In genere

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  • Mancata proroga del contratto a termine alla lavoratrice somministrata in gravidanza: accertata la discriminazione diretta.
    Dopo aver comunicato al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza, alla ricorrente, lavoratrice somministrata impiegata in un appalto di pulizie, veniva comunicato che il suo contratto di lavoro somministrato a tempo determinato, già prorogato quattro volte, non sarebbe stato rinnovato. Contemporaneamente, l’agenzia di somministrazione comunicava altresì la cessazione anticipata del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego, per poi rettificare la comunicazione indicando come termine la scadenza dell’ultima proroga. Il Tribunale, anche sulla base del coevo rinnovo del contratto di altri colleghi di lavoro, ha valutato tali elementi una manifestazione univoca del fatto che la gravidanza costituisse l’unica ragione della perdita di possibilità per la lavoratrice di vedersi prorogare il contratto a termine. Il trattamento deteriore della ricorrente rispetto alle colleghe che sono rimaste in servizio integra, quindi, una discriminazione diretta in ragione dello stato di gravidanza; l’accertata condotta discriminatoria configura il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno per il lucro cessante costituito dalla perdita di chances. (Trib. Milano 12/6/2023, Giud. Ghinoy, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  • Nessuna discriminazione se la disparità di trattamento indirettamente connessa all’età di pensionamento è finalizzata ad allineare le pensioni dei dipendenti pubblici al regime generale.
    In un giudizio in Austria, promosso da un dipendente pubblico di quel Paese, in pensione di vecchiaia dal 1° luglio 2020, che lamentava il carattere discriminatorio, connesso all’età, della legge nazionale che solo per coloro che maturano il diritto a pensione entro il 31 dicembre 2021 prevede un trattamento deteriore quanto alla decorrenza dell’adeguamento dei relativi trattamenti al costo della vita, il giudice aveva chiesto l’intervento di interpretazione della normativa europea della Corte di giustizia. La Corte europea, dopo avere precisato che la normativa austriaca ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, osserva che: (i) la disciplina nazionale in questione non sembra dar luogo a discriminazione diretta in ragione dell’età; (ii) quand’anche si ritenesse che essa svantaggi, in via indiretta, soprattutto le persone di una certa età (circostanza che solo il giudice nazionale è competente a valutare), tale disparità di trattamento dovrebbe ritenersi giustificata dalla finalità (dichiarata dal legislatore austriaco) di realizzare il legittimo obiettivo di assicurare il finanziamento sostenibile del sistema pensionistico nazionale allineando altresì progressivamente il trattamento pensionistico dei dipendenti pubblici al regime generale. (Corte di Giustizia UE 20/4/23 n. C-52/22, Pres. e Rel. Arastey Sahún, in Wikilabour, Newsletter n. 8/23)
  • Le disposizioni dell’art. 27 CCNL dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale 8 giugno 2000, che disciplina il conferimento degli incarichi professionali, e degli artt. 4 e 12 CCNL 8 giugno 2000 II biennio economico, che disciplinano la retribuzione di posizione, non introducono alcuna discriminazione vietata dall’ordinamento, per quanto attiene al computo nella anzianità di servizio della sola attività lavorativa prestata all’interno del comparto del SSN. (Corte App. Milano 5/2/2021, Pres. Picciau Rel. Dossi, in Lav. nella giur. 2021, 664)
  • Mentre nel caso di discriminazione diretta è la condotta, il comportamento tenuto, che determina la disparità di trattamento, nel caso di discriminazione indiretta la disparità vietata è l’effetto di un atto, di un patto di una disposizione di una prassi in sé legittima; di un comportamento che è corretto in astratto e che, in quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con particolari caratteristiche, che costituiscono il fattore di rischio della discriminazione, determina invece una situazione di disparità che l’ordinamento sanziona. (Trib. Bologna 31/12/2020, ord., Giud. Zompì, in Lav. nella giur. 2021, 425)
  • È discriminatorio l’algoritmo che penalizza nell’accesso alle sessioni di lavoro i riders che si astengono legittimamente dal lavoro. Pertanto, qualora non siano specificamente individuabili i lavoratori discriminati, il sindacato è legittimato ad agire in giudizio per l’accertamento della discriminazione, nonché per il risarcimento del danno. (Trib. Bologna 31/12/2020, ord., Giud. Zompì, in Lav. nella Giur. 2021, con nota di M. Lamannis, Frank è un falso cieco: l’algoritmo discrimina i riders, 526)
  • È discriminatorio subordinare alla condizione della residenza nel territorio comunale l’accesso ai buoni spesa erogati dal Comune per l’emergenza COVID.
