Contratto di somministrazione

  • Stampa

Contratto di somministrazione

 

Questione 1: Cos'è il contratto di somministrazione?

La somministrazione di lavoro è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 276/2003 ed è oggi disciplinata dagli articoli da 30 a 40 del decreto legislativo n. 81 del 2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015.

La somministrazione di lavoro, sostanzialmente, sovverte i principi che disciplinano i rapporti tra lavoratore e impresa che lo utilizza. In precedenza la L. 1369/60 vietava, come regola generale, che il lavoratore potesse intrattenere rapporti di lavoro con un soggetto diverso da quello che, organizzando il suo lavoro ed esercitando su di lui il potere direttivo, utilizzava la sua prestazione. Questa regola generale era stata successivamente limitata dalla L. 196/97, che aveva introdotto il lavoro interinale cui, peraltro, si poteva ricorrere solo a termine e solo in presenza di ben circoscritte ipotesi previste dalla contrattazione collettiva. Il D. Lgs. 276/03 ha abrogato le normative appena richiamate e ha completamente riscritto i principi che disciplinano la materia. Detta normativa ha previsto che un'impresa, denominata utilizzatrice, possa rivolgersi ad un'altra impresa, debitamente autorizzata, denominata di somministrazione, al fine di ottenere una certa fornitura di manodopera, a tempo determinato o indeterminato, e con essa concludere, per l'appunto, un contratto di somministrazione. Il lavoratore, utilizzato a seguito di questo contratto, svolge la sua attività lavorativa per l'utilizzatore, sotto la sua direzione e controllo, ma intrattiene un rapporto di lavoro solo nei confronti del somministratore, al quale rimane l'esercizio del potere disciplinare.

La somministrazione, quindi, non diversamente dal lavoro interinale, contempla uno schema "triangolare" nel rapporto di lavoro, che coinvolge il somministratore, l'utilizzatore e il lavoratore, e si caratterizza per la scissione tra la titolarità del rapporto di lavoro (che fa capo all’agenzia somministratrice) e l’effettiva utilizzazione del lavoratore che compete all’utilizzatore.

L’odierna definizione normativa di somministrazione è contenuta nell’art. 30 del d.lgs. 81/2015, ove si afferma che il contratto di somministrazione è “il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.

Come indicato all’art. 30, il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato; la somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing), in un primo momento abolita dalla Legge 247/2007, è stata successivamente reintrodotta dalla Legge 191/2009 (finanziaria 2010).

Originariamente, lo staff leasing era ammesso solo in relazione a una serie di attività specificatamente indicate dal legislatore – tra cui i servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, i servizi di pulizia, custodia, portineria, trasporto, la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, servizi di economato e così via (art. 20, comma 3, D.lgs. 276/2003)  –, con facoltà per la contrattazione collettiva di individuare altre ipotesi nelle quali ricorrere a questo tipo di somministrazione.

La riforma del 2015 ha eliminato l’elenco tassativo di causali legittimanti la somministrazione a tempo indeterminato, procedendo così a una piena liberalizzazione dello staff leasing.

Per quanto riguarda la somministrazione a tempo determinato, il d.lgs. 276/2003, nella sua prima formulazione, stabiliva che vi si potesse fare ricorso solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore.

Per effetto della legge 92/2012, la regola della necessaria sussistenza della ragione giustificatrice aveva subito una prima, importante deroga: la giustificazione del termine non veniva più richiesta nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi, concluso fra l’utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualsiasi mansione, nel caso di prima di prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato.
Il D.L. n. 34/2014, convertito con modificazioni in L. 78/2014 (c.d. Jobs Act),  ha liberalizzato l’apposizione di termini ai rapporti di lavoro subordinato di durata non superiore a 36 mesi, eliminando l’obbligo di indicare le ragioni giustificatrici del ricorso alla somministrazione a tempo determinato.
All’interno di tale contesto si è inserito il riordino della disciplina del contratto di somministrazione di lavoro effettuato con gli artt. 30-40 del d.lgs. n. 81/2015 che ha confermato l’abolizione delle causali per la somministrazione a tempo determinato.

