Contratto a progetto

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Questione 1: Cos'è il contratto a progetto?

La disciplina del contratto a progetto è stata introdotta dal D. Lgs. 276/03, che ha poi subito varie modifiche, tra cui quella della legge 92/2012 e quella del DL 76/13, convertito in L. 99/13, ed è stata infine interamente abrogata nell’ambito della recente riforma del lavoro, nota come Jobs Act.

Il d.lgs. 81/2015, in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in materia di mansioni, attuativo della legge delega n. 183/2014 (c.d. Jobs Act), ha infatti disposto l’abrogazione di tutte le norme che disciplinano il contratto di lavoro a progetto, che continueranno ad applicarsi esclusivamente ai contratti a progetto già in atto alla data di entrata in vigore della riforma (25 giugno 2015).

Fintantoché è stata contemplata dal nostro ordinamento, questa tipologia di rapporto ha riguardato una moltitudine di lavoratori, solitamente inseriti di fatto nell'organizzazione aziendale ma formalmente non riconosciuti come subordinati e, quindi, privi delle garanzie tipiche di questo tipo di rapporto di lavoro. A seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 276/2003, invece, la legge ha previsto che i lavoratori autonomi non si chiamassero più collaboratori coordinati e continuativi, ma lavoratori a progetto: infatti, ciò che essenzialmente caratterizza questo tipo di rapporto è uno specifico progetto (o, per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della riforma del 2012, anche un programma di lavoro una fase di esso) assegnato al collaboratore con il compito di realizzarlo.

Il rapporto è gestito autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività. Il programma non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentanti sul piano nazionale. Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate secondo la disciplina previgente, se non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono la loro efficacia fino alla scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dall'entrata in vigore del D. Lgs. 276/03.

Quanto si è detto non trova applicazione nei confronti delle prestazioni occasionali, anch’esse abrogate dal decreto legislativo n. 81/2015, ossia quei rapporti di lavoro con una durata complessiva non superiore a 30 giorni nell'anno solare con lo stesso committente, e il cui compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare non può superare i 5.000,00 euro, pena la automatica riconduzione del rapporto al lavoro a progetto.
Inoltre, l'istituto di cui si parla non trova applicazione nei confronti delle professioni intellettuali per le quali sia necessaria l'iscrizione all'albo.

Il contratto deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere: l'indicazione della durata (determinata o determinabile) della prestazione, la descrizione del progetto (o anche , per i contratti stipulati prima del 18/07/2012, del programma di lavoro) con indicazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato che si intende conseguire, il corrispettivo e i criteri della sua individuazione (tempi e modalità di pagamento), le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione della prestazione lavorativa, nonché eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore.

I contratti di lavoro a progetto si risolvono al momento della realizzazione del progetto (o del programma o della fase di esso, per quelli che ancora lo prevedono) che ne costituisce l'oggetto. Alle parti è in ogni caso riconosciuta la facoltà di recedere prima del termine per giusta causa.

La legge 92/2012 ha inoltre previsto che:

  1. il committente può recedere quando emergono oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto;
  2. il collaboratore può recedere, dandone preavviso, quando tale facoltà è prevista dal contratto individuale di lavoro.

Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito. La legge 92/2012 ha modificato anche questo aspetto della normativa: mentre, infatti, in precedenza, il compenso doveva tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto, dal 18/07/2012 in poi, esso non può essere inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva in modo specifico per ciascun settore di attività e, in ogni caso, sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. In assenza di specifica contrattazione collettiva, il compenso del lavoratore a progetto non può essere inferiore alle retribuzioni applicate a figure professionali affini.

Nel caso di invenzione realizzata nello svolgimento del rapporto lavorativo, il lavoratore a progetto ha il diritto di essere riconosciuto autore (con rinvio alle leggi speciali in materia per la regolamentazione dei diritti e degli obblighi delle parti).

In caso di gravidanza, di malattia e di infortunio del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, negli altri due casi, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile.

