In genere

  • Il c.d. aliunde perceptum non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed è dunque rilevabile d’ufficio dal Giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo. Per tale ragione, l’eccezione di detrazione dell’aliunde perceptum non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino ex actis. (Cass. 16/2/2021 n. 4056, Pres. Arienzo Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2021, 548)
  • In caso di licenziamento illegittimo, la decorrenza dell’indennità risarcitoria si produce a partire dalla data dell’avvenuto licenziamento e non da quella della notifica del ricorso di primo grado. (Cass. 14/1/2021 n. 546, ord., Pres. Balestrieri Rel. Pacilli, in Lav. nella giur. 2021, 418)
  • È costituzionalmente illegittimo l’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui stabilisce che in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali e procedurali l’indennità risarcitoria sia quantificata in modo automatico e fisso in una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio. (Corte Cost. 16/7/2020 n. 150, Pres. Cartabia Est. Sciarra, in Lav. nella giur. 2020, con nota di C. Cester, Una pronuncia scontata: vizi formali e procedurali del licenziamento e inadeguatezza delle sanzioni, 964)
  • In caso di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato o autonomo, percepito durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento relativa, non implica la riduzione corrispondente del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se e nei limiti in cui quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento. Viceversa, quando si affermi il diritto al ripristino del rapporto di lavoro, al lavoratore spetta un risarcimento commisurato alle retribuzioni non percepite, ma al suddetto importo sono deducibili i ricavi che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa e resi possibili, quindi, solo dalla sua interruzione. (Cass. 18/4/2016 n. 7685, Pres. Macioce Est. Balestrieri, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di C. de Martino, “Aliunde perceptum e collaborazioni compatibili con l’attività lavorativa cessata”, 55, e in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di G.F. Tempesta, “I limiti di applicabilità della compensatio lucri cum damno e la (non) detraibilità dell’aliunde perceptum per attività lavorativa preesistente al licenziamento”, 91)
  • L’accertata illegittimità del recesso non determina effetti risarcitori “ulteriori” rispetto a quelli previsti dall’art. 8 della legge n. 604/66, salvo le ipotesi di dolo o colpa grave del datore di lavoro. (Trib. Milano 10/12/2013, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Daniela Zanetto, 904)
  • È possibile tenere conto del c.d. “aliunde perceptum”, come fatto sopravvenuto dedotto nel primo atto utile, anche nel giudizio di rinvio, allorquando, come nella fattispecie, solo in occasione del suo svolgimento sia stato possibile rilevare una tale circostanza. (Cass. 29/11/2013 n. 26828, Pres. Miani Canevari Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, 177)
  • Sussistono le condizioni normative per la rimessione degli atti al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di assegnare alle Sezioni Unite il contrasto in ordine all’obbligo di versare le sanzioni civili sulla contribuzione dovuta in seguito alla declaratoria di illegittimità del licenziamento in ragione della configurabilità o meno, nel periodo compreso tra il licenziamento dichiarato illegittimo e l’ordine di reintegra, della fattispecie del ritardo nell’adempimento dell’obbligazione contributiva. (Cass. 22/11/2013 n. 26243, Pres. Vidiri Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Agostino Di Feo, 347)
  • La figura di cui all’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970 si deve intendere come una ipotesi di dimissioni per giusta causa del lavoratore con quantificazione legislativa in quindici mensilità dell’indennità sostitutiva del preavviso. (Trib. Milano 23/2/2012, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2012, 513)
  • Posto che anche in assenza dell’impugnazione del licenziamento non viene meno il diritto di richiedere il risarcimento dei danni conseguenti alla risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro ha comunque l’onere di provare la legittimità del recesso, ossia del fatto estintivo dell’altrui pretesa. (Cass. 20/6/2011 n. 13496, Pres. Lamorgese Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2011, 953)
  • [In caso di licenziamento della lavoratrice madre] i danni risarcibili subiti, in assenza di diversa assunzione e deduzione istruttoria, devono essere identificati nella mancata retribuzione percepita dalla dipendente a causa del forzato allontanamento dal luogo di lavoro. (Trib. Trapani 9/6/2010, Giud. Antonelli, in Lav. nella giur. 2010, 953)
  • Il risarcimento del danno conseguente alla nullità del licenziamento non può essere decurtato degli importi ricevuti a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecato con il licenziamento, quale aliunde perceptum, non qualsiasi reddito percepito dal lavoratore, bensì solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa; occorre altresì tener conto che il diritto alla pensione discende dal verificarsi dei requisiti a tal fine stabiliti dalla legge, prescinde del tutto dalla disponibilità di energie lavorative da parte dell'assicurato e non si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto, sicché le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ritrae dal pensionamento, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono alla regola della compensatio lucri cum damno. (Trib. Trieste 10/5/2010, Giud. Barzazi, in Lav. nella giur. 2010, 845)
