In genere

  • In tema di pubblico impiego “privatizzato”, l’assoluzione penale (nel caso di specie, per omicidio colposo) non preclude la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente a cui è contestata in sede disciplinare la violazione di obblighi desumibili dal Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.M. 28 novembre 2000. (Cass. 15/07/2019 n. 18883, Pres. Napoletano Est. Tricomi, in Lav. nella giur. 2020, con nota di G. Picco, Il licenziamento per giusta causa di un dirigente medico tra autonomia del procedimento disciplinare e principio di proporzionalità, 982)
  • Pur restando applicabile ai rapporti di pubblico impiego privatizzato la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 l. 300 del 1970 nel testo antecedente le modifiche apportate dall’art. 1 c. 42 della l. n. 92 del 2012, alle impugnative dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni intimate successivamente all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92 trova applicazione il rito disciplinato dall’art. 1 commi 48 e seguenti di tale legge. (Cass. 25/9/2018 n. 22683, Pres. Manna Rel. Torrice, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di R. Metafora, “L’applicabilità del rito Fornero al giudizio di impugnativa di licenziamento illegittimo dei dipendenti pubblici”, 109)
  • Le modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012 all’art. 18 della l. n. 300 del 1970 non si applicano all’impiego pubblico privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata l. n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 St. lav. nel testo antecedente la riforma. (Cass. 4/4/2017, n. 8722, Pres. Macioce Est. Di Paolantonio, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di A. Tampieri, “Violazione dell’incompatibilità permanenza dell’illecito disciplinare e acquiescenza dell’amministrazione”, 853)
  • È legittimo il licenziamento del dipendente pubblico che nell’orario di lavoro si allontani dal posto di lavoro senza timbrare il badge, in quanto la ratio dell’art. 55-quater d.lgs. n. 165 (anche nel testo antecedente alle modiche introdotte dal d.lgs. 116/2016) è sanzionare ogni falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, dovendosi considerare falsa e fraudolentemente attestata qualsiasi registrazione che miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita. (Cass. 14/12/2016, n. 25750, Pres. Macioce Est. Torrice, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di A. Ingrao, “Le norme imperative nel procedimento disciplinare del pubblico impiego privatizzato: gli assenti hanno sempre torto”, 629)
  • Ai rapporti di lavoro disciplinati dal d.lgs. 165/2001, art. 2, non si applicano le modifiche apportate dalla l. n. 92/2012 all’art. 18 St. lav., per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata l. n. 92 resta quella prevista dalla l. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo antecedente alla riforma. (Cass. 9/6/2016 n. 11868, Pres. Macioce Est. Di Paoloantonio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di A. Allamprese, “Il licenziamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni davanti alla Corte di Cassazione”, 78)
  • Nel pubblico impiego contrattualizzato la risoluzione del rapporto di lavoro – a seguito del procedimento di cui all’art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 – nel caso di ingiustificato rifiuto, da parte del dipendente pubblico, di sottrarsi alla visita medica di idoneità, reiterato per almeno due volte, di cui al combinato disposto dell’art. 55 octies, lett. d), D.Lgs. n. 165 del 2001 con l’art. 6 del d.P.R. n. 171 del 2011, costituisce un’autonoma ipotesi di licenziamento disciplinare, finalizzata ad assicurare il rispetto delle altre norme dettate dall’art. 55 octies cit., sempre tutelando il diritto di difesa del dipendente. (Cass. 7/11/2016 n. 22550, Pres. Macioce Est. Tria, in Lav. nella giur. 2017, con commento di F. Chietera, 143)
  • L’art. 18 della l. n. 300/70, come novellato dall’art. 1 della l. n. 92/12, trova applicazione ratione temporis al rapporto di lavoro di pubblico impiego cd. contrattualizzato a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge cd. Fornero. (Cass. 25/11/2015 n. 24157, Pres. Stile Est. Manna, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Filippo Aiello, “L’applicabilità al pubblico impiego privatizzato dell’art. 18 St. Lav.”, 25)
  • Al licenziamento intimato al pubblico dipendente continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 18, l.n. 300 del 1970, prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 92 del 2012. (Trib. Venezia 2/12/2014, ord., Giud. Menegazzo, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Mauro Dallacasa, 609)