Il collaboratore a progetto, salvo diverso accordo tra le parti, può svolgere la sua attività a favore di più committenti, non in concorrenza tra loro. Inoltre, il collaboratore non può diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione, nonché compiere atti in pregiudizio dell’attività dei committenti medesimi.

 

Questione 2: Qual è la sanzione nel caso in cui il progetto non ci sia o non sia sufficientemente specifico?

Ciò che caratterizza il lavoro a progetto è la sua riconducibilità ad uno specifico progetto. L’art. 69, 1° comma, del D.Lgs. 276/2003 prevede che, sia in caso di assenza del progetto sia in caso di formulazione generica del medesimo, il rapporto deve essere convertito in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di stipulazione del contratto.

Tale conclusione è confermata dalla legge 92/2012, che ha stabilito espressamente che la norma in esame si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina appunto la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

 

Questione 3: Cosa si può fare se il contratto a progetto, nei fatti, maschera un rapporto di lavoro subordinato?

Ogni volta che le concrete modalità di svolgimento di un rapporto formalmente a progetto sono riconducibili al lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto, nel corso o all’esito del rapporto di lavoro, di richiedere l’accertamento giudiziale dell’effettiva natura del rapporto stesso. A fronte di una simile richiesta, il Giudice del Lavoro, non essendo vincolato dal contenuto letterale dell’accordo, può esaminare quali siano state, in concreto, le modalità di svolgimento del rapporto lavorativo e se, nel caso di specie, sussistano gli indici della subordinazione elaborati dalla giurisprudenza (inserimento organico nella struttura imprenditoriale, assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, obbligo di rispettare un orario di lavoro, obbligo di concordare permessi e ferie, ecc.).

Nel caso in cui il Giudice accerti che il rapporto, sebbene qualificato come autonomo, ha in realtà natura subordinata, lo dichiarerà tale. Il lavoratore potrà quindi rivendicare tutti i diritti conseguenti, di natura sia retributiva che contributiva.

 

Questione 4: Cosa succede se il contratto a progetto viene interrotto prima della scadenza?

L’art. 67 D.Lgs. 276/2003 prevede che il contratto a progetto si risolve automaticamente al momento della realizzazione del progetto (o, per i contratti stipulati prima del 18/07/2012, del programma o della fase di esso) che ne costituisce l’oggetto.

Per vero, la riforma del 2012 stabilisce che le parti possano recedere in via anticipata dal contratto qualora sussista una giusta causa. La stessa legge 92/2012 precisa altresì che:

  1. il committente possa recedere quando siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore, tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto;
  2. il collaboratore possa recedere, dandone preavviso, quando tale facoltà sia prevista dal contratto individuale di lavoro.

Nel caso in cui il contratto a progetto venga interrotto da una delle parti prima della scadenza, senza giusta causa ed al di fuori delle ipotesi previste nel contratto individuale, la parte che ha subito il recesso avrà diritto ad un risarcimento del danno da quantificarsi o nella misura del preavviso o, in mancanza di questo, in un importo pari al residuo del compenso globale pattuito.

 

Questione 5: Ci può essere il patto di prova nel contratto a progetto?

La risposta è sicuramente negativa. Il patto di prova, ex art. 2096 c.c., è infatti un istituto tipico del rapporto di lavoro subordinato e, come tale, non può essere applicato ad un rapporto di lavoro di natura autonoma. Il patto di prova inserito in un contratto a progetto dovrà, pertanto, essere considerato come non apposto.

 

Questione 6: Come devono essere le istruzioni e le direttive del committente?

Il rapporto di lavoro a progetto implica una prestazione che, in quanto coordinata e continuativa, è integrata nell’attività e nell’organizzazione del committente. Il committente può pertanto esercitare un potere di intervento e di coordinazione dell’attività prestata dal collaboratore. Tuttavia, tale potere del datore di lavoro non può in ogni caso essere tale da pregiudicare l’autonomia nell’esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore: saranno quindi legittime verifiche periodiche sull’andamento del lavoro, ma non controlli e direttive più stringenti, che farebbero invece propendere per la natura subordinata del rapporto.