  • Un titolo, anche di formazione giudiziale, non può considerarsi esecutivo se non quando consente la determinazione degli importi dovuti o perché già indicati nel proprio testo, o perché comunque determinabili agevolmente in base agli elementi numerici contenuti in quel testo attraverso operazioni aritmetiche elementari, oppure predeterminati per legge, senza fare ricorso a elementi numerici ulteriori che non risultino dal testo della pronunzia. Pertanto, è nullo il precetto intimato al datore di lavoro per il risarcimento in caso di licenziamento illegittimo se la sentenza, posta a base del precetto, condanna l’impresa a pagare al lavoratore un certo numero di mensilità senza precisare l’importo di ciascuna di esse. (Cass. 28/4/2010 n. 10164, Pres. Roselli Rel. Monaci, in Lav. Nella giur. 2010, 725, e in Orient. Giur. Lav. 2010, 489)

  • E' nulla, ai sensi dell'art. 1229, 1° comma, c.c., la clausola che esclude in via preventiva la responsabilità del datore di lavoro per i comportamenti da questo posti in essere che, in ragione della loro gravità, comportino la lesione del decoro e dell'integrità psico-fisica del lavoratore. (Cass. 22/3/2010 n. 684, Pres. Roselli Est. Morcavallo, in D&L 2010, con nota di Vania Scalambrieri, "Il risarcimento del danno biologico per illegittimo licenziamento presuppone la prova dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in capo al datore di lavoro", 582)
  • In tema di risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex art. 1227/, comma 2°, c.c., l'onere dell'ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi significativi della mancanza dell'ordinaria diligenza. (Cass. 11/3/2010 n. 5862, Pres. Sciarelli Est. Stile, in D&L 2010, con nota di Enrico U.M. Cafiero, "Riduzione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c. in caso di mancata iscrizione del lavoratore nelle liste di collocamento", 568)
  • Il trascorrere di oltre due anni dal licenziamento alla proposizione dell'azione giudiziaria comporta una mora in capo al lavoratore licenziato il quale, anche per sua colpa risulta aver aggravato il danno a lui derivante con conseguente riduzione dell'ammontare del risarcimento ai sensi dell'art. 1227 c.c. per il periodo corrispondente al ritardo. Tale riduzione di carattere temporale si applica anche all'obbligo contributivo. (Corte app. Milano 25/11/2009, Pres. Ruiz Est. Curcio, in D&L 2009, con nota di Enrico U.M. Cafiero, "Riduzione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c. e contestuale deroga all'obbligo contributivo", 1039) 
  • Per retribuzione globale di fatto, utile ai fini della quantificazione sia del risarcimento del danno che dell'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, deve intendersi quella che il lavoratore avrebbe effettivamente percepito se avesse lavorato, con la sola esclusione dei compensi eventuali, occasionali ed eccezionali legati non all'effettiva presenza in servizio, ma a particolari modalità di svolgimento della prestazione. (Cass. 27/10/2009 n. 22649, Pres. Sciarelli Est. Monaci, in D&L 2009, con nota di Andrea Bordone, "Licenziamento illegittimo e risarcimento del danno: la retribuzione globale di fatto", 1037, e in  Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di M. M. Mutarelli, "L’applicazione dell'art. 18 St. Lav. al licenziamento illegittimo del lavoratore marittimo", 784)   
  • Le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione nel posto di lavoro costituiscono, ai sensi dell'art. 18 l. n. 300/1970 (nel testo introdotto dalla l. n. 108/1990), risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l'illegittimo licenziamento; ne consegue che il relativo credito, pur essendo connesso a un rapporto di lavoro e rientrando nell'ambito previsionale dell'art. 429 c.p.c., comportante il cumulo tra interessi e risarcimento del danno da rivalutazione monetaria, non ha natura retributiva ed è pertanto estraneo alla previsione di cui all'art. 22n, comma 36, l. n. 724/1994, che tale cumulo esclude. (Cass. 21/8/2009 n. 18608, Pres. De Luca Est. Bandini, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Federico Siotto, "Incompatibilità e decadenza del dipendente pubblico: dietro il licenziamento illegittimo sta 'in agguato la dura moneta' del cumulo", 413)
  • E' ammissibile l'esercizio in corso di causa dell'opzione sostitutiva alla reintegrazione ex art. 18 c. 5, SL; non è deducibile dall'ammontare del risarcimento previsto dall'art. 18 cit. il sopraggiunto trattamento pensionistico. (Trib. Bari 11/6/2009, Est. Napoliello, in D&L 2009, 783)
  • Dall'ammontare del risarcimento del danno ex art. 18, L. n. 300/1970 vanno detratti gli importi (aliunde perceptum) che il lavoratore ha percepito per aver svolto, nel periodo successivo alla risoluzione del rapporto, un'attività remunerata. Ma, poiché il lavoratore è obbligato a restituire all'ente erogante la pensione percepita a seguito della risoluzione del rapporto, il relativo importo non può considerarsi aliunde perceptum. (Cass. 23/1/2009 n. 1707, Pres. Ianniruberto Rel. Cuoco, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Raffaele Garofalo, 589)