    Il Tribunale dichiara discriminatoria la delibera con la quale il Comune di Napoli ha subordinato l’accesso ai buoni spesa, erogati a fronte dei contributi a titolo di “misure urgenti di solidarietà alimentare” per l’emergenza da COVID stanziati in forza dell’ordinanza della Protezione Civile, n. 658/2020, alla condizione che la persona richiedente abbia la residenza nel comune. Tale provvedimento esclude tutte quelle persone che si trovino in condizioni di disagio economico, dovuto all’emergenza in atto, e che, ancorché in possesso di un legittimo titolo di permanenza in Italia e aventi nel territorio italiano la propria dimora stabile, non siano tuttavia, per diverse ragioni, ivi residenti. Tale condotta configura una violazione dell’art. 43 del T.U. sull’immigrazione e determina dunque una condotta discriminatoria, sussistendo peraltro i presupposti per un provvedimento d’urgenza trattandosi di un sussidio necessario per soddisfare i bisogni alimentari immediati delle persone in stato di bisogno. (Trib. Napoli 25/6/2020, ord., Giud. Canale, in Wikilabour, Newsletter n. 11/2020)
  • Ancora in materia di buoni spesa erogati dal Comune: discriminatorio subordinare l’accesso al beneficio al possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
    Il Tribunale di Brescia, su ricorso di due enti collettivi e di tutela dei cittadini immigrati, dichiara discriminatoria la delibera di un Comune con la quale sono stati adottati criteri e modalità di selezione delle domande per l’erogazione dei “buoni spesa”, nella parte in cui tali criteri contengono, per gli stranieri extra UE, il requisito del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Ai fini dell’accesso alla misura di sostegno, sono invece rilevanti i soli requisiti relativi alla condizione di disagio economico e alla domiciliazione nel territorio comunale. (Trib. Brescia 19/5/2020, Giud. Pipponzi, in Wikilabour, Newsletter n. 12/2020)
  • L’art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 198/2006 comprime in maniera radicale la facoltà di assegnare ad altra sede il lavoratore o la lavoratrice che ha denunciato di aver subìto una discriminazione, ponendo una presunzione di discriminatorietà dei provvedimenti datoriali indirizzati all’autore della denuncia, posti in essere in consequenzialità con essa. (Trib. Torino 7/5/2020 n. 5349, Giud. Mancinelli, in Lav. nella giur. 2021, con nota di C. Mazzanti, Molestie sessuali e trasferimento discriminatorio, 404)
  • La violazione del principio di non discriminazione configura una condotta illecita del datore di lavoro che contravviene a un preciso dovere di adempimento contrattuale. Di conseguenza ai crediti derivanti dal predetto inadempimento deve applicarsi l’ordinaria prescrizione decennale. (Corte app. Milano 20/3/2020, Pres. e Rel. Bianchini, in Lav. nella giur. 2020, 1000)
  • A fronte di molestie ex art. 2, co. 3, d.lgs. 215/2003, consistenti in condotte verbali e materiali poste in essere da un dipendente nei confronti di colleghi di origine africana, il datore di lavoro è condannato al risarcimento del danno, ex artt. 2087 e 2049 c.c., in solido con l’autore materiale del comportamento, oltre che all’adozione di misure volte a rimuovere gli effetti ed a prevenire ulteriori comportamenti discriminatori, con la realizzazione di un corso diretto a sensibilizzare i dipendenti sulle tematiche della discriminazione razziale. (Trib. Milano 24/1/2020, ord., Est. Moglia, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di G. Cassano, “Molestie legate alla razza e discriminazioni nel rapporto di lavoro”, 435)
  • In tema di discriminazione vietata, l’espressione «convinzioni personali» di cui agli artt. 1 e 4 d.lgs. 216/2003 comprende anche le motivazioni e l’affiliazione sindacale che — al pari di quella religiosa — ben può ritenersi un’ideologia connotata da specifici motivi di appartenenza a un ente qualificato a rappresentare opinioni, idee e convinzioni, rilevanti ai fini della tutela poiché oggetto di possibili atti discriminatori vietati. (Cass. 2/1/2020 n. 1, Pres. Nobile Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di D. Tardivo, “Estensione dell’agevolazione probatoria avverso la discriminazione al procedimento  ex art. 28 St. Lav.: un chiasmo ragionevole?”, 377)
  • Trova applicazione anche al procedimento ex art. 28 St. Lav. lo speciale criterio di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 4, co. 4 d.lgs. 216/2003, che non integra un’inversione dell’onere probatorio, ma una «agevolazione» che l’ordinamento riconosce in favore del soggetto che assume essere stato discriminato: quest’ultimo, infatti, può limitarsi ad allegare e dimostrare circostanze di fatto dalle quali può desumersi per inferenza la discriminazione. In capo al datore si determina quindi l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione, attraverso circostanze idonee ad escludere la natura discriminatoria della propria condotta. (Cass. 2/1/2020 n. 1, Pres. Nobile Est. Arienzo, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di D. Tardivo, “Estensione dell’agevolazione probatoria avverso la discriminazione al procedimento ex art. 28 St. Lav.: un chiasmo ragionevole?”, 377)
