Appalto di manodopera
Questione 1: Che differenza c'è tra appalto e somministrazione?
La linea di demarcazione tra appalto e somministrazione è tracciata dall’art. 29 del decreto legislativo n. 276/2003, il quale dispone che nel contratto d’appalto, diversamente dalla somministrazione di lavoro, è l'appaltatore a provvedere alla organizzazione dei mezzi necessari all’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto di pattuizione. La norma precisa che l'organizzazione dei mezzi può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio appaltato, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratore utilizzati nell'appalto, nonché per l'assunzione, da parte dell'appaltatore, del rischio d'impresa.
Ai fini della sussistenza di un appalto “genuino”, quindi, non è sufficiente che l’appaltatore si faccia carico dell’assunzione, della gestione amministrativa e della direzione dei lavoratori, né che si assuma il rischio relativo alle vicende dei rapporti di lavoro; è invece necessario che egli agisca come un vero imprenditore, impiegando una propria organizzazione di mezzi, assumendosi i rischi della realizzazione dell’opera o del servizio pattuito e utilizzando in piena autonomia un preciso e identificabile patrimonio di conoscenze, esperienze e professionalità del quale il committente sia privo. In tal senso, assumono per esempio rilevanza l'attività di selezione e formazione del personale impiegato, o la regolarizzazione dei lavoratori dell'appalto, o il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro e prevenzione degli infortuni.
Questione 2: Quali sono gli obblighi del committente nei confronti dei lavoratori dell'appalto?
Il contratto di appalto è disciplinato dagli artt. 1655 e seguenti del codice civile. In particolare, l’art. 1676 c.c. riconosce ai dipendenti dell’appaltatore, che hanno partecipato all’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto del contratto d’appalto, la possibilità di agire direttamente nei confronti del committente per ottenere quanto è loro dovuto, sia pure entro i limiti del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel momento in cui viene proposta la domanda.
L’art. 29, comma 2, d. lgs. 276/2003 estende e rafforza le tutele codicistiche, stabilendo che i lavoratori dell’appaltatore possono agire anche nei confronti del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti, e ciò indipendentemente dalla sussistenza di crediti dell’appaltatore nei confronti del committente, purché l’azione sia promossa entro due anni dalla cessazione dell’appalto. A differenza dell’azione disciplinata dall'art. 1676 c.c., dunque, la tutela prevista dal d.lgs. 276/03 può essere esperita anche in assenza di un debito del committente nei confronti dell’appaltatore.
In ogni caso, i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati dei lavoratori comparativamente più rappresentativi, possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti. La previsione normativa da ultimo citata non trova applicazione qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale.
Sotto il profilo processuale, il secondo comma dell’art. 29 prevede che il lavoratore deve convenire in giudizio sia l’appaltatore sia il committente imprenditore. Quest’ultimo, nella prima difesa, può pretendere la preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore. In questo caso, il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere rivolta contro il committente imprenditore solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore.
Ai sensi dell’art. 9 c. 1 DL 76/13, convertito in L 99/13, la disciplina sopra descritta si applica anche ai lavoratori autonomi, ma non ai contratti d’appalto stipulati dalla PA. La norma ha anche precisato che i contratti collettivi contemplati dal citato art. 29 c. 2 non hanno alcun effetto nei confronti dei contributi previdenziali e assicurativi.
Questione 3: Quali sono i diritti dei lavoratori di un appalto nel caso di subingresso di un nuovo appaltatore?
Il subingresso di un nuovo appaltatore non impone di per sé il passaggio dei lavoratori addetti all'appalto alle dipendenze del nuovo appaltatore. Solamente alcuni contratti collettivi prevedono che, in un caso come questo, il passaggio debba necessariamente avvenire. Quando non sia applicabile una simile norma contrattuale, dunque, il lavoratore potrà essere impiegato in un altro appalto, sempre che vi siano posizioni lavorative vacanti.
Nel caso in cui si verificasse il passaggio dei lavoratori dal precedente appaltatore a quello subentrante, per espressa disposizione dell'art. 29 c. 3 D. Lgs. 276/03 non è applicabile la disciplina del trasferimento d'azienda o di un suo ramo. Ciò significa che il passaggio può avvenire senza riconoscere l'anzianità del lavoratore, o la sua retribuzione o il suo livello di inquadramento. Inoltre, l'appaltatore cessante e l'appaltatore subentrante non sono obbligati in solido per i crediti che il lavoratore aveva maturato al momento del passaggio dell'appalto. Naturalmente, il contratto collettivo può prevedere condizioni di miglior favore, disponendo per esempio che il rapporto debba proseguire a parità di condizioni.
Da ultimo, si segnala che il nuovo regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, introdotto dal d.lgs. 23/2015 (uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act) e applicabile ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, prevede che, in caso di licenziamento illegittimo, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante nell'appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata (art. 7 d.lgs. 23/2015).
Questione 4: Cosa può fare il lavoratore in caso di appalto irregolare?
L'art. 29 D. Lgs. 276/03 indica i requisiti di legittimità dell'appalto, in particolare disponendo che l'organizzazione dei mezzi necessari all'espletamento dell'appalto deve spettare all'appaltatore che, in ogni caso, deve assumere su di sé il rischio d'impresa e quindi non può fungere da semplice intermediario di forza lavoro.
La stessa norma prevede anche le conseguenze che si realizzano nel caso in cui mancassero i requisiti appena indicati. Più precisamente, in questo caso il lavoratore può rivolgersi al giudice al fine di ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente che, di fatto, ha utilizzato la sua prestazione lavorativa. In questa ipotesi tutti i pagamenti effettuati dall'appaltatore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il committente dal debito corrispondente sino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Inoltre, tutti gli atti compiuti dall'appaltatore per la costituzione o gestione del rapporto, per il periodo durante il quale l'appalto ha avuto luogo, si intendono come se fossero stati compiuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione lavorativa.
Questione 5: Si applica anche agli appalti conferiti dalla pubblica amministrazione la regola della responsabilità solidale del committente?
L’art. 9, co. 1, del D.L. 76/2013 dispone che il regime di responsabilità solidale di cui al secondo comma dell’art. 29 non trova applicazione nei confronti dei contratti di appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
La formulazione della norma (contenente il richiamo espresso al T.U. in materia di pubblico impiego) consente di ritenere che tale esclusione operi soltanto nei confronti delle amministrazioni dello Stato in senso stretto – intendendosi per tali tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti, le scuole, le Regioni, le Province, i Comuni, le istituzioni universitarie, le camere di commercio, gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, il servizio sanitario nazionale –, restando invece escluse le società a partecipazione pubblica.
Soluzione diversa deve invece essere adottata per le società per azioni a partecipazione pubblica. Come è stato rilevato dalla giurisprudenza di merito (Corte d’Appello di Firenze, 06/10/2015), la solidarietà si applica alle imprese private, seppur soggette alla disciplina del codice degli appalti, proprio perché la deroga alla solidarietà deve intendersi limitata alla pubblica amministrazione di cui al T.U. 165/2001. Tale preciso riferimento non consentirebbe l’interpretazione estensiva della norma, anche nei confronti di soggetti formalmente privati.