  • Il lavoratore ingiustamente licenziato, che non abbia ottenuto l'adempimento della sentenza di reintegra e del correlativo risarcimento del danno, ha diritto al risarcimento del danno ulteriore qualificabile come danno morale, ove provi il patema conseguente all'incertezza determinata dall'impossibilità di poter mantenere la sua famiglia e alla necessità di ricorrere a prestiti; tale danno morale può essere quantificato in via equitativa in misura proporzionale alla retribuzione (nella fattispecie liquidato in 400 euro mensili pari all'incirca il 40% della retribuzione in godimento). (Trib. Milano 23/12/2008, Est. Di Leo, in D&L 2009, con nota di Stefano Muggia, "L'art. 18 SL e il risarcimento del danno ulteriore rispetto alle retribuzioni". 819)
  • La tutela che la legge riconosce al lavoratore ingiustamente allontanato dal luogo di lavoro consiste nella conservazione del posto e/o nel risarcimento del danno, un'opzione legata alle dimesioni dell'impresa e alla natura dell'invalidità. Nell'ipotesi che alle dipendenze dell'azienda risultino più di quindici unità, l'ordinamento appresta al lavoratore una tutela reale, riconoscendo al giudice, che con sentenza dichiara l'inefficacia o la nullità del licenziamento, la possibilità non solo di ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ma anche di condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal dipendente, liquidando un'indennità, tenuto conto della colpa e del dolo del datore, commisurata alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione. Per le imprese con meno di quindici dipendenti è invece prevista una tutela obbligatoria. Con la sentenza che annulla il licenziamento, il datore di lavoro è condannato a riassumere il lavoratore entro tre giorni oppure a risarcire il danno da quest'ultimo patito versandogli una somma a titolo di indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. (Trib. Trapani 22/10/2008, dott. Antonelli, in Lav. nella giur. 2009, 311) 
  • Ai fini della ricostruzione del diritto del lavoratore al risarcimento del danno in termini di mora del datore di lavoro ai sensi dell'art. 1206 c.c., pur qualificandosi il licenziamento (successivamente divenuto) illegittimo come rifiuto della prestazione, questo non può valere a sostituire la necessaria offerta della prestazione stessa da parte di colui che vi è tenuto, indispensabile perché dal rifiuto scaturisca l'obbligazione risarcitoria. Vale a mettere in mora il datore di lavoro, perché è qualificabile come offerta della prestazione, la notifica dell'atto introduttivo del giudizio ex art. 414 c.p.c., per cui il diritto al risarcimento del danno per il lavoratore decorre da quella data ed è commisurato alle retribuzioni perdute sino al reintegro o al legittimo collocamento a riposo. (Cass. 28/5/2008 n. 13980, Pres. Sciarelli Est. Ianniello, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Fabrizio De Falco, "Sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale e risarcimento del danno da licenziamento illegittimo (sopravvenuto)", 186)
  • E' sicuramente applicabile in tutti i casi di continuità giuridica del rapporto di lavoro il principio secondo il quale "in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo a norma della l. n. 300 del 1970, art. 18, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne trae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno". (Cass. 8/5/2008 n. 11373, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nelle P.A. 2008, 645)
  • Il danno costituito dalla lesione all'integrità psico-fisica del lavoratore causato esclusivamente dall'illegittimità del licenziamento - evento che, in quanto tale, rientra nella dialettica delle relazioni che si svolgono nell'impresa - va identificato in quello conseguente alla mancanza del lavoro e della relativa retribuzione, per cui, costituendo conseguenza solo mediata e indiretta (e, quindi, non fisiologica e non prevedibile) del licenziamento, non è risarcibile. Solo in caso di licenziamento ingiurioso (o persecutorio o vessatorio), detto danno è risarcibile, trovando la sua causa, immediata e diretta, non nella perdita del posto di lavoro ma nel comportamento intrinsecamente illegittimo del datore di lavoro, occorrendo, peraltro, la dimostrazione da parte del lavoratore - sul quale incombe il relativo onere probatorio - non solo dell'illegittimità del licenziamento, ma anche del carattere ingiurioso (o persecutorio o vessatorio) del licenziamento stesso, nonché dell'avvenuta lesione dell'integrità psico-fisica. (Cass. 5/3/2008, n. 5927, Pres. Senese Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 729, e in ADL 2008, con commento di Emanuela Fiata, 1472, e in dir. e prat. lav. 2008, 2314) 
  • Quale parametro del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e dell'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro il legislatoreha assunto la retribuzione mensile globale di fatt, la cui nozione ricomprende anche i ratei di tutte le poste retributive corrisposte in modo continuativo, ancorché con cadenza ultramensile, ivi compreso il rateo Tfr; il detto risarcimento e la detta indennità devono determinarsi al netto della contribuzione previdenziale e dell'imposizione fiscale. (Trib. Reggio Emilia 30/1/2008, Est. Strozzi, in D&L 2008, 595)
