Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti

  • Confligge col divieto comunitario di discriminazione dei lavoratori assunti a tempo determinato la disciplina dell’art. 1 comma 2 del d.lgs. 23/2015, che applica le disposizioni del contratto di lavoro a tutele crescenti anche ai rapporti di lavoro instaurati a tempo determinato prima del 7 marzo 2015, successivamente convertiti in contratti di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Milano 5/8/2019, ord., Est. Pazienza, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G. Burragato, “Licenziamenti collettivi e tutele crescenti: il Tribunale di Milano rinvia alla Corte di Giustizia”, 533)
  • Non è conforme ai principi comunitari di parità di trattamento e adeguata tutela avverso i licenziamenti ingiustificati la disciplina dell’art. 10 del d.lgs. 23/2015, che prevede nei confronti dei lavoratori con contratto a tutele crescenti licenziati per riduzione di personale in violazione dei criteri legali o contrattuali di selezione dei lavoratori in esubero una compensazione esclusivamente pecuniaria e soggetta a massimale. (Trib. Milano 5/8/2019, ord., Est. Pazienza, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di G. Burragato, “Licenziamenti collettivi e tutele crescenti: il Tribunale di Milano rinvia alla Corte di Giustizia”, 533)
  • Ai fini della pronuncia di cui all’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23 del 2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto il caso in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare (nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva applicato la tutela indennitaria ex art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, seppure la condotta tenuta dalla lavoratrice, che era stata licenziata per essersi brevemente allontanata dal posto di lavoro per andare a consumare uno spuntino veloce al bar di fronte, fosse di modesta gravità disciplinare). (Cass. 9/5/2019 n. 12365, Pres. Di Cerbo Rel. Boghetich, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di R. Del Punta, “Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione”, 494)
  • Nella quantificazione dell’indennità collegata al licenziamento ingiustificato, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 2018, va riconosciuto valore preminente al dato dell’anzianità di servizio, non potendosi risolvere l’indicazione della Consulta in un danno per il lavoratore. (Trib. Cosenza 20/2/2019 n. 234, Est. Ferrentino, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di M. Verzaro, “Limiti alla discrezionalità pratica: nulla poena sine lege”, 481)
  • Nell’ipotesi di licenziamento ingiustificato per insussistenza del fatto contestato nelle imprese con meno di quindici dipendenti, l’indennità di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 23/2015, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 194 del 2018, va determinata a partire dall’anzianità di servizio del lavoratore tenuto conto degli altri criteri desumibili in chiave sistematica dalla disciplina limitativa dei licenziamenti. (Trib. Cosenza 20/2/2019 n. 234, Est. Ferrentino, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di M. Verzaro, “Limiti alla discrezionalità pratica: nulla poena sine lege”, 481)
  • Se il licenziamento intimato dal datore di lavoro che non raggiunge i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, commi 8 e 9, della legge n. 300 del 1970 è privo di giustificato motivo oggettivo, l’entità dell’indennizzo dovuto al lavoratore in applicazione dell’art. 9, co. 1, d.lgs. n. 23/2015, deve essere determinata alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018, interpretando il riferimento all’ammontare delle indennità e dell’importo previsti dall’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 23/1015 in relazione a tutti i criteri risarcitori indicati dalla predetta sentenza, tenendo altresì conto che nel caso del citato art. 9, comma 1, il limite dettato dal legislatore, dimezzato per il datore di lavoro che non raggiunge i suddetti requisiti dimensionali, è soltanto massimo. (Trib. Genova 21/11/2018, ord., Est. Basilico, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di P. Albi, “Giudici, legislatori e piccole imprese dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018”, 168)
  • Contro il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato, il legislatore ordinario è libero di scegliere tra un apparato sanzionatorio centrato sul ripristino del rapporto e uno centrato sull’indennizzo monetario. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • La misura massima dell’indennizzo per il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato, stabilita originariamente in 24 mensilità dal d.lgs. 23/2015, art. 3, c. 1, è adeguata e ragionevole in relazione alla finalità di un adeguato ristoro del danno prodotto dal licenziamento ingiustificato e di un adeguato effetto dissuasivo contro questo comportamento datoriale antigiuridico; a maggior ragione lo è il limite massimo aumentato a 36 mensilità dal decreto-legge n. 87/2018. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Al legislatore ordinario non è consentito determinare l’indennizzo dovuto dal datore per il licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato in una misura che varia rigidamente in funzione della sola anzianità di servizio del lavoratore, come è previsto dal d.lgs. n. 23/2015, art. 3, c. 1, perché in questo modo si finisce per trattare allo stesso modo situazioni diverse, in relazione alle dimensioni dell’azienda, al comportamento delle parti, alle loro condizioni economiche e anche ad altre circostanze rilevanti per la quantificazione del pregiudizio sofferto dalla persona licenziata in concreto, al quale deve essere commisurato l’indennizzo. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Non è adeguata né ragionevole la misura minimo dell’indennizzo stabilita originariamente in 4 mensilità dal d.lgs. n. 23/2015, art. 3, c. 1; e non lo è neppure la misura minima aumentata a 6 mensilità dal decreto-legge n. 87/2018. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Non è incostituzionale la differenziazione della disciplina dei licenziamenti a seconda che il recesso venga intimato prima dell’entrata in vigore della nuova norma o dopo. (Corte Cost. 26/9/2018 n. 194, Pres. Lattanzi Est. Sciarra, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Ichino, “Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l’indennizzo nella sentenza della Consulta”, e M.T. Carinci, “La Corte Costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs Act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema”, 1031)
  • Possono ritenersi ricomprese nel campo di applicazione del d.lgs. n. 23/2015 in materia di contratto a tutele crescenti solo le ipotesi che possono considerarsi realmente nuove assunzioni, o le ipotesi di contratto a tempo determinato stipulati prima del 7 marzo 2015, ma che subiscano una “conversione” in senso tecnico in data successiva, per via giudiziale o stragiudiziale. (Trib. Roma 6/8/2018, Est. Rossi, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di L. Ratti, “Considerazioni critiche sul concetto di ‘conversione’ nel discrimine temporale del regime a tutele crescenti”, 71)
  • È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 7, lett. g, legge n. 183/2014 e degli artt. 2, 3, 4 del d.lgs. n. 23/2015, per contrasto con gli artt. 3, 4, 76 e 117, co. 1 Cost., letti autonomamente e anche in correlazione fra loro. (Trib. Roma 26/7/2017, ord., in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di G. Proia, “Sulla questione di costituzionalità del contratto a tutele crescenti”, 768)
  • La disposizione di cui all’art. 3, c. 2, del d.lgs. n. 23/2015 presenta elementi di irrazionalità, dal momento che addossare al lavoratore la prova diretta di un fatto negativo contrasta con il principio di vicinanza della prova e con l’art. 5 della l. n. 604/1966. Pertanto, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, il lavoratore può avvalersi della prova presuntiva e indiretta, e la mancata prova del fatto positivo allegato da parte del datore di lavoro a fondamento del licenziamento equivale alla dimostrazione in giudizio del fatto negativo (onere di per sé talmente gravoso da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto alla reintegra). (Trib. Milano 14/3/2017, Est. Cassia, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Negri, “L’insussistenza del fatto materiale e la ripartizione dell’onere probatorio: un’interpretazione costituzionalmente orientata”, 617)