In genere

  • Secondo la formulazione dell'art. 23 del R.D. n. 1127/1939 non solo la fattispecie normativa dell'invenzione di servizio,ma anche quella dell'invenzione d'azienda - rispettivamente previste nel primo e nel secondo comma di detto articolo - presuppongono lo svolgimento da parte del dipendente di un'attività lavorativa di ricerca volta all'invenzione. Ne discende necessariamente che, in difetto del carattere inventivo dell'attività dedotta in contratto, si resta al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 23, dovendo invece trovare applicazione il successivo art. 24 relativo alle c.d. invenzioni occasionali. (Corte app. Milano 28/3/2007, Pres. e Rel. Salmeri, in Lav. nella giur. 2008, 93) 
  • Sia l’invenzione di servizio che l’invenzione di azienda – rispettivamente previste nel primo e nel secondo comma dell’art. 23, R.D. 29 giugno 1939, n. 1127 – presuppongono lo svolgimento, da parte del dipendente, di un’attività di ricerca volta all’invenzione, mentre l’elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un’esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell’attività inventiva, in difetto della quale (e il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro), spetta al dipendente autore dell’invenzione l’attribuzione dell’equo premio previsto dal suddetto art. 23. (Cass. 24/1/2006 n. 1285, Pres. Mercurio Rel. Di Cerbo, in Lav. Nella giur. 2006, 700)
  • Secondo la formulazione testuale dell’art. 23 legge brevetti non solo la fattispecie normativa dell’invenzione di servizio, ma anche quella dell’invenzione di azienda, presuppongono un’attività lavorativa inventiva. Ne discende necessariamente che, mentre in difetto del carattere inventivo dell’attività dedotta in contratto si resta al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 23 (dovendo invece trovare l’applicazione dell’art. 24 l.b. relativo alle cosiddette invenzioni occasionali), in presenza di un’attività di ricerca diretta all’invenzione, prevista da entrambi i comma dell’art. 23, l’elemento distintivo non può che essere rintracciato nell’esplicita previsione contrattuale di una specifica retribuzione volta a compensare l’attività inventiva, in mancanza della quale spetta l’equo premio. (Trib. Milano 7/5/2005, Est. Sala, in Orient. Giur. Lav. 2005, 296)
  • Nelle invenzioni d'azienda, la brevettazione (e non la mera brevettabilità) costituisce condicio iuris per l'esigibilità del premio, il cui obbligo può venir meno solo con la rimozione, con effetto ex tunc, del brevetto, che si può ottenere con la declaratoria giudiziale di nullità dello stesso, non in via meramente incidentale, ma unicamente quale esito dello speciale procedimento disciplinato dal r.d. 29/6/39, n. 1127 (Cass. 5/6/00, n. 7484, pres. De Musis, est. Foglia, in Foro it. 2001, pag. 554, con nota di Menasci; in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 437, con nota di Marasciuolo, Invenzioni di azienda e diritto del lavoratore all'equo premio)
  • Il criterio dell’importanza dell’invenzione, previsto dal 2° comma dell’art. 23 del RD29/6/39 n.1127, per la quantificazione dell’equo premio dovuto al lavoratore in caso di invenzione rientrante nella fattispecie disciplinata da tale norma, consente di tener conto anche del beneficio economico apportato al datore di lavoro dall’invenzione del lavoratore (Trib. Milano 30/4/96, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 346, n. Bernini, Sulla determinazione dell'equo premio dovuto al lavoratore ai sensi dell'art. 23, c. 2, RD 1127/39)
  • Le fattispecie previste, rispettivamente, dai commi 1 e 2 dell'art. 28 RD 29/6/39 n. 1127, pur avendo in comune la realizzazione di un'invenzione nell'ambito dell'esecuzione di un contratto di lavoro subordinato e l'appartenenza al datore di lavoro dei relativi diritti di utilizzazione economica, si caratterizzano per il fatto che, nella prima (c.d. invenzione di servizio), l'obbligo del lavoratore di indirizzare le proprie energie lavorative a uno specifico risultato inventivo, ancorché indeterminato nei connotati, costituisce l'oggetto del contratto, con la conseguenza che il pagamento della retribuzione esaurisce ogni dovere del datore di lavoro sul piano della corrispettività delle prestazioni, mentre, nella seconda (c.d. invenzione di azienda), l'invenzione non costituisce lo sbocco prefigurato e voluto come proprio della prestazione del lavoratore e, pertanto, la retribuzione non remunera la perdita da parte del lavoratore dei diritti di sfruttamento economico dell'invenzione, ma soltanto la semplice messa a disposizione delle sue energie lavorative, ragione per cui al lavoratore spetta il diritto all'equo premio; poiché le disposizioni contenute nei primi due commi del citato art. 23 comportano l'appartenenza al datore di lavoro dei diritti derivanti dall'invenzione – con ciò derogando vistosamente al principio fondamentale secondo cui è l'autore dell'invenzione a essere titolare dei diritti di utilizzazione economica – le norme che escludono il diritto del dipendente all'equo premio debbono essere interpretate restrittivamente e, pertanto, qualora il datore di lavoro assuma che nel corso del rapporto l'oggetto del contratto di lavoro si sia modificato per essere stato dedotto lo svolgimento da parte del dipendente di attività inventiva, deve essere accertato in modo rigoroso l'effettivo affidamento al lavoratore di uno specifico incarico a svolgere l'attività inventiva che ha condotto all'invenzione brevettata, l'effettiva modificazione rilevante della prestazione del lavoratore nonché la corresponsione di una specifica retribuzione (Trib. Milano 16/12/94, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1995, 391, con nota redazionale)