  • Nel caso di licenziamento illegittimo annullato dal giudice con sentenza reintegratoria che ricostituisce il rapporto con efficacia ex tunc, poiché rileva la continuità giuridica del rapporto piuttosto che la prestazione di fatto resa impossibile dal rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione, deve escludersi il diritto del lavoratore alla pensione di anzianità in ragione della incompatibilità di questa con il rapporto di lavoro. A ciò non osta la circostanza che il lavoratore abbia optato per l'indennità sostitutiva ex art. 18 comma quinto della L. n. 300 del 1970, rinunciando alla effettiva protrazione del rapporto, rilevando la sola esistenza ed efficacia giuridica del rapporto al momento della domanda di pensionamento; ne consegue, pertanto, in entrambi i casi, che la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge il diritto al pensionamento con efficacia ex tunc  e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione. (Cass. 25/1/2008 n. 1670, Pres. Mattone Est. D'Agostino, in Lav. nella giur. 2008, 522, e in Dir. e prat. lav. 2008, 2016)
  • Il datore di lavoro, il quale, ai fini della prova dell'aliunde perceptum, svolga istanze istruttorie finalizzate a ottenere l'ordine di esibizione al lavoratore del libretto di lavoro e delle dichiarazioni dei redditi e l'ordine d'acquisizione presso l'Inps o l'ufficio di collocamento di documentazione relativa a eventuali rapporti di lavoro che il lavoratore abbia reperito medio tempore, deve dedurre elementi relativi all'esistenza e al contenuto di tali documenti. Diversamente le relative istanze hanno fini meramente esplorativi e devono essere respintie. (Cass. 9/1/2008 n. 207, Pres. De Luca Est. Miani anevari, in D&L 2008, con nota di Andrea Bordone, "Licenziamento illegittimo, determinazione del risarcimento del danno e oneri di allegazione e di diligenza delle parti", 303)
  • Nei rapporti di lavoro sottratti al regime della tutela reale ai sensi dell'art. 18, L. 20 maggi 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108, qualora il datore di lavoro, a seguito di richiesta del lavoratore, non provveda a indicare i motivi del licenziamento entro i termini previsti dall'art. 2, L. 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'art. 2, L. 11 maggio 1990, n. 108, il recesso non produce effetti sulla continuità del rapporto e il lavoratore ha diritto - trattando di contratto a prestazioni corrispettive - non già alle retribuzioni ma al risarcimento del dann, da determinarsi secondo le regole generali dell'inadempimento delle obbligazioni. (Trib. Milano 13/12/2007, Est. Beccarini, in Lav. nella giur. 2008, 535)
  • Nel caso del lavoratore licenziato in applicazione di una disposizione legislativa di prepensionamento (nel caso specifico: art. 3 l. n. 270/1988), successivamente dichiarata incostituzionale (sent. n. 60/1991), il diritto al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite non spetta a far data dal licenziamento, difettando il presupposto dell'imputabilità dell'illecito, ma dall'offerta della prestazione lavorativa, nella specie avvenuta con la notifica della domanda giudiziale. Nel medesimo caso, la domanda di risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dal lavoratore licenziato non può essere diminuita degli importi ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, poiché non opera la regola della compensatio lucri cum damno, derivando dalla legge l'ammissione al trattamento previdenziale in relazione alla perdita del posto di lavioro, con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione dell'indebito da parte del soggetto erogatore della pensione. (Cass. 13/11/2007 n. 23565, Pres. Ciciretti Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Baldieri, "Licenziamento annullato per factum principis: i criteri per la determinazione del risarcimento", 635)
  • Il lavoratore, una volta proposta tempestivamente la domanda giudiziale volta a ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 SL, non è soggetto a ulteriori oneri di diligenza, sicché la mancata iscrizione nelle liste di collocamento, la mancata ricerca di una nuova occupazione e il rifiuto di una proposta conciliativa non sono causa di riduzione del danno. (Cass. 9/10/2007 n. 21066, Pres. Ciciretti Est. Cuoco, in D&L 2008, con nota di Andrea Bordone, "Licenziamento illegittimo, determinazione del risarcimento del danno e oneri di allegazione e di diligenza delle parti", 303)
  • La clausola penale connessa a un patto di stabilità relativa del rapporto di lavoro assolve alla funzione di liquidazione preventiva e convenzionale del danno da inadempimento; prescindendosi quindi dalla prova dell'esistenza effettiva del danno, nessun rilievo può attribuirsi all'aliunde perceptum per il periodo di vigenza della clausola medesima. (Trib. Modena 13/7/2007, Est. Ponterio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marta Vendramin, 502)
  • Nel caso di stipula di un patto di stabilità relativa del rapporto di lavoro con connessa penale risarcitori, il danno coperto da quest'ultima è circoscritto alla durata del patto medesimo. (Trib. Modena 13/7/2007, Est. Ponterio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marta Vendramin, 502)
  • Deve escludersi la cumulabilità del risarcimento deldanno collegato all'operatività di una clausola penale annessa a un patto di stabilità relativa del rapporto di lavoro, con quello da licenziamento illegittimo, ex art. 1, comma 4, L. n. 300 del 1970, avendo la predetta clausola effetto ex art. 1382 c.c., di limitare il risarcimento alla prestazione promessa. Pertanto, un eventuale cumulo oltre a essere contrario alla stessa ratio della penale, quale liquidazione preventiva e convenzionale del danno da inadempimento, realizzerebbe un duplice risarcimento per la medesima condotta inadempiente, configurando un indebito arricchimento del creditore. (Trib. Modena 13/7/2007, Est. Ponterio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marta Vendramin, 502)