  • L’art. 18 St. lav. nel testo novellato dalla l. n. 92/2012 trova applicazione anche in caso di controversie riguardanti rapporti di pubblico impiego, perché l’art. 51, comma 2, D.Lgs. 165/2001 contiene un rinvio mobile all’art. 18 St. lav. e successive modificazione e integrazioni, sicché ogni novella della norma statutaria si rende applicabile al pubblico impiego in forza del richiamato rinvio. (Trib. Santa Maria Capua Vetere 2/4/2013, Giud. Cervelli, in Lav. nella giur. 2013, 624)
  • In caso di licenziamento di un dipendente di amministrazione pubblica, disposto prima dell’entrata in vigore della legge 29 maggio 2012 n. 92, ma impugnato in giudizio successivamente (9 ottobre 2012), la controversia deve essere trattata secondo le regole del rito speciale previsto dall’art. 1, commi 47 e ss. Della legge citata, atteso che sono applicabili al rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche tanto detto rito speciale, quanto, a monte – e sebbene soltanto per i licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012 –, la norma sostanziale di cui al novellato art. 18 St. lav. (nel caso di specie, peraltro, il giudice ha escluso che la comunicazione di collocamento a riposo del dipendente per raggiungimento del limite massimo di età previsto dalla legge potesse essere qualificato come licenziamento). (Trib. Bari 14/1/2013, Giud. Vernia, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Riccardo Del Punta, “Sull’applicazione del nuovo art. 18 al rapporto di lavoro pubblico”, 410)
  • Nel caso di licenziamento illegittimo, a seguito di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza 3 aprile 1997, n. 96, anche nel caso del rapporto di lavoro nautico deve farsi luogo, a seconda della consistenza dell’organico aziendale, alla tutela obbligatoria ovvero a quella reale, a tal fine dovendosi tenere conto di tutto il personale impiegato dalla datrice di lavoro. (Cass. 16/4/2012 n. 5947, Pres. Lamorgese Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2012, 721)
  • La previsione contenuta nell'art. 72, 11° comma, DL 25/6/08 n. 112, che prevede per le amministrazioni pubbliche la facoltà di procedere al licenziamento del lavoratore che abbia raggiunto l'anzianità contributiva di 40 anni, è incompatibile con l'ordinamento comunitario e in particolare con la direttiva n. 2000/78/Ce in quanto non discrimina i lavoratori in ragione dell'età, ma stabilisce una particolare disciplina in ragione del raggiungimento della soglia di 40 anni di contributi. (Trib. Milano 14/6/2010, ord., Pres. Atanasio Est. Colosimo, in D&L 2010, con nota di Sonia Elena Bolatti, "La risoluzione del rapporto di lavoro dopo il raggiungimento dell'anzianità contributiva di quarant'anni", 1149)
  • La facoltà attribuita alle amministrazioni pubbliche dall'art. 72, 11° comma, DL 25/6/08 n. 112, di procedere al licenziamento del lavoratore che abbia raggiunto l'anzianità contributiva di 40 anni, è soggetta al rispetto dei principi privatistici di correttezza e buona fede e ai principi pubblicistici di ragionevolezza e trasparenza.  (Trib. Milano 14/6/2010, ord., Pres. Atanasio Est. Colosimo, in D&L 2010, con nota di Sonia Elena Bolatti, "La risoluzione del rapporto di lavoro dopo il raggiungimento dell'anzianità contributiva di quarant'anni", 1149)
  • L'art. 7, 11° comma, L. 6/8/08 n. 133, come modificato dalla L. 4/3/09 n. 15 e successivamente dalla L. 3/8/09 n. 102 deve essere interpretato nel senso che non consente il licenziamento ad nutum e generalizzato di tutti i dipendenti pubblici che abbiano raggiunto l'anzianità contributiva di 40 anni, ma attribuisce alle pubbliche amministrazioni la facoltà di risolvere il rapporto in relazione a specifiche e concrete esigenze della singola amministrazione; diversamente interpretata, la norma si porrebbe in contrasto con la Direttiva 2000/78 e il D.Lgs. 9/7/03 n. 216, in forza dei quali le differenze di trattamento in ragione dell'età devono essere giustificate non solo da una finalità legittima, ma anche dall'utilizzo di un mezzo adeguato, la cui proporzionalità con il fine perseguito deve essere verificata con riferimento al caso concreto (nella specie è stato ritenuto illegittimo il licenziamento di tutti i dipendenti aventi il predetto requisito contributivo motivato dalla generica volontà di "assicurare la piena evoluzione dei modelli organizzativi e l'ottimale utilizzo delle tecnologie di supporto al rafforzamento della gestione del sistema fiscale che renderebbero necessario il più ampio e rapido ricambio generazionale"). (Trib. Milano 10/5/2010, Est. Di Leo, in D&L 2010, con nota di Alberto Guariso, "Il convergente attacco di diritto comunitario e diritto costituzionale alla 'legge Brunetta'", 612)