  • Ai fini delle richieste di accesso alle prestazioni sociali agevolate, occorre consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea di far pervenire la domanda di accesso mediante la presentazione dell’ISEE senza altra documentazione aggiuntiva, alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione Europea in generale, così come disciplinato dal d.p.c.m. n. 159/2013. Conseguentemente costituisce discriminazione per nazionalità la condotta dell’amministrazione locale che nel proprio regolamento richiede ai cittadini extra Ue di produrre, per accedere a dette prestazioni, la certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero che attesti l’assenza di redditi e proprietà nello Stato di provenienza. (Trib. Milano 12/10/2018, ord., Est. Di Plotti, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di C. Macchione, “Accesso alle prestazioni sociali agevolate: un caso di discriminazione per nazionalità nei confronti dei cittadini extra Ue”, 284)
  • Va rimessa ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la disciplina che fissa a 60 anni l’età massima per i piloti dipendenti da società adibita ad attività di copertura dei servizi segreti (d.p.c.m. 9 settembre 2008, PCM-OPS 1.1136). La Corte di Cassazione ritiene la Corte di Giustizia il foro più competente ad accertare la compatibilità di detta disposizione con le disposizioni dell’Unione e i principi posti a tutela dei diritti fondamentali. In particolare, la Corte di Giustizia è chiamata a verificare se il reg. Ue n. 1178/2011, che fissa al sessantacinquesimo anno di età il limite per l’impiego dei piloti nel trasporto aereo commerciale, possa assumersi a regola generale, nonché, in subordine, a valutare se la normativa nazionale si ponga in contrasto col principio di non discriminazione per età di cui alla dir. 2000/78/CE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 21, n. 1). (Cass. 30/5/2018 n. 13678, Pres. Bronzini Rel. Leone, in Riv. It. Dir. lav. 2018, con nota di E. Chieregato, “Il principio di non discriminazione in base all’età nel dialogo tra Corti superiori: il caso del personale aereo dei servizi segreti al vaglio della Corte di Giustizia”, 900)
  • L’art. 3 co. 7 d.l. n. 64/2010 convertito in l. n. 100/2010, con il quale viene uniformata a 45 anni l’età pensionabile dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo, e viene agli stessi riconosciuto, in via transitoria, il diritto d’opzione per la permanenza in servizio entro i previgenti limiti massimi di pensionamento di vecchiaia (47 anni per le donne e 52 per gli uomini) introduce una discriminazione diretta in ragione del genere vietata dalla dir. n. 2006/54. (Cass. 17/5/2018 n. 12108, Pres. Bronzini Est. Lorito, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di V. Brino, “Età pensionabile, età lavorativa e diritto d’opzione: un caso di discriminazione diretta in ragione del genere”, 628)
  • In caso di discriminazione, la giurisdizione e la legge applicabili sono individuati in ragione della natura extracontrattuale dell’illecito nella giurisdizione e legge applicabile del luogo dove si è verificato l’evento dannoso. (Trib. Bergamo 30/3/2018 n. 1586, Est. Bertoncini, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di V. Protopapa, “Il modello Ryanair di fronte al divieto di discriminazione in base alle convinzioni personali”, 545)
  • Il divieto di discriminazione per convinzioni personali che trova applicazione con riferimento alle convinzioni sindacali del lavoratore vieta la previsione che subordina la validità dell’accordo tra lavoratore e datore di lavoro al fatto che la società non debba contrattare con le organizzazioni sindacali. (Trib. Bergamo 30/3/2018 n. 1586, Est. Bertoncini, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di V. Protopapa, “Il modello Ryanair di fronte al divieto di discriminazione in base alle convinzioni personali”, 545)
  • In caso di violazione del divieto di discriminare è ammissibile una condanna al risarcimento del danno con finalità sanzionatorie. (Trib. Bergamo 30/3/2018 n. 1586, Est. Bertoncini, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di V. Protopapa, “Il modello Ryanair di fronte al divieto di discriminazione in base alle convinzioni personali”, 545)
  • La questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 lett. a) e b) e 3 lett. a) d.lgs. n. 216/2003, sollevata in relazione all’art. 21 Cost., è manifestamente infondata posto che la libertà di manifestazione del pensiero non può violare altri principi costituzionali, nel caso di specie gli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. (Corte app. Brescia 11/12/2014, Pres. Nuovo Est. Finazzi, con nota di M. Ranieri, “Da Philadelphia a Taormina: dichiarazioni omofobiche e tutela antidiscriminatoria”, 105)
  • La legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 5 d.lgs. n. 216/2003 è accordata a organizzazioni e associazioni non necessariamente rappresentative del diritto o dell’interesse leso in senso stretto, ovvero in quanto costituite da soggetti portatori di un diritto o di un interesse individuale coincidente con quello dell’organizzazione o dell’associazione; è sufficiente che tali organismi siano portatori dell’interesse collettivo. (Corte app. Brescia 11/12/2014, Pres. Nuovo Est. Finazzi, con nota di M. Ranieri, “Da Philadelphia a Taormina: dichiarazioni omofobiche e tutela antidiscriminatoria”, 105)