  • La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento ai sesni dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970. ne consegue che, nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, qualora si sia verificata la decadenza dall'impugnazione è concesso al lavoratore di esperire la normale azione risarcitoria in base ai principi generali della responsabilità contrattuale o extracontrattuale, facendo valere i relativi presupposti, diversi da quelli previsti dalla normativa sui licenziamenti e tali da configurare l'atto di recesso come idoneo a determinare un danno risarcibile. (Cass. 10/1/2007 n. 245, Pres. De Luca Est. Figuralli, in Lav. nella giur. 2007, 1035)
  • In tema di conseguenze patrimoniali derivanti dal licenziamento illegittimo, il datore di lavoro, per poter essere ammesso a dedurre e a provare tardivamente circostanze idonee a dimostrare l'aliunde perceptum da parte del lavoratore, è tenuto a provare anche di non aver avuto conoscenza delle stesse e di avere, una volta acquisita tale cognizione, formulato le relative deduzioni nell'osservanza del principio, desumibile dagli artt. 414, 416 e 420 c.p.c., della tempestività di allegazione dei fatti sopravvenuti, attraverso il necessario impiego, a questo fine, sotto pena di decadenza, del primo atto difensivo utile successivo. (Cass. 20/6/2006 n. 14131, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2007, 137 e in Lav. nella giur. 2007, con commento di Fabio Massimo Gallo, 477)
  • In caso di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo per il quale non sia applicabile la disciplina della cosiddetta stabilità reale, la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell'indennità risarcitoria prevista dall'art. 8 della L. n. 604/1966 (sostituito dall'art. 2 della L. n. 108/1990), spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria. (Cass. 8/6/2006 n. 13380, Pres. Sciarelli Est. La Terza, in Lav. nella giur. 2006, 1126)
  • In tema di conseguenze patrimoniali derivanti dal licenziamento illegittimo, il datore di lavoro, per poter essere ammesso a dedurre e a provare tardivamente circostanze idonee a dimostrare l'"aliunde perceptum" da parte del lavoratore, è tentuto a provare anche di non aver avuto conoscenza delle stesse e di avere, una volta acquisita tale cognizione, formulato le relative deduzioni nell'osservanza del principio, desumibile dagli artt. 414, 416 e 420 c.p.c., della tempestività di allegazione dei fatti sopravvenuti, attraverso il necessario impiego, a questo fine, sotto pena di decadenza, del primo atto difensivo utile successivo. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso del datore di lavoro e confermato l'impugnata sentenza, con la quale era stata rilevata la tardività dell'allegazione, a istanza dello stesso datore di lavoro, delle circostanze attestanti l'"aliunde perceptum" da parte del lavoratore, siccome non allegate, nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento, nel primo atto difensivo utile posteriore all'avvenuta conoscenza di tali fatti, senza la prospettazione di alcuna valida giustificazione al riguardo). (Cass. 20/6/2006 n. 14131, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2006, 1130)
  • Il licenziamento intimato nell'area della tutela obbligatoria dichiarato illegittimo, nel determinare la cessazione del rapporto di lavoro, comporta per il lavoratore il diritto di percepire anche l'indennità sostitutiva del preavviso in aggiunta all'indennità risarcitoria di cui all'art. 8 L15/7/66 n. 604, come modificato dall'art. 2 L. 11/5/90 n. 108. (Cass. 10/4/2006 n. 13732, Pres. Ravagnani Est. Miani Canevari, in D&L 2006, con nota di Ferdinando Perone, "Licenziamento illegittimo in tutela obbligatoria e diritto all'indennità di preavviso: interviene la Cassazione", 893)
  • La previsione normativa di cui all'art. 18 St. Lav. - secondo la quale il risarcimento del danno che consegue al licenziamento illegittimo è costituito dall'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino a quella dell'effettiva reintegrazione - può trovare piena applicazione solo allorchè il lavoratore faccia valere il proprio diritto con una certa tempestività. In caso contrario - come quando il lavoratore agisca in giudizio a distanza di quasi dieci anni dal licenziamento - non può non farsi applicazione dell'art. 1227 c.c. in materia di concorso del fatto colposo del creditore, ancorchè il lavoratore abbia avuto l'accortezza di interrompere la prescrizione con ciò evidenziando la perdurante consapevole volontà di fare valere il proprio diritto. (Trib. Milano 20/2/2006, Est. Tanara, in Lav. nella giur. 2006, 1139)
  • Deve ritenersi di essere in presenza di un licenziamento ingiurioso allorchè il datore di lavoro, sia in costanza del rapporto di lavoro che in occasione dell'intimazione del recesso, abbia tenuto nei confronti del primo dipendente un comportamento lesivo dell'onore, del decoro e della dignità dello stesso, come tale idoneo a cagionare un danno risarcibile ex art. 2043 c.c. (Cass. 16/2/2006 n. 11432, Pres. Sciarelli Est. Figurelli, in D&L 2006, con nota di Andrea Bordone, "Licenziamento ingiurioso e risarcimento del danno: anche le condotte antecedenti il recesso possono essere fonte di responsabilità extracontrattuale", 924)