Successivamente è intervenuto il “decreto dignità” (D.L. n. 87/2018) con una disposizione che ha apportato alla disciplina del contratto di somministrazione di lavoro significative modifiche.  In primo luogo è stata inserita la previsione di una percentuale legale di contingentamento per il contratto commerciale di somministrazione a tempo determinato: il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o in somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipulazione dei predetti contratti (con arrotondamento del decimale all'unità superiore, qualora esso sia eguale o superiore a 0,5) (v. art. 31, co. 2, d.lgs. n. 81/2015); è stata, inoltre, prevista l’estensione delle nuove regole per il contratto a termine al rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato tra l’Agenzia e il lavoratore (art. 34, co. 2, d.lgs. n. 81/2015) e la reintroduzione del reato di somministrazione fraudolenta, precedentemente abrogato dal Jobs Act (art. 38 bis d.lgs. n. 81/2015).
Come si è detto, l’utilizzatore che intenda ricorrere alla somministrazione a tempo determinato è  tenuto a rispettare i limiti quantitativi fissati dalla contrattazione collettiva e dall’articolo 31 co. 2 del  d.lgs. n. 81/2015, come modificato dal Decreto Dignità. Detti limiti non operano in caso di somministrazione di lavoratori collocati in mobilità, di soggetti disoccupati che godono, da almeno sei mesi, di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori “svantaggiati” o “molto svantaggiati” (art. 31, co. 2, d.lgs. 81/2015).

La legge contempla alcune specifiche ipotesi in cui è vietato ricorrere alla somministrazione. In particolare, il divieto opera (art. 32, d.lgs. 81/2015):

  • per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • nei confronti di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;
  • presso unità produttive in cui si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della Legge 23 luglio 1991 n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di somministrazione, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi (la riforma del 2015 ha eliminato la possibilità di derogare a tale divieto tramite accordi sindacali);
  • presso unità produttive nelle quali sono in corso sospensioni di rapporti o riduzione dell'orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale (Cassa integrazione guadagni) che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (anche con riferimento a tale divieto, la riforma del 2015 ha eliminato la regola della derogabilità tramite accordi sindacali).

Il contratto di somministrazione deve essere stipulato in forma scritta e contenere, a pena di nullità, una serie di indicazioni (tra l'altro, gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore, il numero dei lavoratori da somministrare, l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata prevista dal contratto di somministrazione, il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori). In mancanza di forma scritta, il lavoratore dovrà necessariamente venir considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. Inoltre, il somministratore deve comunicare per iscritto al lavoratore, all'atto della stipulazione del contratto di lavoro, ovvero all'atto dell'invio in missione presso l'utilizzatore, tutte le informazioni relative al rapporto di cui egli è oggetto e che sono state sopra menzionate.

Il lavoratore somministrato ha diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Inoltre, è prevista la responsabilità solidale dell'utilizzatore con il somministratore per la corresponsione dei trattamenti retributivi e previdenziali (art. 35, co. 2, d.lgs. 81/2015). Il lavoratore ha diritto altresì a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla medesima unità produttiva, ma non viene computato nell'organico dell'utilizzatore (fatta eccezione per l'applicazione delle norme in materia d'igiene e sicurezza sul lavoro).

Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore a quelle indicate nel contratto, l'utilizzatore è tenuto a darne immediata comunicazione scritta al somministratore, consegnando copia della comunicazione al lavoratore medesimo. Ove non adempia l'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante dall'assegnazione a mansioni inferiori (art. 35, co. 4).

 