 

Questione 7: È legittimo un contratto a progetto stipulato a voce?

Ai sensi dell’art. 62, 1° comma, D.Lgs. 276/2003, il contratto a progetto deve essere stipulato in forma scritta. La mancanza della forma scritta, che si risolve nella mancanza di un progetto, determina pertanto la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato.

 

Questione 8: Cosa succede se ci si ammala nel corso del rapporto a progetto? E in caso di maternità?

In caso di gravidanza e di malattia del collaboratore, il rapporto di lavoro risulta sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Solo nel primo caso la durata del rapporto è prorogata (per un periodo di 180 giorni), mentre, nel secondo caso, non solo il contratto non è prorogabile, ma il committente può comunque recedervi se la sospensione si protrae per più di un sesto della durata stabilita dal contratto, quando essa sia determinata, oppure superiore a trenta giorni per i contratti a durata determinabile.

 

Questione 9: Quali sono le differenze tre il lavoro a progetto ed il lavoro occasionale?

Il lavoro a progetto è un contratto di collaborazione coordinata e continuativa riconducibile alla realizzazione di uno o più progetti specifici, o programmi di lavoro o fasi di esso (D. Lgs. 276/03, artt. 61 e ss.). Le caratteristiche di questo contratto sono:

  1. autonomia gestionale del collaboratore, esente da vincoli di subordinazione nei confronti del committente;
  2. libertà nella scelta dei mezzi e nell'organizzazione della propria attività;
  3. coordinamento con la struttura del committente, funzionale al raggiungimento del risultato;
  4. irrilevanza del tempo impiegato nella realizzazione della propria attività: il collaboratore deve cioè essere autonomo anche nella scelta dei propri orari di lavoro.

L'individuazione da parte del committente di uno o più progetti specifici (o, per i contratti stipulati dopo il 18/07/2012, programmi di lavoro o fasi di esso) e del relativo risultato da raggiungere è essenziale: se nel contratto manca questo riferimento, lo stesso viene considerato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione dell'accordo.

Invece, per lavoro occasionale si intende un rapporto di lavoro di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare (ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore) con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, non sia superiore ad € 5.000,00 (D.Lgs. 276/03, art. 61). Per casi come questi, lo stesso art. 61 dispone espressamente la non applicabilità delle norme in tema di lavoro a progetto. Conseguentemente, i caratteri differenziali del lavoro autonomo occasionale rispetto alla collaborazione a progetto vanno individuati tendenzialmente nell'assenza del coordinamento con l'attività del committente, nella mancanza dell'inserimento nell'organizzazione aziendale, nel carattere episodico dell'attività, nella completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione.

 

Questione 10: In quali casi non si applica la normativa relativa al lavoro a progetto?

Il lavoro a progetto è una forma di contratto di lavoro rientrante nell'ambito del lavoro autonomo (ovvero non subordinato); esso è applicabile in tutti i casi in cui vi sia da parte del datore di lavoro la volontà di reclutare personale da adibire ad attività di collaborazione continuata e continuativa, e da parte del collaboratore/collaboratrice la volontà di prestare la propria attività con modalità di lavoro non subordinato. Per rientrare in tale tipo di contratto, le collaborazioni coordinate e continuative devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici (art. 61 c. 1 D. Lgs. 276/03).

Tuttavia, la disciplina del lavoro a progetto non si applica ad alcune categorie di collaboratori/collaboratrici indicati dall'art. 61 D. Lgs. 276/03. Più precisamente, si tratta dei casi seguenti:

a) agenti e rappresentanti di commercio, che continuano ad essere regolati dalle discipline speciali;

b) professioni intellettuali, per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali (il caso tipico è quello del lavoro giornalistico). La riforma del 2012, con una norma di interpretazione autentica, ha precisato che tale disposizione riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per le quali l’iscrizione all’albo è necessaria, mentre, in caso contrario, l’iscrizione all’albo non è circostanza idonea a determinare la non applicazione della normativa sulla collaborazione a progetto;

c) collaborazioni rese nei confronti delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;

d) componenti di organo di amministrazione e controllo di società;

e) partecipanti di collegi e commissioni (inclusi gli organismi di natura tecnica);

f) titolari di pensione di vecchiaia.

