il procedimento di nomina dell'arbitro a norma dell'art. 3 del menzionato contratto quadro essa non può successivamente sollevare in alcun momento della procedura arbitrale l'eccezione di tardività per mancato rispetto da parte del lavoratore del menzionato termine di 20 giorni perchè ciò equivarrebbe a una non più ammissibile (v. art. 3, commi 2 e 3, del cit. CCNQ) revoca del consenso già prestato. (Cass. 26/2/2008 n. 5045, Pres. Ianniruberto Est. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 873)
  • Nell’art. 32 D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 non è ravvisabile alcun profilo di illegittimità costituzionale, in quanto esso non prevede un arbitrato cosiddetto obbligatorio e risulta per questo aspetto rispettoso dei principi affermati dalla Corte Costituzionale circa il fondamento dell’arbitrato sull’accordo delle parti. L’art. 32 D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 attribuisce all’arbitrato il carattere di “amministrato”, e questo non appare in contrasto con la Costituzione. L ’art. 32 D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 dispone un’ampia delegificazione, in coerenza con la filosofia cui è improntata tutta la L. 11 febbraio 1994, n. 109, con l’indicazione dei criteri (rispetto dei principi del codice di procedura civile per il procedimento arbitrale; principi di trasparenza, imparzialità e correttezza per la camera arbitrale), cui l’esercizio della potestà regolamentare deve attenersi. L’art. 150, terzo comma, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 è illegittimo in quanto esorbita dai limiti fissati dalla normativa primaria che non contiene alcuna previsione, che comunque sarebbe dovuta essere espressa, circa l’attribuzione della potestà regolamentare del Governo della fissazione dei criteri per la composizione dei collegi arbitrali e, tanto meno, della sottrazione alle parti del potere di scegliere d’accordo tra di loro il terzo arbitro, che sovente costituisce l’ago della bilancia del giudizio arbitrale. Quand’anche volesse ammettersi la sussistenza della potestà regolamentare, l’art. 150, 3° comma, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 sarebbe illegittimo perché in contrasto con i principi sanciti dagli artt. 809 e segg. c.p.c. ritenuti fondamentali dall’art. 32, 2° comma, L. 11 febbraio 1994, n. 109. L’arbitrato non può che essere facoltativo e volontario, sia per la scelta di esso compiuta dalle parti in luogo dei rimedi ordinari, che per la scelta degli arbitri fatta liberamente dalle parti stesse, tanto che, se i componenti di un collegio siano designati con criteri diversi da quelli della libera scelta delle parti, si tratterebbe di un vero e proprio organo di giurisdizione speciale, come tale, illegittimo.  L’individuazione delle norme che devono essere osservate nel procedimento arbitrale appartiene alla disponibilità delle parti (art. 816, 2° comma c.p.c.) salva la facoltà degli arbitri, in caso di mancanza di tali norme, di regolare lo svolgimento del giudizio nel modo che ritengono più opportuno (art. 816, 3° comma c.p.c.), fatti salvi il diritto di difesa delle parti o il principio del contraddittorio. I principi di diritto processuale generale che costituiscono l’intelaiatura fondamentale dell’intero codice di procedura civile sono applicabili anche al procedimento arbitrale.  Le disposizioni che sono frutto di scelta legislativa per il solo processo ordinario non possono assurgere al rango di capisaldi del diritto processuale e, come tali, sono derogabili attraverso una scelta legislativa di pari rango qual è quella effettuata dall’art. 32 L. 11 febbraio 1994, n. 109. Gli arbitri amministrati altro non sono che forme assistite da un’istituzione a ciò preposta, che provvede ad una serie di incombenze pratiche, svolgendo sostanzialmente una funzione di controllo dell’intero processo arbitrale, al fine di rendere meno litigioso lo svolgimento della procedura arbitrale, senza che ciò comporti alcun rapporto tra gli arbitri e la istituzione, arbitri che nel momento in cui accettano, si impegnano esclusivamente nei confronti delle parti. (Consiglio di Stato 17/10/2003 n. 6335, Pres. Salvatore Rel. Leoni, in Giur. It. 2004, 61, con nota di Massimiliano Nisati e Giuseppe Cassano, “La composizione dei collegi arbitrali dopo la dichiarazione di illegittimità dell’art. 150. 3° comma, D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554”)
  • Nell'arbitrato irrituale - tale è ai sensi dell'art. 412 ter c.p.c., l'arbitrato previsto dai contratti o accordi collettivi in base al quale le parti concordano di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia - il termine prefissato dalle parti per la pronunzia del lodo è per natura e struttura "essenziale" e pertanto alla sua osservanza sono subordinate la regolarità della decisione arbitrale e la riferibilità della stessa ai compromettenti, salvo che questi abbiano manifestato una diversa volontà, dovendosi considerare estinto alla scadenza del termine prefissato dalle parti il mandato, secondo la disciplina del mandato applicabile all'arbitrato irrituale. (Trib. Milano 14/4/2003 n. 1145, Est. Porcelli, in Lav. nella giur. 2003, 1168)
  • Poichè il lodo emesso nel dicembre del 1998 (in controversia instaurata mediante impugnazione di licenziamento disciplinare intimato da un comune) dal collegio arbitrale previsto dall'art. 59, 7° comma, d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, costituito presso lo stesso comune, ha natura rituale, deve cassarsi la sentenza del tribunale, che, investito dall'impugnazione avverso il medesimo lodo, la ritiene devoluta alla cognizione del pretore in funzione di giudice del lavoro, con rinvio della causa alla Corte d'Appello stante l'intervenuta istituzione, nelle more, del giudice unico di primo grado. (Cass. 7/1/2003, n.44, Pres. Ianniruberto, Est. Amoroso, in Foro it. 2003, parte prima, 437)
  • Le censure nei confronti dei lodi irrituali sono costituite dalla nullità per violazione di norme inderogabili di legge ex art. 1418 c.c., nonché dall'annullabilità per errore, violenza o dolo a norma degli artt. 1427 c.c. e ss. Non è possibile ricondurre all'errore essenziale o sostanziale ex art. 1429 c.c. un diverso apprezzamento di fatto e di diritto rispetto a quello compiuto dagli arbitri con la loro decisione. Non è quindi rilevante, ai fini dell'impugnazione, l'errore di giudizio di fatto e in diritto. (Cass. 10/7/2002, n. 10035, Pres. Dell'Anno, Est. Filadoro, in Riv. it. dir. lav. 2003, 644, con nota di Chiara Ceccarelli, A piccoli passi verso un giudizio arbitrale unitario)