  • Il danno risarcibile per licenziamento illegittimo ai sensi del comma 4 dell’art. 18 St. Lav. Può comprendere tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’esercizio dell’opzione ai sensi del comma 5 dello stesso art. 18 St. Lav., non potendosi configurare un diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla comunicazione di voler esercitare l’opzione, per cui il ripristino della attualità del rapporto non è più possibile; infatti dall’esercizio dell’opzione cessa la disponibilità alla ripresa del servizio e viene meno il rapporto sinallagmatico tra retribuzione e prestazione. (Trib. Roma 10/1/2006, Rel. Trementozzi, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Gianluigi Girardi, 905)
  • Il risarcimento del danno che consegue al licenziamento illegittimo viene individuato dal legislatore nell’indennità, commisurata alla retribuzione globale di fatto, maturata dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegra. Tuttavia, non si può dubitare che la liquidazione del risarcimento del danno – che da parte del legislatore è determinata in via presuntiva sulla base del mancato guadagno individuato nella retribuzione che il lavoratore avrebbe dovuto percepire – debba rispondere ai principi generali in materia di risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, affinché si tenga conto della sua colpa per non essersi sufficientemente adoperato per reperire altra attività lavorativa. (Trib. Milano 17/5/2005, Est. Atanasio, in Orient. Giur. Lav. 2005, 357)
  • In tema di impugnativa di licenziamento in grado di appello, l’eccezione c.d. dell’aliunde perceptum – cioè la deduzione della rioccupazione del lavoratore licenziato al fine di limitare il danno da risarcire a seguito di licenziamento illegittimo – non costituisce eccezione in senso stretto, ma ha carattere di eccezione in senso lato, con la conseguenza che i fatti suscettibili di formare oggetto di tale eccezione sono rilevabili d’ufficio dal giudice d’appello, sempre che l’appellato non abbia tacitamente rinunciato ad avvalersene non avendovi fatto riferimento in alcune delle proprie difese del grado, atteso che l’onere della dettagliata esposizione di tutte le sue difese (imposto dall’art. 436, secondo comma, c.p.c.) non è assolto se nel corso del giudizio l’interessato non dimostri di volersi avvalere della specifica difesa dedotta in primo grado. (Cass. 15/3/2005 n. 5610, Pres. Ciciretti Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2005, 692)
  • In caso di recesso inefficace, il lavoratore ha diritto non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno determinato secondo le regole generale dell’inadempimento delle obbligazioni. La misura di tale risarcimento può essere commisurata alle mancate retribuzioni, con la conseguenza che se il datore offre la prova che l’inadempimento o il ritardo è determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, non è tenuto al risarcimento (art. 1218 c.c.). Dall’ammontare del danno deve essere detratto l’aliudperceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsiasi attività lavorativa. (Cass. 15/3/2005 n. 5611, Pres. Ciciretti Rel. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2005, 1632)
  • Deve escludersi il diritto al risarcimento del danno, previo accertamento dell’illegittimità del licenziamento a suo tempo intimato al lavoratore, allorchè il datore di lavoro abbia revocato il licenziamento, invitando il lavoratore a riprendere servizio, e il rapporto sia stato ripristinato senza soluzione di continuità, per avere il dipendente ripreso l’attività lavorativa, manifestando così la volontà, ancorchè tacita per fatti concludenti, di accettare la revoca del licenziamento quale proposta contrattuale avente appunto ad oggetto la ricostituzione del rapporto. (CortePres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2005, 293) d’appello Milano 1/ 9/2004,
  • La generale presunzione di onerosità della prestazione di lavoro ex art. 2094 c.c., basata sui criteri della normalità, apparenza e buona fede, è applicabile non solo a favore del lavoratore, ma anche a carico dello stesso, quando è l’altra parte ad avere interesse a dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro; in tal caso per la determinazione dell’aliunde perceptum il giudice di merito può utilizzare tutti gli elementi di fatto disponibili, compresa la valutazione equitativa. (Nella specie, la S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva negato, in una fattispecie di illegittimo licenziamento, la detrazione, dalla somma dovuta al lavoratore ingiustamente licenziato, dell’aliunde perceptum, sull’assunto che il datore di lavoro, pur in presenza di un’attività lavorativa dall’ex dipendente, non aveva fornito la prova che essa era retribuita). (Cass. 3/8/2004 n. 14849, Pres. Senese Rel.Maiorano, in Dir. e prat. lav. 2005, 80, e in Lav. nella giur. 2005, 170)
  • Le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione nel posto di lavoro costituiscono, ex art. 18, legge n. 300 del 1970 (nel nuovo testo introdotto dalla legge 11 maggio 1990 n. 108), risarcimento del danno ingiusto subito dal lavoratore per l’illegittimo licenziamento; pertanto, in caso di riforma della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, vuoi per essere legittimo il licenziamento, vuoi perché, pur essendo questo illegittimo, sia esclusa la tutela reale del lavoratore in ragione della natura dell’ente datoriale di lavoro e dell’attività dallo stesso svolta, dette somme non sono dovute, e se corrisposte, sono ripetibili. (Cass. 12/5/2004 n. 9062, Pres. Prestipino Rel. Filadoro, in Lav. e prev. oggi 2004, 1292)