  • La facoltà di recesso nei confronti dei pubblici dipendenti che abbiano maturato il requisito di quarant'anni di anzianità contributiva, prevista dall'art. 17, comma 35 novies, L. 3/8/09 n. 102, deve essere raccordata non solo con i principi di correttezza e buona fede, ma anche con quelli di imparzialità e buon andamento che devono guidare l'attività della PA ex art. 97 Cost., e in applicazione dei quali le circolari del Dipartimeno Funzione Pubblica n. 10/08 e 4/09, hanno chiarito che la predetta facoltà di recesso può essere esercitata nell'ambito di processi di riorganizzazione e previa determinazione di criteri generali; conseguentemente, qualora la sussistenza di esigenze derivante dai predetti processi di riorganizzazione sia contestata e il datore di lavoro convenuto non fornisca prova in proposito, il recesso deve considerarsi illegittimo con conseguente ordine cautelare di sospensione del licenziamento. (Trib. Roma 5/1/2010, ord., Est. Capaccioli, in D&L 2009, 1108)  
  • La facoltà che l'art. 72 c. 11 del d.l. n. 112/2008, convertito con l.n. 133/2008, assegna alla p.a. di risolvere il rapporto lavorativo con i dipendenti con anzianità contributiva di 40 anni deve essere esercitata nel rispetto della buona fede, con conseguente obbligo di motivazione da parte del datore di lavoro pubblico (nella specie, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il collocamento a riposo di un medico, disposto senza espressa motivazione). (Trib. Reggio Emilia 12/1/2009, ord. Est. Parisoli, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Davide Casale, "Il licenziamento del personale pubblico (dirigente) con quaranta anni di anzianità contributiva ex art. 72 del D.L. n. 112/2008", 1051)
  • L'art. 72 c. 11 del d.l. n. 112/2008, convertito con l. n. 133/2008, nel consentire alle p.a. la risoluzione del rapporto lavorativo con i dipendenti con anzianità contributiva di 40 anni, non ha inteso derogare alla disciplina delle durata e della revoca degli incarichi dirigenziali (nella specie, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il collocamento a riposo di un medico che aveva un incarico dirigenziale preesistente al predetto decreto legge). (Trib. Reggio Emilia 12/1/2009, ord. Est. Parisoli, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Davide Casale, "Il licenziamento del personale pubblico (dirigente) con quaranta anni di anzianità contributiva ex art. 72 del D.L. n. 112/2008", 1051) 
  • In tema di licenziamento del dipendente (nel caso, il Direttore dei Servizi Generali Amministratividi un IstitutoScolastico) per persistente insufficiente rendimento l'amministrazione è tenuta alla specifica contestazione dei fatti oggetto di recidiva solo quando detti fatti risultino elemento costitutivo dell'addebito, e non meramente accidentale quale criterio di valutazione della gravità della condotta. (Trib. Bari 16/10/2008, ord., Est. Arbore, in Lav. nelle P.A. 868)
  • Il licenziamento per persistente insufficiente rendimento può essere disposto dinanzi a una ipotesi di particolare gravità dell'infrazione purché sia concretamente sussistente il nesso di proporzionalità fra sanzione e infrazione. (Trib. Bari 16/10/2008, ord., Est. Arbore, in Lav. nelle P.A. 868)
  • E' legittima la risoluzione del rapporto di lavoro disposta dall'amministrazione allorché il dipendente abbia dichiarato l'inesistenza di situazioni di incompatibilità con il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione in base all'art. 508 d.lgs. n. 297/1994 o all'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, essendo l'effetto risolutorio del rapporto di lavoro previsto per tale ipotesi tanto dalla fonte legislativa (art. 1, comma 61, L. n. 662/1996) quanto da quella contrattuale, posto che nel contratto individuale di lavoro in essere tra le parti era espressamente previsto che la non veridicità del contenuto delle dichiarazioni avrebbe comportato l'immediata risoluzione del rapporto di lavoro. Il contratto di servizio civile, pur non costituente lavoro pubblico, concretizza una situazione di incompatibilità, trattandosi di rapporto a titolo oneroso con un impegno di orario. (Nel caso, il dirigente scolastico aveva disposto la risoluzione di un rapporto di lavoro a termine con un collaboratore scolastico). (Trib. Parma 9/4/2008, ord., in Lav. nelle P.A. 2008, 408)
  • Le garanzie procedimentali previste per il licenziamento individuale dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori trovano applicazione anche quando il licenziamento riguardi un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell'impresa, e ciò sia nel caso di addebito di comportamento negligente, sia nel caso in cui a fondamento del licenziamento siano poste condotte atte a far venire meno la fiducia del datore di lavoro. La mancata applicazione delle garanzie procedimentali comporta la non valutabilità delle condotte causative del recesso e l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione. (Cass. 30/3/2007 n. 7880, Pres. carbone Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A., 541)