  • La fissazione a 30 anni dell’età massima per l’assunzione nei corpi di polizia locale costituisce un requisito sproporzionato rispetto alle finalità perseguite dal legislatore nazionale e pertanto è contraria agli articoli 2, paragrafo 2, 4, paragrafo 1, e 6, paragrafo 1, lettera c, della direttiva 2000/78. (Corte di Giustizia 13/11/2014 C-416/13, Pres. Silvia de Lapuerta Rel. da Cruz Vilaça, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Veronica Papa, “La Corte di Giustizia e l’illegittimità del filtro anagrafico nei concorsi pubblici”, 581)
  • Le dichiarazioni rese da un noto avvocato nel corso di una popolare trasmissione radiofonica con cui si manifesta la volontà di non assumere nel proprio studio professionale persone omosessuali hanno carattere discriminatorio poiché volte a dissuadere determinati soggetti dal presentare le proprie candidature integrando una limitazione delle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro. (Trib. Bergamo 6/8/2014, ord., Giud. Bertoncini, con nota di M. Ranieri, “Da Philadelphia a Taormina: dichiarazioni omofobiche e tutela antidiscriminatoria”, 105)
  • Posta la natura discriminatoria della norma nazionale che consente la stipulazione di un contratto pregiudizievole come quello intermittente in considerazione del solo requisito dell’età anagrafica del lavoratore, la datrice di lavoro va condannata a rimuovere gli effetti della discriminazione, mediante riammissione in servizio del dipendente, dovendosi ritenere illegittimamente risolto il contratto di lavoro, da considerare a tempo determinato. (Corte app. Milano 15/4/2014 Pres. Curcio Rel. Bianchini, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Laura Calafà, “Lavoro intermittente e discriminazione diretta in base all’età: prove di disapplicazione”, 534)
  • Spetta alla giurisdizione del g.o. conoscere di una discriminazione anche quando questa sia stata posta in essere attraverso un procedimento amministrativo. (Trib. Bergamo 30/3/2014, Est. Corvi, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di Vincenzo Ferrante, “Prestazioni assistenziali ai cittadini extraeuropei e tutela dei diritti individuali”, 508)
  • Posto che la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma solo uno strumento di controllo dei fatti costituenti la prova, il lavoratore che adduca di aver subito condotte discriminatorie e persecutorie è gravato dal relativo onere probatorio, non essendo sufficiente riportarsi a episodi riferiti dal CTU. (Cass. 19/12/2013 n. 28448, Pres. Stile Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2014, 280)
  • L’art. 4-bis d.lgs. n. 216 del 2003 non impedisce l’adozione di qualsiasi determinazione datoriale che si collochi in data successiva a una accertata discriminazione bensì colpisce quelle determinazioni che risultano collegate a tale discriminazione e che si presentino sprovviste di valide ed effettive ragioni di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Se, infatti, si dovesse interpretare nel primo senso la norma in esame, risulterebbero precluse tutte le determinazioni datoriali che traggano origine, anche solo occasionale, dall’accertata discriminazione, anche solo occasionale, dall’accertata discriminazione, costringendosi l’impresa a una impasse assoluta sul versante della gestione organizzativa e del personale. In ogni caso, deve trattarsi di provvedimento datoriale di gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti e non di mero annuncio dell’intenzione di assumere determinate decisioni. (Trib. Roma 15/1/2013, dott.ssa Boghetich, in Lav. nella giur. 2013, 317)
  • Qualora venga dedotta una discriminazione per motivi sindacali relativa a singoli lavoratori, la parte che si ritenga lesa può azionare il procedimento di cui all’art. 28 D.Lgs. 1/9/11 n. 150 sotto il profilo della discriminazione per convinzioni personali, mentre il procedimento ex art. 28 SL è riservato ai soli casi in cui venga in questione la tutela dell’interesse collettivo del sindacato al libero esercizio delle sue prerogative, interesse che è distinto e autonomo rispetto a quello dei singoli lavoratori. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • Il fatto che nell’art. 1 direttiva CE 2000/78 il termine “convinzioni personali” sia affiancato a quello di “religione” non comporta che per convinzioni personali debba intendersi quel credo che, al pari della religione, è caratterizzato da specifici connotati di pervasività e stabilità. La nozione di convinzioni personali ha infatti un utilizzo variabile nelle diverse fonti normative del diritto antidiscriminatorio, ma certamente comprende categorie che vanno dall’etica, alla filosofia, dalla politica (in senso lato) alla sfera dei rapporti sociali e comprende pertanto anche l’affiliazione sindacale in quanto occasione per manifestare una concezione del lavoro e della dignità umana in esso realizzata. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • In caso di asserita discriminazione consistente nella mancata assunzione di iscritti Fiom presso la Fabbrica Italiana di Pomigliano, sussiste la legittimazione attiva del sindacato ex art. 5, 2° comma, D.Lgs. 9/7/03 n. 216 in quanto i soggetti discriminati non erano immediatamente e direttamente individuabili stante le numerose disdette, non immediatamente verificabili, intervenute nel periodo cui si riferisce la causa. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • Nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio l’attore ha soltanto l’onere di fornire elementi di fatto, anche di carattere statistico, idonei a far presumere l’esistenza di una discriminazione, ma non è affatto previsto che i dati statistici debbano assurgere ad autonoma fonte di prova; conseguentemente qualora il dato statistico fornito dal ricorrente indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di lavoratori, è onere del datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state invece effettuate secondo criteri oggettivi e non discriminatori. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • Poiché nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio il Giudice deve privilegiare le misure volte a ripristinare in capo ai soggetti lesi la condizione di parità dalla quale erano stati esclusi, è pienamente ammissibile – in ipotesi di discriminazione nei criteri selettivi per l’assunzione – l’ordine del Giudice di effettuare le assunzioni secondo un determinato criterio (nella specie: mantenendo la percentuale di iscritti Fiom esistente presso il gruppo destinatario delle proposte di assunzione); detto ordine infatti conserva in capo al datore di lavoro un margine di libertà di scelta e non contrasta né con la tutela dell’autonomia privata (la quale non può comunque svolgersi in contrasto con il principio di non discriminazione) né con il principio di libera iniziativa economica ex art. 41 Cost. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • In ipotesi di politiche di assunzione discriminatorie il Giudice, nell’ambito dei suoi poteri di inibizione e rimozione, oltre a ordinare per il futuro l’osservanza di una determinata politica di assunzione ben può ordinare l’immediata assunzione dei lavoratori ricorrenti appartenenti al gruppo discriminato, salvo che il convenuto non alleghi e provi i motivi specifici per cui ciascun ricorrente, pur appartenendo al gruppo discriminato, non avrebbe i requisiti necessari per l’assunzione. (Corte app. Roma 9/10/2012, Pres. Torrice Est. Orrù, in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità”, 661)
  • Costituisce comportamento discriminatorio il rifiuto, da parte del Comune competente e dell’Inps, di concedere a un cittadino extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, l’assegno ai nuclei familiari numerosi; tale rifiuto si pone infatti in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all’art. 11, 1° comma, Direttiva 2003/109/CE, sicché il giudice nazionale, adito con la speciale azione antidiscriminatoria, deve disapplicare la norma nazionale difforme e riconoscere la prestazione allo straniero che sia titolare di detto titolo di soggiorno. (Trib. Tortona 22/9/2012, Est. Polidori, in D&L 2012, 838)
  • L’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della Direttiva n. 2000/78/Ce del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, va interpretato nel senso che esso non osta a un provvedimento nazionale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, che permette a un datore di lavoro di porre fine al contratto di lavoro di un dipendente per il solo motivo che quest’ultimo ha raggiunto l’età di 67 anni, e che non tiene conto del livello della pensione di vecchiaia che l’interessato percepirà, una volta che esso è obiettivamente e ragionevolmente giustificato da un obiettivo legittimo relativo alla politica del lavoro e del mercato del lavoro e costituisce un mezzo appropriato e necessario per il suo conseguimento. (Corte di Giustizia UE 5/7/2012, Causa C-141/11, Pres. Cunha Rodrigues Rel. Arabadjiev, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Roberto Cosio, 75, e in D&L 2012, con nota di Alberto Guariso, “Ancora due pronunce della Corte di Giustizia in tema di discriminazione per età”, 351)
  • Deve dichiararsi la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione dalla assunzione dei lavoratori iscritti alla FIOM. (Trib. Roma 21/6/2012, ord., Giud. Baroncini, in Lav. nella giur. 2012, 1119, e in D&L 2012, con nota di Silvia Borelli, “Il diritto antidiscriminatorio nella vicenda Fiat/Fabbrica Italia Pomigliano (Fip)-Fiom”, 355, e in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Mariagrazia Militello, “Dal conflitto di classe al conflitto tra gruppi. Il caso Fiat e le nuove frontiere del diritto antidiscriminatorio”, 180)
  • Integra una discriminazione per età il comportamento del datore di lavoro che rimuove il dipendente da mansioni asseritamente operative, motivando con l’età avanzata del lavoratore stesso e con la maggiore incidenza degli infortuni nelle persone di età più avanzata, ma non fornisce poi in giudizio prova statistica di tale maggior incidenza, né dimostra il carattere effettivamente operativo delle mansioni precedenti (nella specie trattavasi di “coordinatore squadre operativa”) né, ancora, di aver effettuato un effettivo e accurato esame delle condizioni psico-fisiche del ricorrente. (Trib. Bologna 1/6/2012, ord., Est. Sorgi, in D&L 2012, 758)