  • L’art. 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, nel prevedere in caso di invalidità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto del licenziamento stesso, mediante corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione non percepita, stabilisce una presunzione “iuris tantum” di lucro cessante. Presupposto indefettibile per l’applicabilità di tale disposizione, che costituisce una specificazione del generale principio della responsabilità contrattuale, è l’imputabilità al datore di lavoro dell’inadempimento, fatta eccezione per la misura minima del risarcimento, consistente in cinque mensilità di retribuzione, la quale è assimilabile ad una sorta di penale, avente la sua radice nel rischio di impresa. Ne consegue che ove il licenziamento sia intervenuto in un periodo di sospensione del rapporto di lavoro per effetto dell’esercizio, ex art. 1460 c.c., dell’autotutela del lavoratore, che abbia rifiutato di eseguire la propria prestazione a fronte dell’inadempimento di quella del datore di lavoro, non essendo configurabile, per tale periodo, il diritto alla retribuzione, in considerazione della forma di tutela scelta dal lavoratore in sostituzione della normale tutela giurisdizionale, non può operare la predetta presunzione di lucro cessante. Pertanto, in tale ipotesi, correttamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, in caso di invalidità del licenziamento dallo stesso intimato al lavoratore, è limitata al minimo di legge delle cinque mensilità di retribuzione. (Nella specie, il giudice di merito aveva rilevato che l’illegittima estromissione della lavoratrice era durata fino al giorno antecedente a quello nel quale era stata offerta la ripresa dell’attività lavorativa presso la filiale di Mantova. Tale offerta, che se accettata, avrebbe limitato l’estromissione dall’azienda a meno di cinque mesi, era stata valorizzata dal Tribunale per limitare a cinque mensilità di retribuzione la misura del risarcimento del danno. A fronte della contestazione della lavoratrice in ordine all’oggetto dell’offerta, la riassunzione e non già la reintegrazione, la Suprema Corte ha ritenuto tale circostanza idonea ad essere valutata dal giudice di merito, secondo il suo prudente apprezzamento non censurabile in sede di legittimità ove immune da vizi di motivazione, nella quantificazione del danno risarcibile). (Cass. 3/5/2004 n. 8364, Pres. Mattone Rel. Roselli, in Lav. e prev. oggi 2004, 1290)
  • In tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, il datore di lavoro che, al fine di vedere ridotto il limite legale delle cinque mensilità di retribuzione l’ammontare del suddetto risarcimento, deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non fa valere alcun diritto sostanziale di impugnazione, né propone un’eccezione identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche ove l’acquisizione sia riconducibile ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte di merito avesse solo in parte fatto corretta applicazione del principio sopra enunciato, ritenendo con criteri presuntivi che la lavoratrice, tenuto conto della sua qualificazione professionale, dell’andamento del mercato del lavoro e del lungo tempo trascorso tra l’illegittimo licenziamento e la domanda di reintegrazione avesse ragionevolmente guadagnato delle somme atte a contenere la misura del danno risarcibile, ma omettendo poi di motivare adeguatamente sulla quantificazione sia del danno che delle somme che avrebbe potuto guadagnare usando l’ordinaria diligenza ai sensi dell’art. 1227 c.c.). (Cass. 20/3/2004 n. 5655, Pres. Prestipino Rel. Maiorano, in Lav. e prev. oggi 2004, 917)
  • La dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilità dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità oggettiva atteso che l’irrilevanza degli elementi soggettivi è configurabile, per effetto della rigidità al riguardo della formulazione normativa, solo limitatamente alla misura minima delle cinque mensilità. La questione relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria deve invece ritenersi regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori elementi aggiuntivi. Ne consegue l’applicabilità dell’art. 1218 c.c.,(Nella specie, il ricorso della lavoratrice avverso il licenziamento disposto per incapacità fisica all’esercizio delle mansioni, rigettato in primo grado, era stato accolto dal giudice di appello, che, rilevata, in base agli ulteriori accertamenti medici espletati, la non sussistenza di tale incapacità, aveva condannato la società datrice di lavoro anche al risarcimento del danno, non limitato alla misura minima; la Suprema Corte ha confermato la decisione anche con riferimento a tale profilo, osservando che la società datrice di lavoro non aveva fornito la dimostrazione che la avrebbe esonerata, ex art. 1218 c.c., da responsabilità, e precisando che la stessa aveva omesso di valutare adeguatamente le risultanze mediche, eventualmente anche attraverso nuovi accertamenti sanitari). (Cass. 17/2/2004 n. 3114, Pres. Mattone Rel. De Renzis, in Lav. e prev. oggi 2004, 730) secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l’inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile.