Questione 2: Qual è l’attuale disciplina del contratto di somministrazione?
In caso di assunzione con contratto di somministrazione a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. L’art. 34 co. 1 del d.lgs. 81/2015 stabilisce in particolare che il contratto di lavoro deve determinare l'indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore all'importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
Per quanto concerne i rapporti a tempo determinato, invece, in seguito alle modificazioni previste dal cd. decreto dignità, l’art. 34 co. 2 del d.lgs. 81/2015 fa rinvio alla disciplina generale dei contratti a termine (ora contenuta negli articoli da 19 a 29 del d.lgs. 81/2015) escludendo solo l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24 (concernenti l’intervallo minimo tra un contratto e l’altro, il numero complessivo di contratti a tempo determinato e il diritto di precedenza).
Ai rapporti tra somministrato e agenzia si applica quindi anche l’art. 19, contenete la disciplina riguardante le causali. Al riguardo, il legislatore ha sottolineato come tali causali, in caso di ricorso al contratto di somministrazione di lavoro, devono essere applicate esclusivamente all’utilizzatore.
Questa disposizione suscita molti dubbi interpretativi, poiché non è chiaro se l’obbligo di giustificazione debba essere riferito al contratto di somministrazione -ovvero al contratto tra agenzia e utilizzatore-, oppure al contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore.
L’interpretazione maggioritaria  avvalora la seconda ipotesi, prevedendo che la causale si applichi esclusivamente al contratto a termine del somministrato, ma debba far riferimento alle ragioni organizzative della somministrazione, relative dunque alla sfera dell’utilizzatore.
Premesso quanto detto,  il contratto tra somministratore e lavoratore può avere una durata massima di 24 mesi; entro tale limite occorre distinguere due ipotesi: se al contratto viene apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi, non è necessaria l’indicazione di alcuna causale che giustifichi la previsione di tale termine; in caso contrario, devono obbligatoriamente essere indicati anche i motivi giustificativi.
In particolare, questi motivi possono ricondursi  a:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.
    Nel caso in cui venga concluso un contratto di durata superiore a un anno in assenza di queste condizioni, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dal superamento del termine di dodici mesi.
    Nel calcolo della durata massima di 24 mesi, devono essere tenuti in considerazione anche i contratti intercorsi tra le stesse parti, comprensivi di proroghe e rinnovi, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione. Pertanto, il contratto si considera a tempo indeterminato anche nel caso in cui il termine di 24 mesi venga superato a causa di una successione di contratti.
    Un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, può essere stipulato presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto di questa procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.

La nuova regolamentazione prevede che al contratto tra agenzia e lavoratore si applichi la disciplina del contratto a tempo determinato anche in materia di proroghe e rinnovi.
Per quanto riguarda le proroghe, il contratto di somministrazione a tempo determinato può essere prorogato solo con il consenso del lavoratore, per un massimo di quattro volte, entro il limite di 24 mesi. Inoltre, la proroga può essere pattuita liberamente solo durante i primi 12 mesi, mentre successivamente devono essere obbligatoriamente indicate le causali giustificative di cui si è detto.
Se viene prorogato più di quattro volte, il contratto si considera a tempo indeterminato a partire dalla quinta proroga; la stessa sanzione si applica nel caso in cui, decorsi dodici mesi, il contratto venga prorogato senza indicare la causale giustificativa (in questa ipotesi è irrilevante il numero della proroga).
Nell’ambito della riforma, il legislatore non ha modificato la previsione previgente secondo cui il contratto può essere prorogato nelle ipotesi e per la durata previste dal contratto collettivo applicato dal somministratore, purché la proroga risulti da atto scritto. Tuttavia, l’eventuale proroga autorizzata dalle disposizioni della contrattazione collettiva deve comunque essere attuata nei limiti della nuova disciplina legale.
Infatti, la nuova disciplina delle proroghe dovrà essere considerata come una normativa imperativa e, quindi, inderogabile in senso sfavorevole ai lavoratori da parte della contrattazione collettiva.
Per quanto attiene invece alla regolamentazione dei rinnovi, il legislatore richiede che, dopo i primi dodici mesi, vengano stipulati solo in presenza delle medesime causali giustificative di cui si è detto. In questo caso, l’assenza dell’indicazione è sanzionata con la trasformazione del contratto in un contratto a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda il contratto di somministrazione, si precisa che deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere i seguenti elementi (art. 34, d.lgs. 81/2015):

  • estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;
  • il numero dei lavoratori da somministrare;
  • l'indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;
  • la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
  • le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l'inquadramento dei medesimi;
  • il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

Non va dimenticato, infine, che il somministratore di mano d’opera deve possedere determinati requisiti, previsti dalla c.d. Legge Biagi.