Risultano altresì escluse dall'applicabilità del contratto a progetto le cd. "prestazioni occasionali", ossia i rapporti occasionali e di lavoro autonomo aventi durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare (sempre con lo stesso committente) sia superiore a 5 mila Euro.

 

Questione 11: Il titolare di partita IVA può essere considerato lavoratore a progetto?

La legge 92/2012 aveva introdotto una nuova norma (art. 69 bis d. lgs. 276/2003), finalizzata a contrastare l’abuso della collaborazione prestata dai liberi professionisti titolari di partita IVA da parte dei datori di lavoro, che spesso la utilizzano per evitare l’applicazione della disciplina relativa al lavoro subordinato o quella del contratto a progetto.

Il legislatore della riforma del 2012 aveva previsto, in particolare, che le prestazioni fornite da persona titolare di partita IVA dovessero considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in presenza di almeno due dei seguenti presupposti:

  1. che la collaborazione con il medesimo committente avesse una durata complessivamente superiore ad otto mesi per due anni consecutivi;
  2. che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione degli interessi, costituisse più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
  3. che il collaboratore disponesse di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.

In altri termini, era stata introdotta una presunzione a favore del titolare di partita IVA, che, al ricorrere di almeno due delle condizioni indicate, poteva chiedere l’applicazione della normativa relativa alla collaborazione a progetto e, ove il contratto stipulato non avesse rispettato i parametri richiesti da tale normativa, poteva chiedere l’accertamento in via presuntiva della natura subordinata del rapporto di lavoro.

Detta presunzione non operava quando:

  • la prestazione di lavoro era connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico - pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;

  • la prestazione era svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore ad 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’art. 1 comma 3 l. 223/1991;

  • la prestazione era svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale o appositi registri, albi, ruoli o elenchi.

Il d.lgs. n. 81/2015, nell’abrogare l’intera disciplina del contratto di lavoro a progetto, ha disposto l’abrogazione anche della suddetta presunzione a tutela delle partite IVA, prevista dall’art. 69 bis del d.lgs. 276/03.

 

Questione 12: Cosa può fare il collaboratore a progetto qualora ritenga incongruo il suo corrispettivo?

La misura del compenso costituisce un elemento essenziale del contratto a progetto, tanto che l'art. 62 D. Lgs. 276/03 prevede che lo stesso debba essere specificamente indicato per iscritto. In ordine alla quantificazione del compenso, le parti non sono del tutto libere. Infatti, l'art. 63 D. Lgs. 276/03 dispone che il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Per questo motivo, il collaboratore che ritenesse inadeguato il compenso pattuito, può sempre ricorrere all'autorità giudiziaria per ottenere la condanna del suo committente a corrispondergli un corrispettivo adeguato.

In questa prospettiva, il collaboratore può far riferimento alla natura e alla durata del progetto, prendendo come parametro - come afferma la stessa norma legislativa - le remunerazioni dei compensi corrisposti per analoghe prestazioni autonome. Inoltre, si può ritenere che il collaboratore possa prendere come parametro anche le retribuzioni previste dal contratto collettivo eventualmente applicabile al suo committente e che facciano riferimento a personale che svolga mansioni analoghe. Infatti, si deve ritenere che la remunerazione di un collaboratore a progetto non possa essere, almeno di regola, inferiore a quanto percepito da un lavoratore subordinato che svolga mansioni analoghe.

La legge 92/2012 ha modificato anche questo aspetto della normativa, prevedendo che il compenso non non può essere inferiore ai minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva in modo specifico per ciascun settore di attività e, in ogni caso, sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. In assenza di specifica contrattazione collettiva, il compenso del lavoratore a progetto non può essere inferiore alle retribuzioni applicate a figure professionali affini.

 

Questione 13: Il collaboratore a progetto soggiace all'obbligo di fedeltà?