  • A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 28 D.Lgs. 1/9/11 n. 150 l’azione civile contro la discriminazione si svolge sempre con le forme del rito sommario di sognizione, sicché il relativo procedimento non si configura come procedimento cautelare. (Trib. Napoli 31/5/2012, Est. Spena, in D&L 2012, 496)
  • Qualora una discriminazione attenga alle condizizioni di lavoro il giudice tabellarmente competente – ferma l’applicazione dello speciale rito antidiscriminatorio – deve essere individuato nel giudice del lavoro, come risulta anche dal richiamo, contenuto nell’art. 4 D.Lgs. 9/7/03 n. 216, agli artt. 410 c.p.c. e 66 D.Lgs. 30/3/01 n. 165. (Trib. Napoli 31/5/2012, Est. Spena, in D&L 2012, 496)
  • Integra una discriminazione indiretta in ragione della disabilità il comportamento di una pubblica amministrazione che, dopo aver bandito tra i dipendenti una selezione per progressione orizzontale, preveda quale unico modo di accedere alla procedura quello informatico, con ciò rendendo impossibile la trasmissione della domanda da parte di un lavoratore non vedente (nella specie il giudice, a titolo di rimozione degli effetti, ha ordinato l’inserimento in graduatoria del dipendente non vedente la cui domanda non era tempestivamente pervenuta per un errore informatico dell’inoltro). (Trib. Napoli 31/5/2012, Est. Spena, in D&L 2012, 496)
  • Sussiste una discriminazione per ragioni di razza e origine etnica sotto il profilo delle molestie, laddove soggetti che rivestono posizioni apicali all’interno di un’azienda utilizzino ripetutamente nei confronti di un dipendente straniero espressioni spregiative riferite alla razza e al colore della pelle, essendo tale comportamento idoneo a creare un clima offensivo e umiliante nell’ambiente di lavoro. (Trib. Milano 22/3/2012, Est. Scarzella, in D&L 2012, con nota di Anna Baracchi, “’Molestie’ per ragioni di razza e normativa antidiscriminatoria”, 491)
  • In presenza di molestie per ragioni di razza e origine etnica consistenti nell’utilizzo di espressioni a sfondo razziale da parte di dipendenti che rivestono posizioni apicali, la rimozione della discriminazione ex art. 4 D.Lgs. 9/7/03 n. 215 può consistere nell’ordine al datore di lavoro di diramare un comunicato con il quale invita i dipendenti ad astenersi da espressioni volgari e offensive a sfondo razziale; al dipendente molestato deve altresì essere liquidato il risarcimento del danno non patrimoniale (nella specie il Giudice, tenuto conto della frequenza e intrinseca offensività delle condotte, ha condannato la società a pagare 5000 euro). (Trib. Milano 22/3/2012, Est. Scarzella, in D&L 2012, con nota di Anna Baracchi, “’Molestie’ per ragioni di razza e normativa antidiscriminatoria”, 491)
  • Rilevato che è obbligo del Giudice esplorare possibilità interpretative che consentano di pervenire a un’applicazione della normativa vigente conforme ai principi costituzionali, va adottata un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3 d.lgs. n. 77/2002 secondo la quale l’uso del termine “cittadino”, previsto dal suddetto art. 3 tra i requisiti necessari per l’accesso al Servizio Civile Nazionale, va inteso non con riferimento al soggetto munito di cittadinanza ma al soggetto che appartiene in maniera stabile e regolare alla comunità e che in quanto tale può vedersi esteso anche lui il dovere di difesa della Patria quale dovere di solidarietà politica, economica e sociale ex art. 2 Cost. (Trib. Milano 12/1/2012, in Lav. nella giur. 2012, 413)
  • In tema di azione contro la discriminazione razziale, ai sensi dell’art. 44 del T.U. n. 286/1998 sull’immigrazione, deve sempre ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice civile ordinario, poiché la posizione del soggetto, potenziale vittima di eventuali discriminazioni, ha valenza di diritto soggettivo assoluto rispetto a qualsiasi tipo di violazione che possa essere compiuta, sia da un privato, sia da una P.A., senza che possa assumere rilievo il fatto che la condotta lesiva sia stata attuata nell’ambito di un procedimento nel quale il privato potrebbe essere titolare solo di una posizione di interesse legittimo (nella specie: procedura di stabilizzazione di personale a tempo determinato, nell’ambito di una Azienda Ospedaliera, con esclusione di soggetti extracomunitari non in possesso di cittadinanza italiana). (Cass. Sez. Un. 30/3/2011 n. 7086, Pres. Vittoria Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2011, 627)
  • La clausola del contratto collettivo che subordini la concessione di un premio aziendale alla presenza effettiva in servizio per un numero di giorni deve ritenersi illegittima e discriminatoria, determinando una posizione di ingiustificato svantaggio in capo alle lavoratrici madri, sia rispetto ai colleghi maschi sia rispetto alle colleghe non in stato di gravidanza. (Trib. Firenze 15/2/2011, Giud. Taiti, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Luca Iero, 1046)