Al riguardo, dispongono gli artt. 4 e ss. del D. Lgs. 276/03. Più precisamente, è innanzi tutto previsto che chi intenda somministrare mano d’opera debba ottenere l’iscrizione a un apposito albo delle agenzie per il lavoro, tenuto presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali. A tal fine, l’agenzia di somministrazione deve rispondere a numerosi requisiti, indicati in particolare dall’art. 5 D. Lgs. 276/03, finalizzati a garantire la serietà professionale e la solidità patrimoniale dell’agenzia stessa. Infatti, si prevede per esempio che l’agenzia deve essere costituita in forma di società di capitali (o di cooperativa) e deve avere la sede legale in Italia o in uno Stato membro della UE. Inoltre, è richiesta l’assenza di condanne penali in capo agli amministratori, ai direttori generali e ai dirigenti muniti di rappresentanza. Per garantire invece la solidità patrimoniale, è prevista una soglia minima di capitale sociale versato nonché, per i primi due anni di attività, la disposizione di un deposito cauzionale di un certo ammontare minimo a garanzia dei crediti retributivi dei lavoratori e contributivi degli enti previdenziali.

 

Questione 3: In quali casi è vietato il contratto di somministrazione?

Il contratto di somministrazione, sia esso a tempo determinato o indeterminato, è vietato nei seguenti casi (art. 32, d.lgs. 81/2015):

  • per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;
  • presso unità produttive in cui si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della Legge 23 luglio 1991 n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di somministrazione, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi (la riforma del 2015 ha eliminato la possibilità di derogare a tale divieto tramite accordi sindacali);
  • presso unità produttive nelle quali siano in corso sospensioni di rapporti o riduzione dell'orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale (Cassa integrazione guadagni) che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (anche con riferimento a tale divieto, la riforma del 2015 ha eliminato la regola della derogabilità tramite accordi sindacali).

 

L’art. 40 d.lgs. 81/2015 dispone  inoltre che sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250 la violazione degli obblighi e dei divieti previsti:

  • agli articoli 33, comma 1 (norma che identifica forma e contenuto minimo del contratto di somministrazione);
  • per il solo utilizzatore, agli articoli 31 (limiti quantitativi al ricorso alla somministrazione) e 32 (ipotesi in cui la somministrazione è vietata)
  • per il solo somministratore, all'articolo 33, comma 3 (in tema di informazione al lavoratore);
  • dall'articolo 35, comma 1 (parità di trattamento),
  • per il solo utilizzatore, all'articolo 35, comma 3, secondo periodo (fruizione dei servizi sociali e assistenziali da parte del lavoratore somministrato), e 36, comma 3 (oneri di comunicazioni ai sindacati).

Infine,  il “decreto dignità” (D.L. n. 87/2018) ha reintrodotto la  fattispecie di somministrazione fraudolenta, ossia la somministrazione posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore (art. 38-bis d.lgs. 81/2015).

 

Questione 4: È valido un contratto di somministrazione stipulato oralmente?

Il contratto di somministrazione deve necessariamente essere stipulato per iscritto (art. 33, d.lgs. 81/2015). In mancanza di forma scritta, il contratto è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore (art. 38, co. 1, d.lgs. 81/2015).

Il contratto deve contenere i seguenti elementi:

  1. gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;
  2. il numero dei lavoratori da somministrare;
  3. l'indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;
  4. la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
  5. le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l'inquadramento dei medesimi;
  6. il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

In mancanza di uno degli elementi sopra indicati con le lettere a), b), c), e d), il lavoratore può chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore, con effetto dall'inizio della somministrazione (art. 38, co. 2, d.lgs. 81/2015).

L’art. 35 c. 2 D.Lgs. 81/15 contempla la responsabilità solidale di somministratore e utilizzatore per il trattamento retributivo e previdenziale dei lavoratori.

Inoltre, la legge stabilisce che “con il contratto di somministrazione di lavoro l'utilizzatore assume l'obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori” (art. 34, co. 2, d.lgs. 81/2015).

 

Questione 5: Cosa succede se l'utilizzatore adibisce il lavoratore a mansioni diverse da quelle dell'assunzione?