  • In ipotesi di licenziamento illegittimo concernente rapporto di lavoro appartenente all'area della tutela obbligatoria spettano al dipendente sia l'indennità di cui all'art. 8 L. 15/7/66 n. 604, come modificato dalla L. 11/5/90 n. 108. (corte d'Appello Milano 21/10/2003, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2003, 1008)
  • Laddove il licenziamento, indipendentemente dalla sua illegittimità, per la forma e le modalità della sua adozione e per le conseguenze morali e sociali che ne derivano rappresentino atto ingiurioso, cioè lesivo del decoro, della dignità o dell'onore del lavoratore licenziato, spetta il risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa, indipendentemente dall'individuazione di un comportamento integrante gli estremi di un reato (nella specie la dipendente era stata licenziata per assenza ingiustificata, dopo che le era stato negato un permesso, dovutole ex art. 4, 1° comma, L. 53/2000, per assistere il fratello che aveva perso la gamba in un gravissimo incidente ed in pericolo di vita, nel contempo insinuando che i motivi fossero altri ed addebitando alla lavoratrice una serie di gravi conseguenze derivate dall'assenza, rivelatesi inesistenti). (Trib. Milano 30/6/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, con nota di Luigi Zezza,. "Licenziamento ingiurioso e risarcimento del danno")
  • In caso di mancata ottemperanza da parte del datore di lavoro all'obbligo di reintegrazione nei confronti di un dipendente, il risarcimento del danno conseguente alla forzata inattività del medesimo è compreso nell'indennitàSt. lav., fatta salva la prova da parte del lavoratore del danno ulteriore da dequalificazione professionale. (Cass. 13/7/2002, n. 10203, Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2003, 380, con nota di Marco Lovo, Sul danno da dequalificazione conseguente all'inottemperanza all'ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato). spettante ex art. 18, quarto comma
  • La tutela risarcitoria ex art. 18 SL ha carattere sanzionatorio (con presunzione assoluta di danno nella misura minima di cinque mensilità), deriva direttamente dall'illegittimità del licenziamento ed ha carattere autonomo rispetto alla tutela ripristinatoria: di conseguenza detta tutela deve essere riconosciuta al dipendente che non voglia o non possa chiedere la reintegrazione. (Corte d'Appello Torino 29/11/2001, Est. Rossi, in D&L 2002, 197, con nota di Maddalena Martina, "Una breve rassegna di giurisprudenza (ed un interrogativo) su licenziamento e procedure concorsuali")
  • Il trattamento pensionistico non costituisce aliunde perceptum detraibile dall'ammontare del risarcimento conseguente all'illegittimità del licenziamento. (Corte d'Appello Napoli 31/5/2001, Pres. Nobile Est. Villani, in D&L 2002, 436)
  • Il licenziamento ingiurioso può determinare due diverse forme di risarcimento del danno: quella relativa alla lesione dell’onore e del decoro; e quella, economicamente più rilevante, relativa alla reputazione, e consistente nella conoscenza che i terzi abbiano avuto dei motivi del licenziamento (nella specie la lavoratrice era stata ingiustamente accusata di avere falsificato il contratto di lavoro; e la sentenza d’appello è stata cassata per mancanza di motivazione sull’esistenza del danno alla reputazione) Cass. 1/4/99 n. 3147, pres. Mileo, est. Lupi, in D&L 1999, 653, n. Muggia, Licenziamento ingiurioso e risarcimento danni)
  • Nel caso in cui il lavoratore raggiunga l’età pensionabile nelle more del giudizio relativo alla legittimità del licenziamento intimatogli, il rapporto di lavoro rimane in vita e, accertata l’illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro è tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal momento del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, salvo che, in epoca successiva al raggiungimento dei requisiti pensionistici, vi sia stato un valido atto di recesso (Cass. 23/2/98 n. 1908, pres. Battimiello, est. Castiglione, in D&L 1998, 747, n. MENSI, Raggiungimento dell’età pensionabile e calcolo del risarcimento da licenziamento illegittimo)
  • Il lungo lasso di tempo intercorso tra la data di recesso e l’impugnazione giudiziaria del medesimo non concretizza in nessun caso il concorso di colpa del creditore di cui all’art. 1227 c.c. (Pret. Roma 2/6/97, est. Rossi, in D&L 1998, 377)
  • Qualora il giudice, avvalendosi di consulenza medica, ritenga illegittimo il licenziamento motivato da inidoneità fisica sopravvenuta e disponga la reintegrazione nel posto di lavoro, spetta al lavoratore il ristoro dei danni morali solo in presenza di un’ipotesi di reato, mentre l’attribuzione di una somma a titolo di danno biologico è subordinata alla prova dell’esistenza di un aggravamento psico-fisico dello stato di salute e del nesso di causalità fra il comportamento datoriale illegittimo e tale aggravamento (Pret. Milano 15/4/97, est. Peragallo, in D&L 1998, 174, n. NICCOLAI, Illegittimo licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica: i danni risarcibili)
  • L’indennità pattuita in sede di transazione, a titolo di incentivo all’esodo a corrispondersi a lavoratore licenziato, non integrando gli estremi del risarcimento di danni cagionati dalla perdita di redditi, non è assoggettabile a tassazione, ai sensi dell’art. 16 DPR 22/12/86 n. 917 (Comm. Trib. Cent. Roma 28/2/97, pres. Scarcella, est. Nottola, in D&L 1997, 825 n. Tagliagambe, Profili di incostituzionalità del decreto Dini in materia di tassazione di sentenze e transazioni di lavoro)
  • Nel caso di dichiarazione di illegittimità di un licenziamento, intimato a seguito del mancato rinnovo del nullaosta per il tesserino aeroportuale successivamente concesso, il risarcimento del danno causato al lavoratore per l'illegittimità del licenziamento deve essere quantificato nella misura delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe dovuto percepire dal momento in cui è stato rinnovato il nullaosta e non dal momento del licenziamento (nella fattispecie, si è infatti ritenuto che l'esistenza di un atto motivato della pubblica autorità interrompe il nesso causale fra danno e licenziamento) (Cass. 28/7/94 n. 7048, pres. Benanti, est. Roselli, in D&L 1995, 416, nota MUGGIA, Brevi osservazioni sul licenziamento per ritiro del tesserino aeroportuale e sulla quantificazione del risarcimento del danno)