  • Poiché la pubblicazione della sentenza su un quotidiano a spese del datore di lavoro autore della discriminazione ha una funzione riparatoria del danno, la relativa richiesta formulata in giudizio dalla vittima delle condotte illegittime non può essere accolta qualora la vicenda non abbia assunto rilievo pubblico e non sia dunque necessario ripristinare, in pubblico, la realtà dei fatti.  (Trib. Prato 10/9/2010, Est. Serra, in D&L 2010, con nota di Lisa Amoriello, "La discriminazione di genere nella fase dell'accesso al lavoro alle dipendenze della PA", 1063)
  • L'età rappresenta una condizione personale che, per la natura dell'attività lavorativa e per il contesto in cui viene espletata, costituisce un requisito determinante ai fini dello svolgimento dell'attività di conducente di mezzi di trasporto pubblico, in condizioni idonee a garantire la tutela degli utenti e la sicurezza della circolazione; né può considerarsi comparabile la situazione dei candidati all'assunzione con quella del personale già in organico (che non sono soggetti al medesimo limite di età per l'assunzione fissato dal DM 513/98) considerata la pregressa esperienza e lo sviluppo nel tempo di quelle attitudini tecnico-pratiche imprescindibili ai fini dell'abilitazione alla conduzione nel servizio urbano. Ne consegue che non costituisce discriminazione diretta fondata sull'età, ai sensi dell'art. 4 della Dir. 2000/78, così come recepito dall'art. 3, 3° e 4° comma, D.Lgs. 9/7/03 n. 216, l'esclusione dall'assunzione di un candidato che abbia superato i limiti di età fissati dal predetto DM. (Trib. Milano 7/7/2010, Est. Colosimo, in D&L 2010, con nota di Laura Calafà, "Selezione per autisti di autobus di linea a Milano e discriminazione in base all'età", 1024) 
  • L’art. 18 TFUE, impone una parità di trattamento tra i cittadini comunitari anche sul piano processuale, poiché la parità effettiva si garantisce non solo assicurando uguaglianza nei diritti, ma anche negli strumenti processuali necessari a farli valere; ne segue che, in forza dei principi di interpretazione conforme e leale cooperazione, il giudice deve garantire ai cittadini comunitari una tutela processuale non inferiore a quella prevista dall’ordinamento interno per gli extracomunitari e che pertanto gli artt. 43 e 44 Tu immigrazione trovano applicazione anche in caso di discriminazione di cittadino comunitario. (Trib. Udine 29/6/2010, ord., Est. Chiarelli, in D&L 2010, 874)
  • La LR Friuli Venezia Giulia 7/11/06 e il relativo regolamento di attuazione, nella parte in cui riservano il beneficio dell’assegno di malattia ivi previsto ai residenti in Italia da almeno dieci anni di cui cinque nella Regione, violano il principio di parità di trattamento previsto dagli artt. 18, 45 e 49 TFUE nonché dal Regolamento CE 1408/71, giacché il requisito della residenza – favorendo i soggetti maggiormente radicati sul territorio regionale, i quali appartengono in gran parte alla comunità autoctona – costituisce una discriminazione indiretta in ragione della nazionalità; ne segue che il Giudice – adito da un Giudice comunitario che rivendichi l’attribuzione del beneficio – deve disapplicare la norma regionale facendo applicazione diretta del principio comunitario di parità. (Trib. Udine 29/6/2010, ord., Est. Chiarelli, in D&L 2010, 874)
  • Il principio della traslatio iudicii ha portata generale e si applica quindi, pur in assenza di un'espressa previsione di legge, anche al caso di reclamo avverso un'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. 9/7/06 n. 216 (azione civile contro la discriminazione); conseguentemente il reclamo proposto avanti alla Corte d'Appello dopo che la medesima impugnazione era stata proposta avanti il Tribunale e da questo dichiarata inammissibile deve considerarsi prosecuzione dell'originario giudizio, senza che possa operare il termine di decadenza previsto per il reclamo cautelare. (Trib. Roma 12/1/2010, ord., pres. Sorace Est. Palladini, in D&L 2010, con nota di Alberto Guariso e Daniele Bergonzi, "Sulla competenza per il reclamo nell'azione antidiscriminatoria, la parola passa alla Cassazione", 671)
  • Competente a decidere sul reclamo avverso le ordinanze in materia di azione civile contro la discriminazione proposto ai sensi dell'art. 44 TU immigrazione, è il Tribunale in composizione collegiale e non la Corte d'Appello (nella specie, posto che il Tribunale aveva già declinato la sua competenza in favore di quella della Corte d'Appello, la Corte ha sollevato regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c.). (Trib. Roma 12/1/2010, ord., pres. Sorace Est. Palladini, in D&L 2010, con nota di Alberto Guariso e Daniele Bergonzi, "Sulla competenza per il reclamo nell'azione antidiscriminatoria, la parola passa alla Cassazione", 671)
  • Dall'analisi delle disposizioni in materia di discriminazione e dall'assetto normativo in materia di accesso al lavoro, anche attraverso un'interpretazione conforme agli artt. 3, 10 e 117 Cost., risulta incompatibile con l'attuale assetto ordinamentale la sopravvivenza della disposizione del r.d. n. 148/1931, norma da ritenersi implicitamente abrogata nella parte in cui richiede la cittadinanza italiana o di un altro Stato membro dell'Unione europea quale requisito di accesso al lavoro nel settore e ciò a opera, in primo luogo, del d.lgs. n. 286/98 che, in attuazione della Convenzione OIL n. 143 del 24 giugno 1975 ratificata con l. n. 158/81, garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritto rispetto ai lavoratori italiani. (Trib. Milano 13-16/7/2009, Pres. Sala Rel. Gasparini, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Antonella Durante, "I confini della cittadinanza. Lavoro e immigrazione alla luce del diritto antidiscriminatorio", 363) 