In generale, l'art. 2105 c.c. prevede, in capo al solo lavoratore subordinato, il cosiddetto "obbligo di fedeltà", che in particolare comporta l'obbligo di non svolgere attività in concorrenza con il proprio datore di lavoro, nonché l'obbligo di mantenere riservate tutte le notizie e la documentazione di cui si sia venuti in possesso nello svolgimento dell'attività lavorativa.

Da questo punto di vista, il lavoratore a progetto è sostanzialmente equiparato al lavoratore subordinato. Infatti, l'art. 64 D.Lgs. 276/03 prevede che, salvo diverso accordo tra le parti, il collaboratore a progetto possa svolgere la propria attività per diversi committenti, ed anche in proprio, purché non in concorrenza con i committenti medesimi; inoltre, la norma citata prevede il divieto di diffondere notizie o apprezzamenti attinenti ai programmi o alla organizzazione di essi, e comunque di compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio delle attività del committente.

 

Questione 14: È sufficientemente dettagliato un progetto che faccia esclusivamente riferimento al tipo di attività da compiere?

L'attività di collaborazione coordinata e continuativa prestata dal lavoratore a progetto deve essere riconducibile a uno o più progetti. La legge tuttavia prevede che debba trattarsi di progetti specifici (art. 61, comma 1, D.Lgs. 276/2003), individuati nel loro "contenuto caratterizzante" (art. 62, comma 1 lett. b, D.Lgs. 276/2003).

Un contratto a progetto che faccia semplicemente riferimento al tipo di attività da compiere, e dunque una formulazione generica del progetto (ad es. inserimento dati), non è pertanto conforme al modello legale; il lavoratore avrà quindi la possibilità di chiedere al Giudice del Lavoro la conversione del rapporto in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Infatti, una simile definizione, lungi dal rappresentare il progetto, si limita a descrivere la mansione attribuita al lavoratore, del tutto slegata dall'obiettivo che si intende raggiungere e dalle attività preparatorie e funzionali a quell'obiettivo. In buona sostanza, indicare le mansioni senza riferirle a un obiettivo significa consentire al datore di lavoro di utilizzare la prestazione lavorativa per soddisfare proprie esigenze variabili, mutevoli e indeterminate, il che contrasta con la riconducibilità dell'attività lavorativa a un progetto specifico e individuato.

Piuttosto, il contratto (da stipularsi per iscritto) dovrà contenere la descrizione del progetto, in modo tale che emerga il suo contenuto caratterizzante, nonché il risultato finale che si intende conseguire.

A tale proposito, la L. 92/12 ha precisato che il progetto non può consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa e ha vietato la stipula di contratti a progetto per lo svolgimento di compiti “meramente esecutivi e ripetitivi” (che possono essere individuati dalla contrattazione collettiva).

 

Questione 15: Che differenza c'è fra il lavoro a progetto ed il lavoro occasionale di tipo accessorio?

Il contratto a progetto è legato all'esistenza, appunto, di uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente.

Invece, per lavoro occasionale di tipo accessorio si intendono tutte quelle attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000,00 € nel corso dell’anno solare (con il d.lgs. 81/2015 il limite è stato innalzato a 7.000,00 €). Inoltre, se le prestazioni sono rese nei confronti di imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di tipo accessorio possono essere rese a favore di ciascuno dei committenti per compensi non superiori a € 2.000,00. Entrambi i massimali indicati sono annualmente rivalutati sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati.

Chi intende utilizzare il lavoro occasionale di tipo accessorio deve acquistare presso rivendite autorizzate uno o più carnet di buoni, con cui retribuire il lavoratore. Quest'ultimo, in seguito, si deve recare presso l'ente o la società concessionaria per convertire i buoni in denaro.

 

Questione 16: Quali conseguenze si verificano se al lavoratore a progetto vengono assegnate mansioni estranee al progetto stesso?

L'art. 69 comma 1° del D.Lgs. 368/01 stabilisce che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin data di costituzione del rapporto. Ciò evidentemente comporta non solo che nel contratto a progetto debba essere specificamente indicato il progetto, ma anche che, nel corso del rapporto, il lavoratore sia effettivamente utilizzato per la realizzazione di quel progetto.