L'art. 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto. Pertanto, nel caso di impiego in mansioni superiori, il lavoratore matura fin da subito il diritto alla maggior retribuzione; in caso di utilizzazione in mansioni inferiori (dequalificazione), il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno professionale e a essere assegnato a mansioni coerenti con la sua professionalità e con il suo livello di inquadramento. I principi generali enunciati si applicano anche nel contratto di somministrazione.

In particolare, ai sensi dell’art. 35, co. 5, d.lgs. 81/2015, l’utilizzatore che adibisca il lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore a quelle indicate nel contratto è tenuto a darne immediata comunicazione scritta al somministratore, consegnando copia della comunicazione al lavoratore medesimo. Ove non adempia l'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante dall'assegnazione a mansioni inferiori. Nell'ipotesi in cui l'utilizzatore adempia l'obbligo di comunicazione, spetta al somministratore corrispondere l'aumento retributivo dovuto a seguito dell'adibizione a mansioni superiori. Naturalmente, in questo caso è applicabile la regola generale sancita dall'art. 35, co. 2, d.lgs. 81/2015, secondo cui l'utilizzatore è comunque solidalmente responsabile per il pagamento della retribuzione.

Si deve ritenere che la stessa regola valga anche per l'eventuale risarcimento del danno dovuto a seguito dell'adibizione a mansioni inferiori: infatti, alla responsabilità dell'utilizzatore (che ha materialmente disposto la dequalificazione) si aggiunge la responsabilità del somministratore che, pur essendo a conoscenza della dequalificazione, non ha fatto nulla per impedirla.

Questione 6: Qual è il trattamento retributivo e contributivo del lavoratore dipendente del somministratore?

Secondo l'art. 35 del d.lgs. 81/2015, i dipendenti del somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore rispetto ai dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

Naturalmente, il trattamento economico spetta al lavoratore somministrato per il tempo effettivo di lavoro. Tuttavia, può accadere che il dipendente di una società di somministrazione rimanga temporaneamente inoccupato, in attesa di essere assegnato a un contratto di somministrazione. In questo caso, il lavoratore ha diritto alla indennità di disponibilità, nella misura stabilita dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non inferiore alla misura prevista mediante decreto del ministro del lavoro. In ogni caso, questa indennità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo (art. 34, d.lgs. 81/2015).

Inoltre, i dipendenti del somministratore hanno il diritto di usufruire di tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva, tranne quelli il cui godimento è condizionato al conseguimento di una determinata anzianità di servizio o alla iscrizione ad associazioni o a società cooperative. Anche gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali per i dipendenti del somministratore sono a carico del somministratore stesso, così come previsto dall'art. 37 del d.lgs. 81/2015. I contributi sono dovuti anche sull'indennità di disponibilità, naturalmente in proporzione all'indennità stessa.

L'utilizzatore è in ogni caso obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali. Ciò significa in particolare che se la retribuzione non viene corrisposta dal somministratore, il lavoratore può pretendere il pagamento nei confronti dell'utilizzatore.

 

Questione 7: Quali sono i diritti sindacali dei lavoratori somministrati?

Ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. 81/2015, ai dipendenti delle società di somministrazione si applicano tutti i diritti sindacali previsti dallo Statuto dei Lavoratori. Pertanto, nei confronti del somministratore i lavoratori in questione possono esercitare per esempio il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali o unitarie, di riunirsi in assemblea, di fruire di permessi, di fruire - in qualità di dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale o unitaria - di permessi sindacali retribuiti e non. Naturalmente, per espressa previsione dell'art. 35 S.L., la concreta fruizione di questi diritti presuppone che il somministratore, presso gli uffici cui compete l'organizzazione dei lavoratori somministrati, occupi più di 15 dipendenti.

Il lavoratore somministrato vanta alcuni diritti sindacali anche nei confronti dell'utilizzatore. Infatti, nei confronti di quest'ultimo egli può esercitare - per tutta la durata del contratto - i diritti di libertà e di attività sindacale, nonché di partecipare alle assemblee del personale dipendente dell'impresa utilizzatrice (art. 36, co. 2, d.lgs. 81/2015).

La legge stabilisce, infine, che l’utilizzatore, ogni dodici mesi, comunichi alla RSA ovvero alla RSU o, in mancanza, agli organismi territoriali di categoria delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il numero dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati (art. 36, co. 3, d.lgs. 81/2015; la nuova normativa non contempla più, invece, l’obbligo di indicare ai sindacati il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione prima della stipula del contratto).