  • Poiché il divieto di discriminazione per età è oggetto, nella disciplina comunitaria e nazionale, di molteplici possibilità di deroga in ragione delle esigenze del mercato del lavoro, la prova sul punto deve essere particolarmente rigorosa sicché la mera allegazione che un numero modesto di dipendenti sia stato oggetto di demansionamento perché più anziano, non è sufficiente a far presumere l'esistenza di una discriminazione per età (nella specie il ricorrente aveva allegato situazioni di demansionamento per 13 funzionari su 273). (Corte appello Firenze 13/7/2009, pres. ed est. Amato, in D&L 2009, con nota di Anna Rota, "Dequalificazione professionale e danno liquidabile dopo le decisioni delle Sezioni Unite", 729)
  • Qualora il dipendente, che agisce in giudizio per far valere una discriminazione di genere per mancata assunzione determinata dallo stato di gravidanza, fornisca serie allegazioni di fatto a sostegno della domanda, spetta al datore di lavoro dimostrare l'insussistenza della discriminazione (nella specie la Corte ha ritenuto tali da consentire l'inversione dell'onere della prova le seguenti allegazioni: la ricorrente era l'unica a non essere stata assunta tra 13 selezionati: la ricorrente operava già sulla medesima posizione con contratto di lavoro interinale; il datore di lavoro era probabilmente venuto a conoscenza dello stato di gravidanza tramite l'esame delle urine effettuato in sede di visita di idoneità e certamente superfluo in relazione alle mansioni da svolgere; solo la ricorrente e una collega erano state sottoposte a un ulteriore test psicoattitudinale che solo per la ricorrente aveva dato esito negativo. (Corte App. Milano 17/6/2009, Pres. Salmeri Est. Accardo, in D&L 2009, con nota di Alberto Guariso, "Ancora sulle conseguenze del comportamento discriminatorio: nodi irrisolti anche dopo il D.Lgs. 5/10", 972)
  • In ipotesi di discriminazione di genere consistente nella mancata assunzione determinata dallo stato di gravidanza, il Giudice non può procedere alla costituzione del rapporto ex art. 2932 c.c., che è applicabile solo quando esista un obbligo legale di contrarre a condizioni predeterminate, ma deve limitarsi a condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno determinato equitativamente (nella specie è stato riconosciuto un importo pari a un'annualità di retribuzione come percepita da una collega assunta nell'ambito della medesima selezione). (Corte App. Milano 17/6/2009, Pres. Salmeri Est. Accardo, in D&L 2009, con nota di Alberto Guariso, "Ancora sulle conseguenze del comportamento discriminatorio: nodi irrisolti anche dopo il D.Lgs. 5/10", 972)
  • E' illegittima e costituisce comportamento discriminatorio, l'esclusione di tutti i candidati privi della cittadinanza italiana o comunitaria, dalle procedure di stabilizzazione del personale precario previste dall'art. 1, 565° comma, L. 27/12/06 n. 296. (Trib. Milano 30/5/2008, Est. Bianchini, in D&L 2008, 729)
  • Il requisito del possesso della cittadinanza italiana, necessario per accedere al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni dall'art. 2, d. P. R. n. 487/1994 - ora art. 70, comma 13, d. lgs. n. 165/2001 -, dal quale si prescinde, in parte, solo per gli stranieri comunitari, nonchè per casi particolari (art. 38, d.lgs. n. 165/2001; art. 22, d.lgs. n. 286/1998), si inserisce nel complesso delle disposizioni che regolano la materia particolare dell'impiego pubblico, materia fatta salva dal d.lgs. n. 286/1998 che, in attuazione della Convenzione OIL n. 175/1975, resa esecutiva con L. 158/1981, sancisce, in generale, parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti per i lavoratori extracomunitari rispetto ai lavoratori italiani; nè l'esclusione dello straniero non comunitario dall'accesso al lavoro pubblico (al di fuori delle eccezioni espressamente previste dalla legge) è sospettabile di illegittimità costituzionale, atteso che si esula dall'area di diritti fondamentali e che la scelta del legislatore è giustificata dalle stesse norme costituzionali (art. 51, 97 e 98 Cost.). (Cass. 13/11/2006 n. 24170, Pres. Mattone Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Maria Agostini, "Il cittadino straniero extracomunitario non può accedere all'impiego pubblico", 302)
  • È palesemente illegittimo in quanto discriminatorio l’accordo decentrato in cui le parti sociali ricomprendono tra le assenze che incidono negativamente sulla percezione degli incentivi retributivi spettanti ai singoli lavoratori anche quelle relative a gravidanze a rischio, astensione anticipata, astensione obbligatoria per adozione e malattia per gravidanza (Collegio Istruttorio Comitato Nazionale Pari Opportunità 18/11/97, est. Amato, in D&L 1998, 423, nota MONACO, Comitato nazionale delle pari opportunità, premi di produttività e principio di non discriminazione)