Pertanto, lo svolgimento di mansioni estranee al progetto è di per sé sufficiente a determinare la trasformazione del rapporto a progetto in ordinario rapporto di lavoro subordinato. Bisogna a questo proposito precisare che la trasformazione rende il rapporto a tempo indeterminato, anche se originariamente sorto a termine. Infatti, il termine era stato apposto al contratto in vista della realizzazione del progetto; tuttavia, poiché - come si è detto - il lavoratore è stato in realtà utilizzato a fini diversi, viene meno la ragione che giustificava l'apposizione del termine.

Argomentazioni simili sono state svolte da un provvedimento pronunciato dal Tribunale di Milano in data 26/9/05.

 

Questione 17: Come è disciplinato il contratto a progetto con riferimento agli agenti e agli addetti ai call center “outbound”?

A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 276/03, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa devono contenere l’indicazione specifica del progetto che il collaboratore deve svolgere nel corso del rapporto, senza vincolo di subordinazione (art. 61 D.Lgs. 276/03).

In caso di assenza o generica formulazione del progetto, ai sensi dell’art. 69 D.Lgs. 276/2003 il rapporto si converte in un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di stipulazione del contratto. Tale conclusione è confermata dalla legge 92/2012, che stabilisce espressamente che la norma in esame si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Sono previste peraltro alcune eccezioni all’obbligo di indicare il progetto. In particolare, ciò vale per le collaborazioni coordinate e continuative stipulate con agenti e rappresentanti di commercio e con lavoratori che svolgono attività di vendita diretta di beni e di servizi, realizzate attraverso call center 'outbound'.

Nel primo caso, la norma, di fatto, rinvia alla specifica disciplina rinvenibile nel codice civile (artt. 1742 e ss.) e in altre fonti primarie (principalmente nella L. 204/1985).

Quanto alle attività di vendita diretta di beni e di servizi, realizzate attraverso call center 'outbound', esse sono le attività ove il compito assegnato al collaboratore è quello di contattare l’utenza di un prodotto o servizio riconducibile a un singolo committente. Risultano inoltre annoverabili fra le attività di vendita di servizi citate anche quelle finalizzate a ricerche di mercato, statistiche e scientifiche (per le definizioni e gli approfondimenti v. circ. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 14 del 02/04/2013 e Lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 12693 del 12.07.2013). In questi casi, dunque, è legittima la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, senza l’individuazione di uno specifico progetto, a condizione che sia erogato un corrispettivo non inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento che assume, nella sostanza, una funzione “autorizzativa” del ricorso alla tipologia contrattuale di cui si sta parlando.

 

Questione 18: Come viene retribuito il prestatore di lavoro accessorio?

La caratteristica fondamentale del lavoro accessorio risiede nel particolare meccanismo di liquidazione del compenso, fondato su un sistema di buoni che cartolarizzano il credito dovuto al lavoratore (art. 49, d.lgs. 81/2015).

In pratica, il beneficiario-committente della prestazione di lavoro acquista, presso le rivendite autorizzate (ossia, direzioni provinciali INPS o tabaccai) o telematicamente, uno o più carnet di buoni aventi valore predefinito, che, al momento del pagamento, consegna poi al lavoratore nella quantità pattuita.
Per percepire effettivamente il proprio compenso, il prestatore di lavoro accessorio presenta i buoni al concessionario individuato tramite decreto del Ministro del lavoro, il quale, oltre che versargli il corrispondente in denaro, si occupa direttamente del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

I buoni hanno un valore nominale fissato attualmente dal d.lgs. 81/2015 in 10 euro (nel settore agricolo il valore nominale è invece pari all’importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale). Detto valore comprende:

  • il compenso dovuto al lavoratore;

  • una quota previdenziale destinata alla gestione separata INPS (13%);

  • una quota per l’assicurazione INAIL (7%);

una quota ulteriore a favore dell’INPS per la gestione del servizio (5%).