  • Poichè la disciplina della dirigenza privata non è sovrapponibile a quella della dirigenza pubblica, e il rapporto dei dipendenti pubblici con attitudine dirigenziale è assimilato dall'art. 21 D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, a quello della categoria impiegatizia, la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti privati con qualifica impiegatizia, ed è assoggettata, ex art. 51, 2° comma, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 alla disciplina dello Statuto dei Lavoratori; pertanto, il dirigente illegittimamente licenziato dall'Amministrazione ha diritto alla reintegrazione ex art. 18 Statuto dei Lavoratori. (Cass. 1/2/2007 n. 2233, Pres. Senese Rel. Picone, in Lav. Nelle P.A. 515)
  • In presenza di più impugnazioni dello stesso licenziamento, il principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile implica che il risultato di un processo (conclusosi con sentenza passata in giudicato) non possa più essere messo in discussione mediante ragioni o argomentazioni che in quello stesso processo avrebbero potuto essere fatte valere dall'interessato; in particolare, riguardo al licenziamento disciplinare, è preclusa per effetto del precedente giudicato l'impugnazione che deduca nuovi e diversi profili di illegittimità da parte del lavoratore dipendente, dovendosi, in ogni caso, escludere che il giudicato sulla validità sostanziale del licenziamento consenta un'altra impugnazione per motivi formali, restando del tutto irrilevante che gli eventuali, relativi vizi non siano stati dedotti o siano stati tardivamente, e perciò inammissibilmente, fatti valere (fattispecie in tema di lavoro alle dipendenze di pubblica amministrazione). (Cass. 28/9/2006 n. 21032, Pres. Senese Est. Picone, in Giust. Civ. 2007, 1259)  
  • L'art. della l. 7 febbraio 1990, n. 19, sancisce il divieto dell'automatica destituzione di diritto a seguito di condanna penale, nel caso, però, di destituzione per applicazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, quid pluris rispetto alla sanzione penale, si ritiene ancora operante la destituzione di diritto data la gravità della sanzione. (Consiglio di Stato 6/8/2002, n. 4099, Pres. De Roberto, Est. Roxas, in Giur. italiana 2003, 374)
  • L'estinzione del rapporto di servizio e di pubblico impiego non può avvenire tacitamente ma consegue sempre ad una determinazione espressa nelle forme di legge (Consiglio di Stato 20/11/00, n. 6181, pres. Catallozzi, est. Poli, in Foro it. 2001, pag.2, parte terza)
  • Il provvedimento di riammissione in servizio ex art. 132, d.p.r. 10/1/57, n. 3 appartiene alla categoria degli atti negoziali discrezionali presupposti e, in quanto tale, comporta un obbligo di motivazione da parte dell'autorità amministrativa; ne consegue che, in applicazione dell'art. 68 d. lgs. 29/93, in caso di difetto di motivazione la natura della posizione tutelata (diritto soggettivo alla riassunzione) impone l'adozione di un provvedimento di condanna dell'amministrazione alla riassunzione, con decorrenza degli effetti giuridici ed economici non dalla data della domanda giudiziale, ma dalla delibera di ricostituzione del rapporto (Trib. Pordenone 20/3/00, pres. Lazzaro, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 909, con nota di Vianello, Pubblico impiego privatizzato e posizioni giuridiche transgeniche)
  • Qualora il lavoratore abbia presentato istanza per la concessione di un ulteriore periodo di aspettativa per malattia, l'omesso esame di tale istanza rende illegittimo il successivo provvedimento di sospensione dal servizio adottato dalla pubblica amministrazione per superamento del periodo di comporto: se è vero, infatti, che il provvedimento di sospensione dal servizio è un atto discrezionale, è altrettanto vero che tale atto presuppone un corretto esercizio del potere attraverso il preventivo esame della suddetta istanza del lavoratore (Trib. Milano 19 luglio 1999, est. Curcio, in D&L 2000, 193)
  • Il fatto che nella sanità i due livelli di dirigenza siano contenuti in uno stesso inquadramento legale e che il contratto collettivo attribuisca agli stessi un identico trattamento normativo impone, in via di principio, la conseguenza che entrambi i livelli siano esclusi dalla tutela reale (art. 10 L. 15/7/66 n. 604) (Trib. Milano 22/6/99, est. Mannacio, in D&L 1999, 665, n. De Cesaris, I dirigenti nella dirigenza sanitaria: dai giudici del lavoro due pronunce contrastanti)
  • Deve ritenersi nullo l’art. 36 del Ccnl del settore sanitario nella parte in cui prevede l’applicabilità del recesso ad nutum anche ai dirigenti sanitari inquadrati al I livello. A questi infatti sono attribuite funzioni equiparabili a quelle impiegatizie e devono pertanto ritenersi applicabili sia la L. 15/7/66 n. 604 sia l’art. 18 SL (Pret. Milano 3/5/99 (ord.), est. Curcio, in D&L 1999, 665, n. De Cesaris, I dirigenti nella dirigenza sanitaria: dai giudici del lavoro due pronunce contrastanti)