 

Questione 8: Cosa può fare un lavoratore in caso di somministrazione irregolare?

La legge stabilisce anzitutto che, in mancanza di forma scritta, il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 38, co. 1, d.lgs. 81/2015).

E’ poi contemplata una serie di irregolarità in presenza delle quali il lavoratore può richiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dalla data di inizio della somministrazione. Nello specifico, tale facoltà scatta in caso di:

  • violazione dei limiti numerici al ricorso al lavoro somministrato;
  • assunzione di lavoratori somministrati in violazione dei divieti indicati dall’art. 32 d.lgs. 81/2015;
  • assenza, nel contratto di lavoro, dell’indicazione (i) degli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore, (ii) del numero dei lavoratori da somministrare, (iii) degli eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e misure di prevenzione adottate, (iv) della data di inizio e della durata prevista della somministrazione.

In caso di costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione (art. 38, co. 3, d.lgs. 81/2015).

 

Considerato che a seguito delle modificazioni previste dal cd. decreto dignità, l’art. 34 co. 2 del d.lgs. 81/2015 fa rinvio alla disciplina generale dei contratti a termine,  per chiedere la costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore il lavoratore deve seguire la procedura di cui all’articolo 28 del d.lgs. 81/2015, che prevede quanto segue:

  • il lavoratore ha 180 giorni per impugnare la somministrazione irregolare (l’art. 28 del d.lgs. 81/2015 precisa che detto termine decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore);
  • impugnata per tempo la somministrazione, il lavoratore ha 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale oppure comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato;

Nel caso in cui il giudice accolga la domanda del lavoratore, il datore di lavoro è condannato a corrispondere al lavoratore un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale indennità copre interamente il pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro.

 

Questione 9: Nel caso di accertata illegittimità del contratto di somministrazione a termine, il lavoratore può chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all'utilizzatore?

La legge contempla la possibilità di stipulare un contratto di somministrazione a termine. Può pertanto accadere che, per l'esecuzione di tale contratto, il somministratore utilizzi propri dipendenti appositamente assunti a tempo determinato, da inviare all'utilizzatore per la durata del contratto di somministrazione.

Tuttavia, il rispetto delle condizioni di legittimità e della forma del contratto di somministrazione a termine è essenziale per la validità del contratto: a tale riguardo, l’art. 38, co. 2, d.lgs. 81/2015 dispone espressamente che nel caso in cui vengano violati i limiti numerici al ricorso al lavoro somministrato, non vengano rispettati i divieti indicati dall’art. 32 d.lgs. 81/2015 o i requisiti formali di cui all’articolo 33 comma 1 lettere a), b) del predetto decreto legislativo, il lavoratore somministrato può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dall'inizio della somministrazione.

Pacifico dunque che, in un caso come questo, il lavoratore debba essere considerato dipendente dell'utilizzatore, si deve ancora verificare se il rapporto di lavoro in questione debba essere considerato a termine o a tempo indeterminato. Infatti, considerando che quel lavoratore era stato assunto a termine, si potrebbe concludere che la costituzione del rapporto in capo all'utilizzatore debba avvenire nel rispetto del termine originariamente previsto e inserito nel contratto di lavoro.

Una simile conclusione sarebbe però errata. A tale riguardo, il Tribunale di Monza, con sentenza in data 22/11/05, ha correttamente ritenuto che il rapporto di lavoro deve proseguire con l'utilizzatore a tempo indeterminato. Infatti, è principio comune nel nostro ordinamento giuridico che la clausola contrattuale nulla per violazione di una norma imperativa di legge viene automaticamente sostituita dalla norma di legge violata (art. 1419 c. 2 c.c.). Ebbene, applicando questo principio al caso in esame, ne consegue che il rapporto deve proseguire a tempo indeterminato: infatti, venuto meno il contratto di somministrazione a termine che legittimava la presenza di quel lavoratore presso l'utilizzatore, resta un ordinario rapporto di lavoro tra questi due soggetti che, come tale, non può che proseguire a tempo indeterminato.